Come si definisce una “crisi umanitaria”: cause e conseguenze
Secondo l’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OHCHR), una crisi umanitaria è “un evento singolare o una serie di eventi che minacciano in termini di salute, sicurezza o benessere di una comunità o di un grande gruppo di persone”. Ogni crisi umanitaria è causata da diversi fattori, può avere conseguenze differenti e causare danni a breve e lungo termine. Il fattore comune di tutte queste crisi è la violazione dei diritti umani, ad esempio il diritto alla vita, alla libertà d’espressione, alla libertà dalla schiavitù, alla libertà di movimento, e altri, definiti “fondamentali” e protetti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Tra le crisi scatenate da un guerra vi è il caso dell’Etiopia, dove il conflitto scoppiato ormai due anni fa tra il governo nazionale e un movimento rivoluzionario interno ha portato alla fame più di 5 milioni di cittadini. Ci sono poi crisi che non colpiscono un determinato Paese ma una etnia piuttosto, come nel caso della comunità Rohingya in Myanmar. Anche crisi politiche combinate a crisi economiche, come in Venezuela, possono portare a una sistematica violazione dei diritti fondamentali. Guardando alle cause fondamentali si parla anche di catastrofi ambientali, come nel caso delle alluvioni che si sono abbattute sul Pakistan a settembre 2022, che, oltre a provocare vittime, sono alla base delle crisi migratorie dei cosiddetti “rifugiati ambientali” o “rifugiati climatici”, che non sono ancora riconosciuti dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951.
Una crisi umanitaria si configura quindi come il risultato di più fattori a livello politico, economico, sociale e ambientale, che si intersecano e si rinforzano a vicenda, contribuendo ad esacerbarne l’impatto.
Il ruolo degli attori non statali nella gestione delle crisi
Sono molti gli attori che intervengono nella risoluzione di una crisi umanitaria: dalle organizzazioni statali alle associazioni locali, dai donatori privati alle forze della difesa statali e i militari, dalle organizzazioni internazionali governative, tra cui le istituzioni giuridiche e le agenzie “sorelle” delle Nazioni Unite, alle organizzazioni internazionali non governative (OING), tutti contribuiscono a creare un complesso sistema umanitario. Quando le crisi sfuggono al controllo dei governi, infatti, entrano in gioco attori non statali, che garantiscono maggiore efficienza e reattività. Organizzazioni come Human Rights Watch, Medici Senza Frontiere, Emergency, Greenpeace e Amnesty International non sono ai margini del sistema umanitario, ma hanno sviluppato meccanismi per comunicare e coordinare la loro azione, chiarendo i loro ruoli rispetto allo Stato. L’influenza delle organizzazioni non governative e transnazionali è cresciuta nel tempo, giungendo a ricoprire parte attiva ai tavoli delle agenzie delle Nazioni Unite per i diritti umani o ai processi giuridici internazionali.
Tali organizzazioni si definiscono imparziali e sono fondamentali per la risoluzione diplomatica delle crisi poiché non solo intervengono con attività di “primo soccorso”, ma raccolgono anche dati di prima mano sul campo, denunciando le ingiustizie e dando visibilità e risonanza internazionale alle situazioni di grave violazione dei diritti umani, attraverso campagne sui social media e attività di lobbying.
Per risolvere ed evitare che si ripetano le violazioni sistematiche dei diritti umani, istituzioni giuridiche internazionali, come come i tribunali criminali speciali (ICTY, ICTR), la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) e la Corte Internazionale Penale (ICC), ricoprono un ruolo rilevante. Questi organi giudiziari vigilano che gli individui e gli Stati rispettino le Convenzioni dei diritti umani, il diritto umanitario internazionale e il diritto internazionale dei diritti umani. Anche a livello regionale esistono organismi giudiziari, come la Corte Interamericana dei Diritti Umani (IACHR), la Corte Africana dei Diritti dell’uomo e dei Popoli (AFCHPR) o la Corte Europei dei Diritti Umani (CEDU).
Gli aiuti umanitari: quali sono i criteri? Quali le crisi dimenticate e perché?
Il principale obiettivo di tutti questi attori, statali e non, è fornire assistenza umanitaria internazionale (IHA) sotto forma di cibo, medicine e altre risorse vitali per i civili in difficoltà. Ad oggi il sistema umanitario è sopraffatto poiché le dimensioni e le complessità delle crisi che si affrontano sono aumentate rispetto al passato. Le persone che hanno bisogno di assistenza sono in aumento, le guerre durano il doppio rispetto ai primi anni del 1990, e il pianeta sta continuando a riscaldarsi causando crisi climatiche che si trasformano in umanitarie.
