Al mondo su 193 Paesi solo 10 hanno una donna come capo di governo. In Europa nessun Paese ha ancora superato la soglia del 50% per quanto riguarda la partecipazione delle donne in Parlamento e a detenere il primato è la Svezia con una presenza femminile del 47%. La partecipazione delle donne in politica è da considerarsi davvero come una lenta transizione ostacolata non solo da barriere istituzionali, ad esempio nei sistemi proporzionali la presenza delle donne tende ad essere maggiore rispetto a quelli maggioritari, ma anche da fattori psicologici e attitudinali. Le donne infatti secondo alcuni studi risultano essere più avverse al rischio degli uomini e tenderebbero ad evitare contesti competitivi e incerti quali quelli elettorali. Secondo altri, invece, queste caratteristiche favoriscono il successo di politiche pubbliche proposte dalle donne in carica, e l’ascesa di queste ultime in politica incoraggia la partecipazione delle altre aventi diritto, promuovendo la democrazia e incoraggiando la parità di genere.
Le barriere in politica
La partecipazione politica delle donne trova ostacoli che hanno varia natura, tra cui la violenza di genere. Questa si manifesta secondo cinque principali forme: fisica, psicologica, sessuale, economica e simbolica, che hanno radice comune nella violenza culturale. Si tratta di miti e pregiudizi di genere che vengono giustificati perché concepiti come norme naturali della società, come accade ad esempio per i miti sullo stupro: essi suggeriscono che gli stupri siano provocati dalle scelte personali delle donne nell’abbigliamento e nel comportamento, giudicati come volti a sedurre e catturare l’attenzione.
Esempi concreti di violenza in politica sono le denunce di aggressioni, intimidazioni e abusi dirette a donne che ricoprono cariche pubbliche, ma anche commenti offensivi sui profili social pubblici e privati, le offese nei dibattiti politici, un’iniqua retribuzione o concessione di benefits come nel caso dei colleghi uomini e infine danni e atti vandalici verso oggetti di proprietà.
Nel 2004 in Messico, la candidata sindaco Guadalupe Ávila Salinas è stata uccisa a colpi di arma da fuoco in pieno giorno dal sindaco in carica mentre teneva un incontro con le donne della comunità, mentre nel 2013 la parlamentare afgana Fariba Ahmadi Kakar è stata rapita dai ribelli talebani. Nel 2014, Laura Boldrini, allora presidente del parlamento italiano, ha ricevuto proiettili per posta.
La Bolivia è stato il primo stato a rispondere con riforme legali, approvando una legge che criminalizza la violenza politica e le molestie contro le donne nel 2012. Nel 2016 e nel 2017, le organizzazioni globali e regionali hanno iniziato a sensibilizzare e ad agire: il National Democratic Institute (NDI) ha lanciato #NotTheCost, campagna per fermare la violenza contro le donne in politica, ma molta strada c’è ancora da percorrere.
Un dato è certo: gli effetti delle donne in politica si traducono in policy moderate che includono una maggiore spesa pubblica per politiche familiari, la crescita sostenibile e uno stile di leadership più democratico e bilanciato, meno orientato alla competizione e più al compromesso.
Gender quotas e caso Italia
Le quote di genere non sono rosa o blu (ovvero non riguardano specificamente uomini o donne), ma riguardano il genere meno rappresentato che dovrebbe essere almeno al di sopra di una certa soglia in determinati contesti. Sono un argomento alquanto controverso dal momento che sono necessarie per raggiungere equità di genere in contesti aziendali e politici, ma sono anche ampiamente criticate poichè potrebbero implicare conseguenze negative sulla qualità della performance. Secondo uno studio norvegese molto criticato, infatti, le quote avrebbero avuto conseguenze negative poiché le donne per la prima volta in posizioni di potere sarebbero inesperte. Empiricamente parlando, però, è stato dimostrato che le quote di genere non rappresentano un costo né per lo Stato, né in termini di performance aziendale o della qualità dei politici eletti. Al contrario, invece, secondo quanto dimostrato, la legge 120/2011, che ha imposto le quote di genere sul Consiglio di Amministrazione e dei Sindaci delle società quotate in Borsa e poi anche di quelle di proprietà statale, non ha imposto nessun costo né sulle casse dello Stato che semplicemente fa un’imposizione alle aziende nè ha identificato alcun effetto positivo o negativo sulla performance. Inoltre, è stato dimostrato che imporre le quote sulle liste elettorali delle municipalità (come è stato fatto con la legge 81/1993 dal 1993 al 1995 in Italia), migliora nettamente la qualità, intesa come livello di istruzione dei politici eletti. Infatti una delle conseguenze principali dell’introduzione delle quote di genere è la “crisi degli uomini mediocri”. La qualità della performance e dei politici migliora, infatti, non perchè le donne siano più qualificate degli uomini, ma principalmente perchè aumentando il numero di candidati in competizione gli uomini sono selezionati meglio. Semplicemente, si possono sostituire uomini da capacità mediocri con donne più qualificate che a causa di distorsioni o diverse attitudini fino a quel momento erano rimaste fuori dal mercato del lavoro o dallo scenario politico.
