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La crisi del 2008: le cause, ma soprattutto gli effetti

Tempo di lettura stimato: 8 min.

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La crescita economica di un paese raramente è un processo omogeneo. Un quadro più realistico vede le economie globali caratterizzate piuttosto da periodi alterni di rapida e rallentata crescita. Questa alternanza di fasi delineate da una diversa intensità di crescita economica prende il nome di ciclo economico.
Per questo motivo si sente spesso parlare di economie che attraversano fasi di boom o, al contrario, di recessioni. Ogni periodo di contrazione economica significativa e duratura al punto da essere definita recessione prevede un iniziale shock esogeno (tra cui si annovera anche la sovrapproduzione) che abbia un effetto diretto sulla domanda aggregata, ovvero la somma della domanda per beni e servizi prodotti all’interno di un’economia.
Shock diretti sulla domanda possono essere rappresentati da un calo degli investimenti o da un calo del consumo aggregato causato, per esempio, da un crisi bancaria dato la diminuita disponibilità di credito.

Le economie capitaliste più avanzate si sono viste finora costrette a fare i conti con quattro periodi di recessione: la Grande Depressione del 1929, la fine della “Golden Age” negli anni ’70, culminata nello shock petrolifero del 1973, la Crisi Finanziaria del 2008 e da ultima l’emergenza sanitaria Covid-19, che ha condannato tutti i paesi del G20 alla recessione.

Le dinamiche della crisi economica del 2008

Il protagonista indiscusso della crisi finanziaria del 2008 è stato il mercato immobiliare statunitense e la bolla finanziaria che si è sviluppata in questo settore.
L’iniziale shock diretto è stato rappresentato da un brusco declino degli investimenti residenziali negli Stati Uniti a partire dal 2006: dal secondo trimestre del 2006 al quarto del 2007 si è registrata una diminuzione dell’1.2% negli investimenti relativi al settore immobiliare statunitense ed un ulteriore 1% tra il primo semestre del 2008 ed il secondo del 2009.

Il crollo degli investimenti nel settore immobiliare nei semestri precedenti alla crisi. Fonte: elaborazione dati del Core Econ textbook, dati del US bureau of economic analysis

Il calo negli investimenti avviene perché, negli anni precedenti la crisi, vengono accordati ai richiedenti numerosi mutui subprime. Questi sono mutui concessi a clienti “ad alto rischio”, a debitori che tipicamente hanno un punteggio di credito basso perché possessori di storie creditizie caratterizzate da inadempimenti, pignoramenti e simili.

La crescita dell’andamento del ratio tra il debito e il reddito di una famiglia americana negli ultimi 70 anni.

La caratteristica di questo tipo di mutui è infatti la mancata richiesta di garanzie richiesta ai richiedenti il mutuo e tassi di interesse variabili. Questi tassi, che variano anche di diversi punti percentuali, determinano spesso l’insolvenza del debitore una volta alzatisi sopra una certa soglia.

Il motivo dietro la concessione di questi mutui è da ricercarsi nella grande deregolamentazione che caratterizzava il sistema finanziario statunitense: un altissimo grado di fiducia vigeva nel periodo precedente il collasso dell’economia, durante il quale era diffusa l’idea che le recessioni fossero un concetto lontano e superato.
Questo sentimento era dovuto alla grande moderazione, ossia un periodo di scarsa variazione che caratterizzò il ciclo economico dei paesi sviluppati a partire dalla metà del 1980.
Prima della deregolamentazione finanziaria dell’era Reaganiana, i prestiti avvenivano tramite un processo lineare: le rette pagate dai mutuatari venivano incassate direttamente dai creditori che quindi concedevano prestiti in maniera decisamente più scrupolosa e richiedevano le dovute garanzie.

Armi di distruzione di massa

Con la deregolamentazione, tuttavia, vengono introdotti nuovi tipi di prodotti finanziari chiamati collateralized debt obligations (Cdo). Definito dal celebre investitore americano Warren Buffet come un’arma di distruzione di massa, il Cdo consiste in prestiti obbligazionari (una forma di finanziamento a lungo termine) creati fondendo una serie di prodotti finanziari venduti ad investitori internazionali. Durante quel periodo, numerosi mutui subprime ad alto rischio furono “impacchettati” all’interno dei Cdo trattati dalle borse mondiali.

