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Il cambiamento climatico alla prova del Covid-19

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A fine febbraio, le immagini satellitari realizzate dalla Nasa rivelavano un’importante riduzione dell’inquinamento in Cina, particolarmente nel Nord-Est del Paese, nella capitale Pechino, e in altre due grandi città, Lanzhou e Shanghai. Le immagini sono suggestive, e sono la prova della decrescita, per lo meno temporanea, del livello di diossido di azoto nell’aria, in conseguenza della quarantena messa in atto per fronteggiare la pandemia. Ma quali opportunità offre il Covid-19 per rallentare il cambiamento climatico sul lungo corso?

La drastica decrescita dell’inquinamento nel mondo 

In Cina, le emissioni di anidride carbonica  nell’atmosfera sono diminuite del 25% durante il mese di febbraio, l’equivalente di 200 milioni di tonnellate di CO2, a causa del calo di consumo di energia. Generalmente, è normale che si registri una diminuzione durante il periodo del Capodanno cinese, che quest’anno cadeva il 25 gennaio. Diminuzione che però generalmente viene annullata nei giorni che seguono la festività, quando il Paese riprende un livello di attività normale. Quest’anno invece, non è stato così. Il consumo di carbone ha raggiunto il suo punto più basso 17 giorni dopo l’anno nuovo, con un consumo giornaliero inferiore di 21,8 decine di migliaia di tonnellate rispetto allo stesso giorno nel 2019. In totale, c’è stata una riduzione del 25% dell’uso di energia in Cina da gennaio, che potrebbe tradursi in una riduzione dell’1% delle emissioni totali di CO2 da carbone per l’anno 2020. 

Un effetto simile si è osservato negli altri Paesi del mondo, che si sono fermati da un giorno all’altro per le misure di lockdown. A New York, l’inquinamento, misurato in termini di qualità dell’aria, si è ridotto almeno del 50% dall’inizio delle misure di isolamento rispetto a marzo 2019, poiché il traffico automobilistico dentro la città si è ridotto del 35%. I limiti imposti sui trasporti e le attività commerciali sono la principale causa di queste riduzioni, soprattutto in Italia dove si stanno sperimentando le restrizioni di movimento più severe dalla Seconda guerra mondiale. Secondo il Corriere della Sera, nel nostro Paese nella settimana dal 25 febbraio al 4 marzo, la circolazione dei veicoli leggeri è scesa del 20%, mentre la riduzione di CO2 dovuta al traffico è stata di 139.960 tonnellate. La chiusura delle scuole implica anche una riduzione dell’uso del riscaldamento, che combinato alla chiusura di più di 3.500 aziende in Lombardia e in Veneto, contribuisce ulteriormente a ridurre il totale di CO2 presente nell’aria.

Il rischio di un impatto negativo a lungo termine

Ma la domanda chiave è la seguente: questa riduzione imprevista dell’inquinamento mondiale avrà un impatto a lungo termine sul cambiamento climatico? Secondo la professoressa Corinne Le Quéré della University of East Anglia, ciò dipende da quanto tempo la pandemia durerà ancora. Secondo la scienziata, l’effetto dell’inquinamento è solo temporaneo, tuttavia se l’isolamento, soprattutto negli Stati Uniti, dovesse durare altri tre o quattro mesi, sarebbe possibile osservare riduzioni importanti per l’anno 2020. Tuttavia, su queste previsioni influisce anche la strategia che sarà intrapresa dai singoli governi per rilanciare l’economia. In questo senso, il caso della crisi del 2008-09 non è molto incoraggiante. 

