I 3 tassi di interesse della Bce
L’organo responsabile della politica monetaria dell’Unione delibera su 3 tassi di interesse: il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali (MRO, Main refinancing operations), il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento marginali (MLF, Marginal lending facility) e il tasso di interesse sui depositi (DFR, Deposit facility rate). Ad oggi, questi tassi sono rispettivamente fermi a 0%, 0.25% e -0.5%.
I tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento costituiscono i tassi di interesse che le banche corrispondono alla Bce per prendere denaro a prestito, con la differenza che il primo tasso riguarda operazioni di una settimana, mentre il secondo operazioni overnight – che si estinguono nel primo giorno lavorativo dalla loro costituzione. Il tasso sui depositi, diversamente, è il tasso di interesse che la Bance centrale corrisponde alle banche sulle somme che queste mantengono presso la Bce. Un tasso negativo spinge le banche a non mantenere liquidità ferma presso la Bce, invitandole a impiegare tali risorse nell’economia reale.
I tassi di interesse negli anni
Come si evince dal grafico, i tassi di interesse hanno assunto negli anni valori altalenanti, soprattutto con riferimento al periodo pre-crisi del 2008. Il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali – che il più rilevante indicatore di politica monetaria della Banca centrale – ha avuto una quasi costante crescita fino al 2000 – anni in cui prendeva il via il progetto dell’Unione monetaria – quando il tasso ha raggiunto il suo massimo storico: 4.75%.
Dopo un altro picco nel 2008, l’arrivo della crisi ha condotto ad un progressivo declino di questo e degli altri tassi. Salvo un leggero rialzo nel 2011, sono infatti tutti diminuiti progressivamente fino ai livelli sopra citati, che persistono da settembre 2019. Questo costante declino è stata una delle principali risposte della Bce alle crisi due che si sono susseguite nell’ultimo quindicennio: la Grande recessione e la Crisi del debito sovrano.
Il rialzo di Luglio e le conseguenze economiche
Quasi un mese fa la Bce ha annunciato un rialzo dei tassi di interesse per la prima volta dal 13 luglio 2011, data dell’ultimo rialzo dei tassi. Il tasso di rifinanziamento delle operazioni principali, infatti, aumenterà a 0.25% a luglio, per poi aumentare di altri 0.25 punti percentuali a settembre. Inoltre, la Banca centrale ha anche annunciato il termine del proprio programma principale di acquisto dei titoli di stato, l’Asset Purchase Program, noto come quantitative easing, attivo da più di otto anni, ovvero l’acquisto titoli da parte della Bce per aumentare l’offerta di denaro in circolazione.
Le ragioni di questo rialzo si trovano nella congiuntura macroeconomica in cui versa l’Unione europea oggi. L’inflazione, invero, si trova attualmente a livelli molto alti, per diverse ragioni: la ripresa delle attività economiche a seguito della riapertura post-pandemia, l’aumento dei prezzi dell’energia (anche a causa del conflitto in Ucraina) a causa della sua persistente carenza. Le ultime proiezioni, poi, conducono ad un’inflazione annua del 6.8% nel 2022, in discesa al 3.5% nel 2023 e al 2.1% nel 2024.
Per contrastare questa crescita nell’andamento medio generalizzato del livello dei prezzi, le Bce centrali possono sfruttare lo strumento dei tassi di interesse. Ovvero: le banche centrali hanno deciso di applicare tassi più elevati alle banche commerciali, le quali conseguentemente applicheranno tassi più alti a famiglie e imprese per i prestiti da questi ultimi richiesti. Di conseguenza debiti, prestiti, mutui, finanziamenti etc. diventano più costosi, quindi famiglie e imprese sono più riluttanti a richiederli. E l’obiettivo è proprio il seguente: ridurre la domanda di famiglie e imprese, così da ridurre anche il livello dei prezzi, e quindi l’inflazione – fino all’obiettivo della Bce del 2%.
C’è però un ostacolo: gli effetti di questa politica monetaria possono richiedere molti mesi, se non anni per concretizzarsi, e il principale motore dell’inflazione odierna è l’energia, spinta da un fattore estraneo all’economia: il conflitto in Ucraina. Benzina, elettricità etc. sono beni che vengono usati quotidianamente dai consumatori e dalle imprese, indipendentemente dal loro costo. Con la conseguenza, quindi, che non è certa una riduzione rapida della domanda per raffreddare i prezzi.