Uno sguardo sul mondo: la politica delle quote rosa in India
Uno studio condotto dalla ricercatrice dell’Università Punjabi, Kamlesh Rani, e pubblicato sulla rivista specializzata Contemporary Social Sciences nel 2021, analizza l’ascesa politica delle donne in India e gli effetti sulla democrazia. La Costituzione indiana, entrata in vigore nel 1950, riconosce e garantisce l’uguaglianza di genere, tuttavia le donne indiane nel 2021 sembrano ancora distanti da questo traguardo, soprattutto quelle provenienti dalle caste più basse della società. Sebbene ci sia stata una donna, Indira Gandhi, a ricoprire la carica di Primo Ministro nel Paese per 16 anni (1966-1977; 1980-1984), lo studio dimostra una carenza di donne nel Parlamento, dove sono solo 12,8%, e negli organi decisionali su base locale. Questo nonostante l’esistenza di “quote rosa” sin dall’entrata in vigore della Costituzione. Di fatti, gli emendamenti 73 e 74 della Costituzione indiana prevedono che non meno di un terzo dei posti siano riservati alle donne nei panchayats, le assemblee di governo locali considerate fondamentali per lo sviluppo economico e sociale delle aree rappresentate, e negli organi municipali.
Inoltre, le donne con status economico e sociale basso sono meno propense a partecipare in politica e a recarsi alle urne, e che in generale partiti sono poco inclini a proporre donne per ricoprire cariche di rilievo. Non a caso, durante le elezioni politiche generali del 2019 su 8000 candidati, solo il 10% erano donne, e di queste è stato eletto il 14%. Tuttavia, le donne sembrano più consapevoli dei propri diritti: per la prima volta nella storia della democrazia indiana, nel 2019 hanno votato il 67% delle donne aventi diritto, dato più alto di sempre.
Le donne in politica aiutano le altre donne?
Un interessante studio pubblicato sull’American Economic Journal ha analizzato i dati delle elezioni nelle municipalità della Germania tra il 2001 e il 2016, trovando che nei municipi con a capo un sindaco donna ci sia una maggiore possibilità che altre donne siano elette per le altre cariche disponibili, come quella di consigliere. Questo perché, stando allo studio, gli elettori sono esposti in prima persona alla gestione politica del proprio territorio ad opera di una donna, dunque possono valutare in modo diretto i successi delle politiche e smentire con i propri occhi eventuali pregiudizi di genere. Dunque sembra che la presenza di donne in politica possa aiutare l’ascesa di altre donne nel campo.
Un esempio tutto Italiano è Nilde Iotti, prima donna a ricoprire la carica di presidente della Camera dei deputati (1979-1992) e più volte candidata a presidente della Repubblica. Assieme alle altre 20 donne elette nell’Assemblea Costituente del 1946, aprì il Parlamento italiano alle donne, sino ad allora escluse, ma soprattutto il suo operato positivo nel ricoprire molte cariche di rilievo serví a normalizzare l’idea di una donna a capo di delicati incarichi nella Repubblica.
Una sfida su due fronti
La partecipazione delle donne in politica è una sfida su due fronti: il primo è quello della sfera privata, in cui le politiche e le elettrici devono combattere con stereotipi di genere, discriminazioni e coniugare gli impegni lavorativi a quelli familiari. Il secondo fronte è quello della vita pubblica, tradotto negli attacchi personali durante l’esercizio della professione, ma evidente anche nelle barriere all’accesso della professione, fisiche o psicologiche che siano. La storia è ricca di esempi di donne intraprendenti che hanno combattuto questa realtà scoraggiante, e le istituzioni sembrano finalmente consce della necessità di supportare le donne attraverso riforme legali e campagne di sensibilizzazione.
Aumentare la rappresentanza delle donne in politica è un processo in atto, che necessità in primis un cambiamento nella cultura dei singoli paesi, poi di policy efficaci in favore del gender balance.
A cura di Giulia Isabella Guerra e Sveva Manfredi