L’Accordo sull’agricoltura
Ad oggi, l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) rappresenta un’istituzione fondamentale nelle regolamentazioni relative alla sicurezza alimentare. Le politiche commerciali sono infatti strettamente connesse al sistema alimentare mondiale, tanto che molti degli aspetti inerenti alla food security sono oggetto di disciplina da parte delle stesse norme che regolano il commercio internazionale. Storicamente, tali norme non hanno solamente plasmato l’evoluzione della governance globale del cibo, ma hanno anche delineato il progressivo cambio di paradigma del concetto stesso di sicurezza alimentare.
In tale contesto, la normativa cardine è costituita dall’Accordo sull’agricoltura, stipulato in seno al GATT a seguito dell’Uruguay Round (1986 -1994), ciclo di negoziazioni commerciali che ha sancito la nascita dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). L’importanza di tale accordo risiede nell’avere reso per la prima volta le politiche agricole globali soggette a vincoli concordati su base multilaterale.
Fino ad allora, le politiche alimentari erano prerogativa delle istituzioni a livello nazionale e locale; nei singoli Paesi erano in vigore sussidi per la produzione, barriere tariffarie – dazi all’ingresso per le merci provenienti da Paesi terzi – e riserve volte a regolamentare i prezzi agricoli. Ciò rifletteva il paradigma dominante nel corso del XX secolo, che vedeva il cibo, data la sua rilevanza per la sicurezza nazionale, come differente rispetto alle altre merci commerciali (“food is different”).
A partire dagli anni ‘80, con l’affermarsi del Washington consensus, tali politiche vennero progressivamente smantellate in favore di una maggiore liberalizzazione del commercio internazionale.
L’Accordo sull’agricoltura si inseriva in questa cornice, e aveva come obiettivo quello di instaurare “un sistema di scambi agricoli equo e orientato verso il mercato”, tramite una maggiore apertura del mercato interno e la riduzione dei sussidi alla produzione e all’esportazione. L’Accordo ha fortemente condizionato l’economia del settore andando a incidere sui flussi commerciali delle materie prime agricole; tuttavia, il tema della sicurezza alimentare e delle politiche per contrastarla fu affrontato solo marginalmente.
La “questione agricola” e il Doha round
La scarsa severità per quanto concerne gli obblighi di liberalizzazione ha contribuito ad un’apertura dei mercati non uniforme a livello globale, con la economie avanzate piuttosto restie ad abolire le barriere tariffarie, al fine di tutelare la propria popolazione impiegata nel settore primario. Il risultato complessivo è quindi ritenuto sbilanciato dal punto di vista dell’equilibrio tra gli interessi dei Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, poiché questi ultimi hanno spesso faticato a esportare i propri prodotti agricoli verso gli Stati industrializzati.
L’impatto dell’Accordo del 1994 nei Paesi in via di sviluppo, insieme alla crescente rilevanza dei movimenti sociali contadini attivi dai primi anni ‘90, hanno reso la “questione agricola” uno dei temi più dibattuti sin dalla nascita dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Da un lato, ciò ha portato all’emergere di un nuovo paradigma legato al concetto di “sovranità alimentare”, che postula un ritorno del potere decisionale alle comunità locali ed evidenzia l’esigenza della transizione verso un sistema alimentare più equo e sostenibile. Dall’altro, la discussione intorno all’attuale disciplina delle politiche alimentari nei confronti della sicurezza alimentare ha avuto il merito di restituire centralità all’argomento nei successivi negoziati commerciali.
L’inizio del nuovo millennio è stato aperto dal Doha round (2001), che ha inaugurato il ciclo di negoziazioni WTO ad oggi in corso. Durante il dibattito che ha portato alla definizione dell’Agenda di Doha per lo sviluppo, la sicurezza alimentare a livello globale e gli interessi dei Paesi in via di sviluppo hanno progressivamente guadagnato sempre più spazio. Ciò è stato possibile grazie al consolidamento del potere negoziale di Paesi come Cina, India e Brasile, e, in generale, grazie alla maggiore attenzione nei confronti dell’argomento a seguito della crisi dei prezzi agricoli del 2007-2008. Tuttavia, le conferenze ministeriali che sono seguite, ostacolate da divergenze politiche interne, hanno portato risultati concreti molto limitati. Attualmente, la dodicesima conferenza ministeriale del ciclo di Doha è stata riprogrammata a causa della pandemia di Covid-19, ed è prevista per giugno 2021.
Sicurezza alimentare e Covid-19
Nonostante l’impegno e l’interesse da parte della comunità internazionale, il numero di persone che soffrono una grave condizione di insicurezza alimentare è in aumento e la possibilità di raggiungere il secondo obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 (Zero Hunger) risulta sempre più remota: l’insicurezza alimentare è passata dal 23,2% nel 2016 al 26,4% al 2018. Nel 2019, inoltre, un rapporto dell’Onu mostra che, prima dell’avvento della pandemia di Covid-19, quasi 690 milioni di persone, ovvero l’8,9% della popolazione mondiale, hanno sofferto la fame: un aumento di 10 milioni di persone rispetto al 2018 e di quasi 60 milioni rispetto a cinque anni fa.
Il covid-19, quindi, ha inesorabilmente accelerato un grave processo già in corso: sempre secondo l’Onu, sono la recessione economica e l’interruzione delle filiere alimentari causate dalla pandemia a esacerbare una condizione globale di insicurezza alimentare preesistente. In particolare, l’emergenza sanitaria ha intaccato i quattro pilastri della sicurezza alimentare, ovvero disponibilità, accesso, consumo di cibo e stabilità degli approvvigionamenti nel lungo periodo. La minaccia più grave è quella relativa all’accesso ai beni alimentari, causata principalmente dalla perdita di reddito e di beni che pregiudicano la capacità di acquistare cibo.
Va inoltre sottolineato che l’insicurezza alimentare è una causa e manifestazione della povertà. Le famiglie più povere, infatti, spendono circa il 70% del loro reddito in cibo e hanno un accesso limitato ai mercati finanziari: questo rende questa categoria particolarmente vulnerabile agli shock. Risulta quindi evidente come l’impatto del Covid-19 colpisca maggiormente la sicurezza alimentare delle fasce più povere della popolazione a causa dei loro redditi inferiori, della mancanza di asset produttivi e della loro minore resilienza.
A partire dalla crisi dei prezzi agricoli del 2007-08, passando per la successiva recessione economica e finanziaria, per l’emergenza climatica e per l’attuale pandemia, ciò che risalta è l’estrema fragilità e vulnerabilità dell’attuale sistema alimentare globale. Il problema della fame nel mondo ad oggi non è quantitativo, ma di distribuzione e accesso, e ancor più centrale appare quindi il ruolo delle politiche di contrasto all’insicurezza alimentare. Nell’attuale situazione di incertezza globale, il contesto commerciale ricopre un ruolo importante nel definire il trattamento delle questioni connesse all’accesso al cibo, e nel delineare il paradigma di food security che emergerà dai prossimi round negoziali.
Testo a cura di Maria Luisa Zucchini e Martina Mazzini
*sicurezza alimentare [crediti foto: cloudvisual // Unsplash]
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