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Una crisi come il 2008? Cosa sta succedendo alle banche

Tempo di lettura stimato: 10 min.

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Nella settimana appena trascorsa 3 eventi hanno scosso il sistema finanziario mondiale, suscitando timori quanto ad una crisi delle banche. La Svb, Silicon Valley Bank, è stata chiusa dalle autorità di regolamentazione californiane. Credit Suisse ha rischiato il crac, crollando in borsa bruciando 355 miliardi sui mercati europei. Deutsche Bank, uno dei principali gruppi bancari nel mondo, perdendo il 15% in borsa risulta essere solo l’ultima vittima di un contagio già ampiamente avviato. Questi fatti hanno creato scompiglio tra investitori istituzionali e non, visto l’ancora lucido precedente di Lehman Brothers nel 2008, i cui effetti sono ancora evidenti. Cosa sta succedendo a queste banche, e quali conseguenze ci si deve attendere nel prossimo futuro?

Cosa è successo alla Silicon Valley Bank

La Svb, Silicon Valley Bank, è stata una banca commerciale con sede nella Silicon Valley, in California. Le attività della banca si concentravano prevalentemente su attività di prestito a start up innovative, società tecnologiche etc. Fornivano finanziamenti basati sugli investimenti in tecnologia e biotecnologia, e anche su servizi di private banking per individui con patrimoni elevati. Nel mese di marzo, la banca ha vissuto gli ultimi istanti di attività a seguito di una serie di eventi che ne hanno causato il fallimento.

In particolar modo, il 9 marzo 2023, la Svb ha perso più del 60% sul mercato azionario, dalla chiusura di mercoledì a 268 dollari alla chiusura di venerdì a 106. La stessa aveva infatti annunciato di voler vendere azioni per sostenere il proprio bilancio. In particolare, il bilancio della banca aveva in pancia decine di miliardi di dollari di titoli di stato americani, acquisiti in passato. Tuttavia, a seguito dell’aumento dei tassi di interesse voluti dalla Fed – e successivamente dalla Bce -, per la relazione inversa che intercorre tra tassi di interesse e prezzo dei titoli, il valore di questi ultimi è diminuito notevolmente, di circa 1.8 miliardi di dollari.

Per questo, la Banca ha deciso di affidare a Goldman Sachs, il giorno prima del crollo, il portafoglio di titoli appena descritto – per fronteggiare la crescente richiesta di liquidità da parte delle aziende clienti, prevalentemente start up della Silicon Valley, a loro volta colpite dai tassi in rialzo e quindi in bisogno di risorse liquide. Questo aveva un valore contabile di circa 24 miliardi di dollari, ed è stato venduto a prezzi di mercato, fruttando alla banca circa 21.5 miliardi di dollari – con una perdita, quindi, di circa 2.5 miliardi di dollari.

Conseguenze finanziarie e ultimi sviluppi

Il giorno dopo, c’è stato il crollo azionario sopra menzionato, ed in seguito alla notizia, diverse società di venture capitalist hanno consigliato alle loro società in portafoglio di ritirare i loro soldi da SVB, contribuendo a generare la cosiddetta “bank run”, ovvero la “corsa agli sportelli”, fatta dai depositanti per evitare che individui e imprese rimangano senza risorse. Il giorno dopo, 10 marzo, c’è stato un ulteriore crollo del 66% circa nella fase di pre-market, prima che le negoziazioni del titolo venissero interrotte.

A questo punto, la banca è stata chiusa dal Dipartimento per la protezione finanziaria e l’innovazione della California, per liquidità inadeguata e insolvenza. Tuttavia, i consulenti di BlackRock, una delle principali società di investimento al mondo, già ad inizio 2022 avevano avvertito la SVB che i controlli riguardo i livelli di rischio della banca non erano allo stesso livello dei principali competitor. Ad ogni modo, il 13 marzo, a seguito di una procedura di gara la HSBC, uno dei più grandi gruppi bancari del mondo, ha acquisito il ramo inglese della Svb per 1 sterlina in un accordo di salvataggio, a costo 0 per il contribuente e a protezione completa dei depositanti.

Il 27 marzo 2023, dopo circa due settimane dal crack, la Svb è stata acquisita dalla First-Citizens Bank, gruppo bancario con sede nel Nord Carolina, con attivi pari a circa 109 miliardi di dollari e depositi per quasi 90. Questa ha comprato 72 miliardi di dollari di attivi della banca al prezzo scontato di 16,5 miliardi (la Silicon Valley Bank aveva in attivo, prima del crack, 167 miliardi di dollari). Circa 90 miliardi di asset, invece, sono rimasti nella disponibilità della Fdic, agenzia statunitense a tutela dei depositi della clientela bancaria americana, a garanzia dell’operazione.

La Fdic, nella nota di annuncio dell’acquisto, ha aggiunto che il costo del fallimento della Svb a carico del Dif – Deposit Insurance Fund, fondo americano a garanzia dei depositi – è stato di circa 20 miliardi di dollari. L’autorità ha commentato: “La prudente gestione dei rischi continuerà a proteggere clienti e azionisti attraverso tutti i possibili cicli economici e le diverse condizioni di mercato”.