In tale occasione infatti, erano state le imprese che utilizzavano combustibili fossili pesanti, e dunque tra le più inquinanti, ad aver ricevuto la maggior parte dei fondi di salvataggio da parte degli Stati. Di fatto, dopo la crisi, le emissioni di CO2 erano aumentate del 5% proprio in seguito agli stimoli fiscali che avevano dato nuovo impulso all’uso dei combustibili fossili. Oggi esiste il rischio che le imprese, privilegiando il ritorno della crescita nel breve periodo, scelgano soluzioni sicure, che impiegano però energie più inquinanti. Tale scelta aumenterebbe il rischio di un altro rischio sanitario, legato allo sviluppo di malattie respiratorie gravi, come suggerito da Helen Mountford, vice presidente per il clima e l’economia al World Resources Institute

Un altro rischio portato dalla crisi del Covid-19 riguarda il fatto che l’attenzione dei cittadini, dall’America alla Cina passando per l’Europa, venga allontanata dall’emergenza climatica. Tutti gli eventi destinati ad attirare l’attenzione del pubblico sul cambiamento climatico sono stati cancellati, come ad esempio le manifestazioni organizzate dal movimento Fridays for future di Greta Thunberg. Nel frattempo inoltre, per certi gruppi industriali, la pandemia sta rappresentando un’occasione d’oro, dopo che negli ultimi anni si è data la caccia alla plastica monouso. In questo momento infatti, la plastica sembra essere tornata in voga a causa dei timori, seppur non comprovati scientificamente, di chi lavora, in merito alla possibilità che le buste riutilizzabili portate da casa dai clienti siano potenziali vettori del virus. Per di più, fra mascherine a base di polimeri, bottigliette di liquido igienizzante e carrelli pieni di prodotti protetti da plastica al supermercato, l’uso monouso della plastica non è certo prossimo all’estinzione di questi tempi.

Un’opportunità storica per la transizione energetica 

D’altro canto, l’emergenza Coronavirus potrebbe anche essere una grande opportunità per la transizione energetica. L’Agenzia internazionale di energia ha insistito sull’”opportunità storica” che si presenta ai governi per accelerare gli investimenti in energie rinnovabili, mentre Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, sottolinea la “responsabilità di doverci riprendere meglio” dalla recessione che ci aspetta, rispetto al rilancio poco sostenibile dell’economia post-crisi del 2008. Le Nazioni Unite hanno infatti richiamato altre organizzazioni come l’Unione europea a fare della transizione energetica il cuore dei pacchetti economici di salvataggio, con l’obiettivo di spingere le imprese a incrementare i loro investimenti nelle energie rinnovabili. Per di più, l’opportunità che si presenta nel 2020 per la sostenibilità della crescita economica si accompagna a un costo sempre più basso delle energie pulite rispetto a quelle fossili e anche al gas naturale. Helen Mountford del World Resources Institute insiste anche sulla capacità di questi progetti di attrarre investimenti e di conseguenza di creare impiego.

Come ha risposto l’Europa? Nonostante al momento gli sforzi dell’Ue siano tutti concentrati sul trovare modalità per finanziare l’emergenza sanitaria, alcuni hanno già sottolineato che il Green Deal europeo lanciato dalla Commissione von der Leyen dovrà essere messo al centro della ripresa economica. In una lettera aperta firmata lo scorso giovedì da tredici ministri del clima e dell’ambiente, viene riaffermata la necessità di mettere la transizione a basso-carbone e l’azione contro il cambiamento climatico al centro dei programmi di rilancio economico. Essi insistono quindi sulla necessità di mettere il Green Deal europeo al centro degli sforzi per ricostruire le economie del vecchio continente, sottolineando soprattutto il bisogno di collaborazione di tutti i membri per raggiungere tale obiettivo.

L’attuale crisi sanitaria è una sfida su tanti livelli, ma rappresenta anche un’opportunità storica per cambiare il nostro modello di produzione e muoverci verso una maggiore sostenibilità delle nostre economie. Il 14 aprile a Bruxelles, Pascal Canfin, legislatore dell’Ue, ha riassunto così la situazione attuale: “La crisi portata dal Covid-19 non ha fatto sparire l’emergenza climatica. Se rilanciamo l’economia nella direzione sbagliata, colpiremo il muro della crisi climatica”. 

Clara Thébert
Unica straniera sulla lista, cerco sempre di farmi passare per Italiana. Nata a Parigi nel 1999, studio Scienze Politiche all'Università Bocconi. Cittadina del mondo, però soprattutto Europea, colgo tutte le opportunità per allargare i miei orizzonti.

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