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Un anno di pandemia (più la Brexit): tutte le grande dell’export italiano

Tempo di lettura stimato: 6 min.

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Articolo pubblicato su Business Insider Italia

La crisi economico-sanitaria da Covid-19 ha colpito tutti i settori della nostra economia. Ciò perché i freni ai consumi, inevitabilmente, finiscono per aggredire un’ampia gamma di beni e servizi. Molti di questi sono prodotti del Made in Italy, che trainano le nostre esportazioni e che fanno conoscere il marchio italiano in tutto il mondo. Ma dopo un anno di pandemia, di quanto è diminuito l’export italiano, e quali settori sono rimasti maggiormente colpiti? 

L’ammontare del crollo

Stando a quanto riporta l’Osservatorio economico del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, l’export italiano è diminuito di quasi il 10% nel 2020 rispetto all’anno precedente; numeri che non si vedevano dai tempi della Grande recessione. L’Osservatorio riporta infatti un crollo di quasi 50 miliardi di euro dal 2019 a fine 2020. Nonostante questo, l’Italia ha conservato le sue quote sull’export mondiale, pari a circa il 3%. I Paesi che hanno risentito maggiormente del crollo dell’export italiano sono Hong Kong, Slovenia ed Egitto, le cui importazioni dall’Italia sono crollate di più del 25%. Meno hanno accusato il colpo Cina e Arabia Saudita, dove l’import italiano è diminuito rispettivamente dello 0,6% e dell’1,8%. Nondimeno, indipendentemente dal Belpaese, altri attori internazionali hanno risentito notevolmente della crisi da Covid-19. Fra questi compaiono la Germania, il cui export è diminuito del 9,3%; la Francia, che ha avuto un crollo del 16,3%; e gli Stati Uniti, le cui quote di mercato dal 2019 al 2020 sono diminuite dello 0,5%.

C’è chi ci ha rimesso…

Nonostante la crisi non abbia risparmiato nessun settore della nostra economia, vi sono comparti che sono stati colpiti più di altri. I peggiori ribassi provengono da settori che producono beni intermedi, come i metalli. La pandemia infatti ha particolarmente danneggiato le catene globali del valore (Cgv), ovvero tutte le forme di attività economica in cui la produzione di un bene e/o servizio è ripartita tra diverse nazioni. Ha sofferto molto anche la meccanica strumentale, a causa delle incertezze nelle scelte di consumo degli individui. In particolar modo, si stima per le apparecchiature elettriche un crollo delle esportazioni del 13% circa. Nel dettaglio dei beni che compongono il nostro export, gli acquisti dall’estero di macchine per la metallurgia sono diminuiti di circa il 29% rispetto al 2019, seguite da articoli in cuoio e pellicce, per cui il crollo si è attestato al 24% circa.

…e chi ci ha guadagnato

Alcuni settori caratteristici del Made in Italy hanno riscontrato nella pandemia un’occasione redditizia da cogliere al volo. Fra questi, figurano il settore chimico – trainato dalla componente farmaceutica -, agricoltura e alimentari – la cui produzione non ha risentito del lockdown e la cui domanda è stata sostenuta dall’aumento della spesa per alimenti e bevande – ed e-commerce, per cui l’export di prodotti destinati a consumatori finali è cresciuto del 15%, similmente al 2019. Nel dettaglio, metalli di base preziosi e altri metalli ferrosi nel 2020 sono stati esportati del 22% in più rispetto al 2019, seguiti da medicinali e preparati farmaceutici – che sono i prodotti maggiormente esportati dal nostro Paese.

Perché l’export è crollato?

La diminuzione dell’export ha alla base ragioni di vario tipo. Innanzitutto, le limitazioni agli spostamenti di beni, servizi e persone non consente un’adeguata spinta alle esportazioni di un Paese. Questa è anche la ragione per cui non solo l’Italia, ma tutti i Paesi colpiti dal Covid-19 hanno avuto ricadute sul proprio export – come la Germania sopra descritta.

In secondo luogo, la chiusura delle attività produttive ha portato ad una una riduzione dell’offerta di beni e servizi, e quindi di un’inevitabile diminuzione di importazioni dall’estero.

Infine, l’export è diminuito anche perché secondo l’Istat, sempre a causa dell’interruzione delle catene produttive nel paese, il reddito delle famiglie è diminuito di circa il 3% nel 2020; anche questa riduzione è complice di una diminuzione nella spesa per consumi finali dell’11% circa. Una diminuzione dei consumi implica una riduzione della produzione, e quindi dell’export dalle imprese per via del calo della domanda.