Le agenzie di rating come Moody’s e Standard & Poor’s, il cui compito è quello di assegnare un giudizio di rischio dei titoli derivati emessi dalle banche, definivano come sicuri anche quei prodotti composti da mutui subprime, e quindi invece ad altissimo rischio. Successivamente, le aziende si giustificarono attribuendo i loro errori al clima di grande fiducia finanziaria vigente in quegli anni. Qualunque fosse il motivo, le dichiarazioni delle più fidate agenzie di rating mondiale descrivevano una realtà completamente separata dal reale stato delle cose.

Questo elemento è fondamentale per comprendere a fondo la creazione della bolla finanziaria, poiché ha contribuito a creare l’illusione di un mercato immobiliare solido e prospero. Il valore delle abitazioni salì infatti del 124% dal 1997 al 2006, dato che mette ulteriormente in mostra quanto il mercato fosse fuori controllo e che incentivò ulteriormente le banche a concedere mutui subprime, forti della convinzione che in caso di insolvenza la proprietà sarebbe potuta essere facilmente pignorata e rivenduta sul mercato ad un prezzo più alto.

La crescita dei nuclei familiari sotto la soglia di sussistenza porta infine alle prime insolvenze sulle rate dei mutui nel 2006.

Crescita della popolazione statunitense sotto la soglia di povertà negli anni. Fonte: Indexmundi

Non solo negli Stati Uniti, si formarono bolle immobiliari anche in Spagna, Irlanda e Portogallo. Gli investitori, allora, iniziarono ad investire in titoli di Stato di Paesi in cui l’economia sembrava in quegli anni solida, come la Germania e gli Stati Uniti e in seguito a queste operazioni si prosciugò la liquidità sui mercati globali.
A quel punto, gli Stati cercarono di salvare le banche nazionali: la crisi da finanziaria diventò fiscale e la maggior parte degli Stati europei si trovò sul lastrico. La Grecia, ad esempio, che grazie a svariati illeciti sul bilancio aveva ottenuto l’accesso all’area Euro, si trovò senza nessun finanziatore.

Gli effetti dello scoppio della bolla

A Novembre 2008, poi, scattò l’allarme Cmbs (Commercial mortgage-backed Securities)  a Wall Street e questo tipo di mutui venne dichiarato ad alto rischio di default. Questo particolare tipo di prodotto finanziario si distingue dagli altri titoli ipotecari perchè come garanzia non viene considerato il valore dell’immobile, bensì i profitti attesi da un’eventuale vendita. Questi mutui erano quindi garantiti tenendo conto dell’alto e crescente valore degli immobili all’epoca. Quando viene alla luce l’insolvenza dei mutui subprime che componevano gran parte dei prodotti finanziari circolanti all’epoca, le banche smettono di concedere mutui, distruggendo la domanda di immobili e facendone collassare il valore. Come conseguenza, crolla anche il valore dei mutui Cmbs, che si basavano sulle prospettive di vendita di un immobile a un determinato prezzo dopo l’eventuale insolvenza.

Per fare un esempio, un mutuo di 200.000 dollari veniva concesso dalla banca al debitore per l’acquisto di una casa. Il prestito avveniva rapidamente, poichè la banca era sicura che in caso di insolvenza avrebbe poi potuto rivendere la casa stessa a 250.000. Forti di questa convinzione, alcuni investitori decidono di acquistare questo prodotto finanziario dalla banca, sperando di incassare i soldi del mutuo mese per mese, oppure di poter rivendere la casa a 250.000 dollari. Il crollo del mercato immobiliare, però fa scendere il valore della casa a 100.000 dollari, costringendo gli investitori a dichiarare una perdita.
Iniziarono così a venire alla luce innumerevoli transazioni rischiose che erano state portate avanti in quegli anni dalle più importanti banche di investimento come Jp Morgan.