Cosa è successo alla Credit Suisse

Il gruppo Credit Suisse, con sede a Zurigo, in Svizzera, è una banca d’investimento di livello mondiale. I primi eventi relativi alle fragilità strutturali della banca risalgono a fine 2022. Ad ottobre dell’anno scorso, infatti, per via delle forti perdite, la banca ha previsto ed attuato un aumento di capitale da 4 miliardi di franchi svizzeri, il quale ha rivisto l’assetto azionario del gruppo. Infatti, la Saudi National Bank è diventata principale azionista della banca, sfiorando il 10% del capitale. Da quel periodo, molti clienti della banca hanno cominciato a ritirare i propri depositi, preoccupati circa il futuro dell’istituto. Questa “bank run light” ha prodotto un ritiro, da parte dei depositanti, di circa 110 miliardi di franchi svizzeri.

Non solo: già all’epoca, le principali agenzie di rating, come Moody’s, S&P e Fitch, avevano declassato la solvibilità del gruppo. Questi eventi hanno portato, nei giorni scorsi, ad un peggioramento di un quadro, di per sé, già piuttosto fragile. In data 15 marzo, il principale azionista della banca, la Saudi National Bank, ha rifiutato – per ragioni normative – di aumentare la propria partecipazione, richiesta precedentemente fatta dal management per via di scarsi profitti e critiche da parte dei revisori. In quel giorno, l’azione è crollata di circa un quarto del suo valore, ed il giorno dopo è stata resa pubblica la volontà, da parte della banca, di prendere in prestito fino a 50 miliardi di franchi dalla Banca nazionale svizzera.

In questa fase, è intervenuta la UBS, primo gruppo bancario svizzerio, che in data 19 marzo ha dichiarato l’intenzione di voler acquisire il gruppo Credit Suisse per – inizialmente – un miliardo di franchi svizzeri. L’offerta, inizialmente respinta, è stata poi rilanciata, fino alla conclusione dell’affare per un valore di circa 3 miliardi di franchi svizzeri. L’accordo, quindi, è stato definito per un ammontare pari a circa 0.76 franchi svizzeri per azione, nonostante il prezzo di chiusura di venerdì di Credit Suisse fosse pari a circa 1.86 franchi per azione.

Non solo: UBS, in questo accordo che di fatto rappresenta un salvataggio della banca ma anche una scelta strategica di rilievo di chi ha comprato, otterrà anche garanzie da parte della Banca nazionale svizzera fino a 100 miliardi di liquidità, per far fronte ad eventuali perdite di Credit Suisse, più ulteriori 9 miliardi di garanzie dal governo a copertura di esuberi, cause legali e minusvalenze da cessioni.

È infine recente l’annuncio, da parte del presidente di Saudi National Bank Ammar Al Khudairy, di dimettersi dall’incarico. L’intento percepito è di una successione “interna” – il nuovo presidente è il Ceo Saeed Mohammed Al Ghamd. Lo scopo – evidente – è di voltare subito pagina dopo quanto accaduto nelle settimane scorse.

Il caso delle AT1

Ad ogni modo, l’operazione di cui sopra ha scatenato polemiche tra gli investitori. Infatti, questo forte sostegno statale ha causato un azzeramento integrale – voluto dal regolatore svizzero per rafforzare il capitale dell’istituto – del valore nominale delle obbligazioni di debito AT1 – Additional Tier 1 – di Credit Suisse, per un importo di circa 16 miliardi di franchi, pertanto incrementando i fondi propri di base. Essendo uno strumento di debito, la loro svalutazione riduce le passività, rafforzando di fatto la posizione finanziaria di una banca.

Le AT1, in particolar modo, sono state lanciate a seguito della crisi del 2008 proprio come meccanismo di assorbimento delle perdite a favore delle banche in crisi. Sono strumenti di debito senza scadenza, con possibilità di rimborso anticipato, con lo scopo sopra menzionato di assorbire le perdite. In caso di deterioramento della posizione finanziaria di una banca, infatti, la banca annulla le cedole. In alternativa converte, temporaneamente o definitivamente, il capitale in azioni della banca.

Sebbene questi titoli, nelle tempistiche di rimborso durante una liquidazione, vengano prima delle azioni, l’autorità di regolamentazione finanziaria della svizzera – la Finma – ha invertito questo ordine, dando quindi priorità agli azionisti. Persino il Ministro dell’Economia Giorgetti ha dichiarato di essere rimasto sorpreso da questa scelta, osservando però come “le autorità europee abbiano ribadito l’ordine delle priorità”. Tuttavia, va sottolineato come dietro questa decisione da parte della Finma ci sia la motivazione che, nel caso di Credit Suisse, non si tratta di bancarotta, ma di un acquisto da un altro istituto; questo può rendere più difficile l’azione legale da eventuali titolari di AT1, qualora questi decidessero di portarla avanti.