Il ruolo della Brexit

Non solo pandemia: anche la Brexit ha avuto un impatto non indifferente sul nostro export. Difatti, il contributo che la separazione del Regno Unito dall’Ue ha avuto sulle nostre esportazioni emerge dai dati pubblicati il 12 marzo dall’Ons (Office for National Statistics), relativi alla bilancia commerciale della Gran Bretagna. Stando a quest’ultimi, il Regno Unito ha registrato un crollo dell’export verso l’Ue del 40,7%, oltre ad un calo del 29% delle importazioni. Nel dettaglio, le esportazioni italiane verso la Gran Bretagna sono crollate del 38% rispetto al 2019, anche per via degli ostacoli burocratici ed amministrativi che frenano gli scambi commerciali. La Coldiretti riporta come questi ostacoli abbiano colpito soprattutto beni quali prodotti alimentari, mezzi di trasporto, abbigliamento, macchinari e apparecchi. Questi prodotti subiscono maggiormente gli effetti degli ostacoli derivanti dalla Brexit, ed in particolar modo sono i prodotti deperibili ad essere protagonisti di questa “separazione”, come gli ortaggi o i prodotti caseari. Emergono forti criticità guardando soprattutto alle procedure doganali, che adesso implicano costi di trasporto più alti causa ritardi e maggiori controlli per via della Brexit.

Cosa aspettarsi nei prossimi mesi

Per la ripresa post Covid-19, vi sono due fattori da tenere in considerazione nel nostro Paese. La prima è relativa alla dimensione delle nostre imprese, in quanto oltre il 50% dell’export italiano in valore deriva dalle Pmi. Le esportazioni, per queste imprese, rappresentano una leva di sviluppo fondamentale, che permette al tessuto aziendale italiano – composto al 76% da Pmi – di emergere, anche in termini di competitività internazionale.

La seconda riguarda invece la bassa propensione all’export del sud Italia. Le regioni del Mezzogiorno infatti rappresentano, da 10 anni a questa parte, solo il 10,3% circa dell’export nazionale. E sebbene dal 2011 al 2019 l’export del sud Italia sia cresciuto del 14% – quasi la metà della crescita nazionale, +26% -, quest’area del Paese vanta ancora un potenziale di crescita, stima la Fondazione Masi, intorno ai 17 miliardi di euro, grazie a realtà di eccellenza in vari settori – apparecchi elettrici, agrifood, prodotti in metallo. 

A questi elementi, vanno però aggiunti due fenomeni macroeconomici che finiranno inevitabilmente per influire sulla ripresa dell’export del Made in Italy. Il primo viene dagli Usa, dove il presidente americano Joe Biden ha recentemente messo fine alla politica di dazi del suo predecessore, Donald Trump. Infatti, l’Ue e gli Stati Uniti hanno concordato di sospendere tutte le tariffe di ritorsione sulle esportazioni tra i due blocchi. Un provvedimento che, secondo Coldiretti, avrà impatti fortemente positivi sull’alimentare italiano.

Infine, buone notizie arrivano anche dal Recovery Fund, che secondo il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis “aiuterà a migliorare la competitività globale dell’Italia e darà una spinta alle esportazioni”. Per esempio, le aziende italiane dovrebbero poter trarre vantaggio da una maggiore efficienza della Pubblica amministrazione.

Le recenti stime di PwC, inoltre, lasciano trasparire profonda fiducia nella ripresa dell’export italiano negli anni a venire: la nota società di consulenza stima per l’Italia esportazioni per 461 miliardi di euro nel 2021 (+9.3%), 487 miliardi nel 2022 (+5.5%) e 510 nel 2023 (+4.8%). L’export ha sofferto molto, tanti settori sono stati colpiti e tanti Paesi hanno accusato notevolmente la crisi, ma ci sono margini per far ripartire non solo le esportazioni, ma l’economia italiana tutta.  

Testo a cura di Mattia Moretta

* Container [crediti foto: distelapparath // Pixabay License]
Mattia Moretta
Italiano, prima di tutto. Nato in un posto in riva al mare d’Abruzzo, vivo dal 2000. Studio Economia e Management in Bocconi. In OriPo ho trovato lo strumento migliore per esprimere la mia passione per la politica. Tre punti di riferimento: la libertà, il mare e la musica. P.S. I capelli grigi sono naturali.

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