Inoltre, all’interno del sistema sia i beneficiari sia gli operatori umanitari hanno riscontrato problemi di vario tipo. Secondo lo studio “State of the humanitarian system” di ALNAP, più di un quinto dei destinatari ha rilevato che la distribuzione degli aiuti non è proporzionata alla gravità della situazione, a causa di un alto tasso di corruzione. Gli operatori umanitari ritengono che la burocrazia e l’interferenza politica siano i principali ostacoli all’accesso alle popolazioni in difficoltà. Anche l’effetto delle sanzioni e delle misure antiterrorismo è fonte di grande preoccupazione, ostacolando la capacità delle agenzie di raggiungere le persone e la propensione al rischio.
Nel 2021 l’assistenza umanitaria internazionale ha raggiunto una cifra stimata di 31,3 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto a dieci anni prima, e quest’anno le richieste di fondi ammontano a 49,5 miliardi. Sempre nel 2021, il sistema umanitario ha raggiunto circa 106 milioni di persone, pari solo al 46% di coloro che ha identificato come bisognosi. Questi fondi sono in parte donazioni e aiuti finanziari da parte di privati e da parte degli stati, la maggior parte dei quali fanno parte del cosiddetto “primo mondo”.
L’azione umanitaria per un’organizzazione non governativa può essere definita semplicemente come l’atto di salvare vite e alleviare la sofferenza. Tuttavia, la pratica di fornire assistenza umanitaria è svolta da un numero crescente di organizzazioni del nord- est del mondo e comprende una gamma crescente di obiettivi che riflettono un’agenda liberale democratica occidentale. Questa forma di umanitarismo è stata spesso associata al potere egemonico dell’Occidente sui Paesi in via di sviluppo, sia perché le preoccupazioni umanitarie sono state spesso utilizzate come giustificazione per l’intervento militare, sia perché gli aiuti umanitari si rivelano strumento di politica estera o militare dei governi donatori. Ciò è evidente in contesti come quello Afghano, dove molte ONG hanno sostenuto e costituito parte integrante delle attività di stabilizzazione condotte dagli Stati Uniti dopo la loro invasione nel 2001. Di conseguenza, molti governi dei Paesi destinatari degli aiuti hanno iniziato a criminalizzare gli aiuti umanitari e le organizzazioni che li implementano. Il caso del Venezuela, in cui chiunque accetti aiuti umanitari da parte degli Stati Uniti viene arrestato e dichiarato nemico della patria, è esemplare.
Pochi fondi e sproporzionati: come sarà il futuro del sistema umanitario?
Gli attori non statali negli ultimi anni hanno assunto un ruolo sempre più importante rispetto agli attori statali nella risoluzione delle crisi umanitarie, ma il sistema inizia ad essere in sovraccarico. Così, un sistema sopraffatto unito all’assenza di fondi sufficienti, causerà tagli ai servizi umanitari che avranno quindi un impatto minore.
Considerando che i principali donatori risiedono nei Paesi più sviluppati, l’attenzione e le donazioni destinate alle crisi nel mondo si dimostrano sproporzionate o disuguali rispetto alla popolazione bisognosa. Ad esempio, nel caso della raccolta di finanziamenti per gli aiuti alla popolazione ucraina, le Nazioni Unite hanno raggiunto l’obiettivo desiderato. Invece, per i programmi umanitari in Paesi come Haiti e Burundi, si è raggiunto meno del 15% di quanto domandato.
Ad oggi, il fatto che gli equilibri di potere siano in costante riassetto e che all’interno delle Nazioni Unite Paesi come Cina, India e Brasile stanno aumentando la loro influenza potrebbe avere effetti positivi nella distribuzione dei fondi umanitari e, soprattutto, nella risoluzione di crisi umanitarie che perdurano da decenni.
Questo articolo è l’introduzione di un progetto di Orizzonti Politici volto ad analizzare le crisi umanitarie nel mondo. Secondo la FAO, a causa della pandemia da Covid-19, nel 2020 si sono aggiunte 161 milioni di persone alle circa 800 milioni che soffrono la fame. Attualmente, più di 50 milioni di persone oggi vivono in uno stato di schiavitù “moderna”, stando al report “Global Estimate of Modern Slavery” dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO). Inoltre, alla fine del 2021, secondo l’UNHCR, il numero totale di persone costrette a fuggire dalle loro case a causa di conflitti, violenza, paura di persecuzioni e violazioni dei diritti umani era di 89,3 milioni, più del doppio rispetto a un decennio fa. Nelle prossime settimane verranno pubblicate analisi che approfondiranno il tema delle crisi umanitarie guardando a 5 criteri: schiavitù moderna, sicurezza alimentare, accesso alla giustizia, accesso all’educazione e cambiamento climatico.