Il caso di Deutsche Bank

La Deutsche Bank è una banca tedesca con sedi in tutto il mondo. Tuttavia, ciò che sta accadendo a livello sistemico nelle banche di tutto il mondo ha colpito anche il gruppo di Francoforte. Il 24 marzo 2023, le azioni della banca sono scese del 15% circa, e complessivamente nel mese di marzo il crollo è stato di più del 30%.

La causa del crollo di venerdì è da trovare nell’annuncio, da parte della banca, di riscattare in anticipo – il 24 maggio – i titoli Tier 2 subordinati da 1,5 miliardi di dollari a tasso fisso, insieme agli interessi maturati fino alla data di rimborso, con scadenza nel 2028. Mossa, questa, percepita come un segnale di difficoltà da parte dell’istituto. È stata colta come se questo non avesse la capacità economico-finanziaria di adempiere all’obbligazione. Si tratta di una obbligazione di per sè perpetua, caratteristica tipica dei titoli Tier 2.

Questo annuncio, oltre a far volare i rendimenti di alcuni bond della banca – gli AT-1 7,5% denominati in dollari sono saliti al 22,87% -, ha fatto accrescere notevolmente il valore del credit default swap di DB: un derivato che rappresenta una assicurazione che paga nel caso in cui una società non rispetta i propri pagamenti. I prezzi del CDS di Deutsche Bank a cinque anni sono saliti da 134 punti base – prezzo di mercoledì – a circa 200 punti base venerdì. Questo aumento ha mandato al tappeto le azioni dell’istituto.

C’è da preoccuparsi?

In un clima già di per sé dinamico ed in continua evoluzione, ad una crisi del sistema bancario si affianca il più che noto quadro relativo agli elevati livelli di inflazione in tutta Europa, Italia compresa. Tuttavia, analizzando le situazioni sopra descritte, non emergono elementi potenzialmente preoccupanti o rilevanti a danno della stabilità del sistema bancario europeo ed italiano. In sintesi, non è un nuovo 2008.

I tre casi, infatti, hanno rappresentato un esempio eclatante di cattiva gestione, nettamente distinto rispetto ad un caso di coinvolgimento sistemico della rete bancaria europa. SVB è, poi, una banca geograficamente specifica e dedicata ad un insieme di imprese dall’elevato livello di rischio. Queste non hanno a che vedere né con la rete europea né con quella italiana. Su DB, gli analisti hanno fatto riferimento al carattere dell’irrazionalità dei mercati, essendo questo istituto diverso dagli altri, ma succube – più degli altri – di una tempesta speculativa che ha mandato al tappeto già altri istituti in Germania.

Il ministro dell’Economia Giorgetti è recentemente intervenuto nell’analisi dei casi sopra menzionati, affermando come: “Riteniamo che le ripercussioni per il sistema bancario italiano siano sostanzialmente insignificanti.” Non solo: il governatore di Bankitalia Visco ha contribuito facendo eco alle dichiarazioni di Giorgetti:  “Il sistema Ue non è direttamente coinvolto. […] Noi in Europa abbiamo tutti gli strumenti per fronteggiare crisi di liquidità e non rileviamo nelle nostre banche problemi di capitalizzazione e liquidità”.

Si aggiunge il sostegno delle banche centrali più importanti del mondo – Bce, Fed, BoE, Bns, BoJ e BOC – che hanno congiuntamente attivato un sistema di emergenza per sostenere la liquidità delle banche ed evitare una crisi finanziaria globale. Si tratta di una serie di meccanismi per fornire liquidità d’emergenza in dollari al sistema bancario internazionale. È un ulteriore rassicurazione sulla solidità delle banche, oltre che un’ulteriore azione volta a scongiurare una crisi di liquidità.

Cosa aspettarsi in futuro

È recente la decisione della Fed di aumentare nuovamente i tassi d’interesse dello 0.25%. Tuttavia, nella nota di accompagnamento della decisione, l’organo presieduto da Jerome Powell non esclude che presto la stagione dei tassi in rialzo possa terminare. Si legge: “Il Comitato monitorerà attentamente le informazioni in arrivo e ne valuterà le implicazioni per la politica monetaria. […] Un certo accomodamento potrebbe essere appropriato allo scopo di raggiungere una posizione di politica monetaria sufficientemente restrittiva da far tornare progressivamente l’inflazione al 2%”.

La scelta era attesa dai mercati: se fosse stato interrotto il ciclo di stretta monetaria con un’inflazione americana ancora elevata, i mercati avrebbero interpretato la scelta come dimostrazione d’incertezza nella determinazione a riportare l’inflazione al livello target, oltre che come segnale che la crisi bancaria di cui sopra sia più grave del previsto. Momentaneamente, la stabilità del sistema ha vacillato; tuttavia, ad oggi non ci sono conseguenze rilevanti per la tenuta del sistema finanziario internazionale.

*Crediti foto: Lorenzo Cafaro, via Pixabay

Mattia Moretta
Italiano, prima di tutto. Nato in un posto in riva al mare d’Abruzzo, vivo dal 2000. Studio Economia e Management in Bocconi. In OriPo ho trovato lo strumento migliore per esprimere la mia passione per la politica. Tre punti di riferimento: la libertà, il mare e la musica. P.S. I capelli grigi sono naturali.

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