Le conseguenze economiche a livello globale saranno catastrofiche.
Gli Stati Uniti avevano infatti rilevato crescita del Pil del 2% nel 2007, solamente poi da un disastroso crollo del -2.8% seguito da un periodo di stagnazione nel 2009 (+0,1%). Il tasso di disoccupazione, poi, passò dal 4.6% del 2007 al 9.3% nel 2009 e la popolazione sotto la linea di povertà è cresciuta costantemente negli anni, partendo dal 12% nel 2004 e raggiungendo il 15.1% nel 2010. A Wall Street l’indice Standard & Poor’s registrò un crollo spaventoso del -40%, record che era stato “battuto” solamente durante la Grande Depressione degli anni ‘30 (-47.2%).

Le dinamiche sociali dietro la crisi del credito

I due fattori scatenanti della crisi statunitense sono stati il crescente debito privato e la facilità con cui i mutui subprime venivano concessi.
Secondo alcuni studiosi, insieme agli effetti della deregolamentazione e le colpe delle agenzie di rating, tra le cause della crisi si annidano anche alcuni tratti sociali caratteristici della società americana tra 1989 e 2008. La “malattia” che ha colpito i consumatori statunitensi di quel ventennio è stata spesso definita una vera e propria “bulimia dei consumi”, ovvero un fenomeno causato dalla grande disponibilità di liquidi che caratterizzava l’epoca, spingendo i piccoli consumatori a spendere ben oltre le proprie possibilità, indebitandosi irrimediabilmente.
Si può ricollegare allo scenario macroeconomico degli Usa nel 2008 anche il paradosso della felicità. Tale paradosso consiste nello studio della relazione tra felicità e reddito: all’aumentare del reddito la felicità aumenta progressivamente, ma solamente fino a raggiungere una determinata soglia, per poi iniziare addirittura a diminuire, rendendo la correlazione tra Pil e benessere umano negativa. La principale causa di questa correlazione negativa è il cosiddetto “Hedonic Treadmill” (“Tapis Roulant Edonistico”) che consiste principalmente nella capacità degli esseri umani di adattarsi facilmente a nuovi standard di vita in seguito ad un incremento del reddito, diminuendo gli effetti positivi di un aumento delle proprie possibilità economiche.

La crisi economica del 2008 rappresenta, a solamente un decennio di distanza, un punto di svolta notevole nella storia sociale, economica e politica globale. Insieme all’11 settembre 2001, questo momento rappresenta forse la fine dell’illusione della “Fine della Storia”, quel processo teorizzato dal ricercatore statunitense Francis Fukuyama che vedeva nel crollo del blocco comunista dei primi anni ‘90 la scintilla necessaria alla diffusione del capitalismo democratico liberale nel mondo.
Quando il secondo Boeing colpisce il World Trade Center, l’occidente si rende conto di non aver esaurito i suoi nemici. Alla mattina del 15 settembre 2008, alla notizia del fallimento della Lehman Brothers e del conseguente collasso della borsa statunitense, si accorge dei limiti del sistema finanziario che sta alla base della sua economia.
La crisi del 2008 non porta solamente esorbitanti danni economici agli Usa e al mondo, ma inaugura una nuova stagione della democrazia occidentale, sempre più fondata sul rimarcare la divisione tra quelle classi sociali “sopravvissute” alla crisi, e quelle invece danneggiate dalle dinamiche della globalizzazione che hanno portato al crollo del 2008.
Il grave colpo subito dall’economia statunitense (che è stata certamente in grado di recuperare, ma al costo di grandi indebitamenti e soprattutto con un grande danno di immagine e credibilità), ha dato poi ulteriore slancio all’emergere della Cina come prima economia mondiale, un sorpasso che si sta completando in questi mesi anche a causa della pandemia da Coronavirus, e che inevitabilmente modificherà ogni scenario economico e politico nei decenni a venire.

Ludovico Bianchihttps://orizzontipolitici.it
Genovese, ligure, europeo. Laureato in International Politics all’università Bocconi, ora sono uno studente Double Degree con Sciences Po e mi occupo attivamente di Africa Centrale per non farmi mancare niente. Sempre però con con il mare negli occhi, il Milan nel cuore e soprattutto storia e politica nei pensieri.

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