Nonostante si ritiene che politiche restrittive di questo tipo possano portare ad una recessione nei paesi dell’Ue, il Consiglio direttivo della Bce sostiene che vi siano tutte le condizioni affinché questo pericolo si possa scongiurare: ripresa delle attività economiche dopo le chiusure a causa della pandemia, consumi delle famiglie grazie ai risparmi accumulati nel 2020, disoccupazione bassa e costante supporto dei governi alle rispettive economie.
L’Italia e le conseguenze politiche della decisione
La presidentessa Lagarde ha affermato come questo aumento dei tassi sia necessario anche per l’Italia: infatti, anche il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha ritenuto necessario questo percorso di “normalizzazione”, essendo anche l’Italia vittima di questa inflazione crescente. Di conseguenza, non si è fatta attendere la risposta della politica con riferimento alla decisione assunta dalla Bce. Da tutte le fazioni, infatti, giungono commenti circa l’effettiva funzionalità o meno della politica monetaria adottata dalla Banca centrale. Storcono il naso Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il primo, infatti, ha criticato aspramente i vertici di Bruxelles, ritenendo questa scelta “un attacco da parte dei poteri forti del sistema finanziario, Bce, Commissione europea, Parlamento europeo, contro l’economia italiana, il lavoro e il risparmio degli italiani”. Il leader della Lega ha inoltre aggiunto: “Vuol dire che c’è qualcuno che sta speculando contro l’Italia e vorrebbe svenderci come la Grecia”. Di non differente tono è la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, la quale asserisce: “Il mio parere è che l’iniziativa della Bce sia stata intempestiva, inopportuna e che tradisca una miopia nelle istituzioni europee monetarie sulla quale molti dovrebbero interrogarsi”. Con riferimento alla Lega, si è espresso anche l’economista Claudio Borghi, attaccando la presidentessa della Bce, ritenendo che “Lo spread dipende solo dalla Banca Centrale e se la Bce non compra lo spread si impenna, a prescindere da chi ci sia al governo. Quindi la signora Lagarde si faccia spiegare da qualcuno il mestiere”.”Credo che la signora Lagarde potesse aspettare qualche mese”, afferma con scetticismo Antonio Tajani, vicepresidente di Forza Italia ed eurodeputato. “Più giusto attendere di dare un tetto al prezzo del gas, quindi far calare il prezzo dell’energia, poi decidere.” Di diverso tono il leader del Partito Democratico Enrico Letta, il quale intravede nella decisione della Bce un campanello d’allarme, da cui ha voluto “fare un appello a tutti perché ognuno metta più responsabilità in questo momento, perché ogni fibrillazione in più al governo ha effetti negativi sul nostro debito”. Diversamente, il leader di Azione Carlo Calenda ha ritenuto “inutile” la decisione della Bce, affermando che “l’inflazione oggi è per il 70% importata, cioè determinata dal costo delle materie prime. È molto difficile da contrastare se non con un price cap alle materie prime”. Infine, il capo politico del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha moderatamente lamentato l’intervento sui tassi di interesse: “creerà nuove difficoltà alle famiglie. Dopo due anni di pandemia non possiamo permetterci una recessione sulla pelle di famiglie e imprese”.
È quindi evidente come la politica si sia espressa con forza riguardo l’aumento dei tassi di interesse. Solo il leader del Pd, infatti, ha accolto con favore – o meglio, non ha lamentato – la decisione presa dalla Bce. Affrontare un aumento dei tassi di interesse significa, inevitabilmente, incorrere nel rischio di rallentare la crescita economica. E la politica, dal canto suo, si assume delle responsabilità circa spendita delle risorse, allocazione, tutele per famiglie e imprese. Le risposte della politica, soprattutto quelle dei leader di centrodestra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ricalcano le dichiarazioni dell’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, quando nel 2008 incolpò la speculazione finanziaria della recessione che l’Italia, come il resto d’Europa, stava vivendo. L’assunzione di responsabilità, in un clima accerchiato da contingenze quali la pandemia e il conflitto in Ucraina, è un fenomeno che non traspare. In gioco, oltre che le risorse di un intero paese, ci sono anche molti voti. Il populismo vuole che siano “i poteri forti” i veri responsabili della crisi, e che “i tecnocrati di Bruxelles” siano decisori che abbiano interesse a colpire l’Italia e i suoi cittadini. La verità, tuttavia, sta in una crisi economica e finanziaria che sta vivendo tutto il mondo, e a cui alcuni paesi sono più esposti di altri.
*Crediti foto: Ibrahim Boran, via Unsplash