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Crisi climatica e migrazioni: l’impatto del clima sui flussi migratori

Tempo di lettura stimato: 6 min.

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La crisi climatica sta ridisegnando i confini del mondo a causa di temperature sempre maggiori e catastrofi naturali sempre più frequenti, ad un ritmo senza precedenti nella storia della civiltà moderna. Se combinato con vulnerabilità fisiche, sociali, o ambientali, il cambiamento climatico può minare la sicurezza alimentare, idrica ed economica delle popolazioni che ne subiscono le conseguenze e, in ultima istanza, diventa una delle cause dietro alle migrazioni di massa da interi territori.

 

La crisi climatica come causa di migrazioni

I recenti dati sul clima hanno mostrato un costante aumento di fenomeni climatici avversi, al punto che, tra il 2008 e il 2016, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha riferito che ogni anno circa 21,5 milioni di persone sono state costrette a emigrare a causa di eventi atmosferici estremi, e altre migliaia a causa di rischi ad insorgenza lenta legati agli impatti del cambiamento climatico. Inoltre, si stima che, durante lo scorso secolo, dal 3% al 20% dei conflitti bellici globali abbia avuto tra le cause scatenanti fattori legati al clima, come la guerra civile siriana, le cui motivazioni sono in parte da ricollegarsi alla scarsa disponibilità idrica dopo un lungo periodo di siccità. 

La società moderna deve, quindi, non solo affrontare la questione delle migrazioni così come è sempre stata conosciuta, ma anche le migrazioni in risposta alla crisi climatica, che si può configurare come strategia di adattamento proattiva o come spostamento forzato di fronte a rischi mortali legati al cambiamento del territorio e alla mancanza di risorse. Si tratta di una forma di mobilità che non riconosce i confini geografici e nazionali, e che quasi sempre può anche spingersi attraverso le frontiere internazionali.     

Ad oggi, questa tipologia di mobilità è stata per lo più interna al Paese stesso e sempre nella direzione dei centri urbani con l’abbandono delle zone rurali divenute improduttive. Sebbene la maggior parte delle migrazioni a causa della crisi climatica rimanga all’interno del proprio Paese d’origine, la tendenza all’accelerazione degli spostamenti globali legati agli impatti climatici sta accrescendo anche gli spostamenti transfrontalieri, in particolare quando i cambiamenti del clima si intersecano con conflitti e violenze. Per tali ragioni, con l’intensificarsi degli effetti del cambiamento climatico, appare sempre più importante e necessario comprendere i fattori sottostanti che possono mitigare o esacerbare le migrazioni e sviluppare nuove strategie per affrontare questi eventi con maggior prontezza. 

 

Lo sfollamento climatico da una prospettiva europea

Osservando nello specifico il contesto europeo, l’Unione sta vivendo negli ultimi decenni un fenomeno di immigrazione senza precedenti. Più di 2,5 milioni di persone hanno attraversato il Mediterraneo dal 2014 ad oggi, in fuga da guerre, violenze e povertà, alla ricerca di un futuro possibile lontano dalla propria casa. Il fenomeno della migrazione, però, se da un lato rappresenta il simbolo della rinascita e della speranza, dall’altro ha un costo altissimo di vite umane. Si calcola che nel Mare Nostrum abbiano trovato la morte più di 25.000 persone negli ultimi dieci anni, tra cui moltissimi bambini nella prima o seconda infanzia e minori non accompagnati. 

Nel 2011, il Parlamento europeo ha richiesto al Centro internazionale per lo sviluppo delle politiche migratorie (ICMPD) uno studio sulle risposte giuridiche e politiche alle migrazioni indotte dall’ambiente. Si tratta di una ricerca che ha lo scopo di riesaminare la questione alla luce del crescente interesse in tema di immigrazione, e che mira a soddisfare la necessità di rispondere al nesso migrazioni-crisi climatica sempre più rilevante. I due fenomeni, in parte interconnessi l’uno all’altro da un rapporto di causa ed effetto, sono stati spesso citati all’interno dei dibattiti politici e sociali a livello europeo, e sollevano questioni di equità e giustizia sociale. In particolare, gli impatti delle migrazioni sono disomogenei, e colpiscono più gravemente alcune fasce della popolazione rispetto ad altre, tra cui le donne. Le risposte che si possono trarre in merito sono importanti per rendere sempre più specifiche ed efficaci le politiche europee in materia economica, sociale e politica riferite all’ambiente e all’impatto che genera sui cittadini, sia europei che extraeuropei.

 

Il lato debole delle politiche sull’immigrazione climatica

Secondo quanto definito dalla Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE), “piuttosto che una semplice reazione ai cambiamenti climatici o alle catastrofi, la migrazione dovrebbe essere intesa come una strategia di adattamento, un modo per far fronte agli impatti sulle vite e sui mezzi di sussistenza”. 

Data la visibilità che la migrazione e lo sfollamento ambientale hanno assunto nel contesto delle iniziative politiche internazionali, nuove arene di discussione globali ed europee sono state costituite per agevolare il dibattito sull’argomento. Un risultato ottenuto da questi sforzi prende il nome di iniziativa Nansen, lanciata dalla Svizzera e dalla Norvegia, il cui obiettivo è quello di migliorare la protezione di coloro che sono costretti a fuggire all’estero a seguito di calamità e catastrofi naturali, i cosiddetti profughi del clima. Tuttavia, una simile iniziativa non è sufficiente a contrastare gli effetti negativi dello sfollamento climatico, ma altre soluzioni devono essere promosse, come il Patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare, che ha dato risalto ai fattori ambientali della migrazione e ai modi per affrontarli attraverso la cooperazione internazionale.

A livello nazionale, finora solo la Svezia e la Finlandia hanno incluso nella propria legislazione nazionale la protezione delle persone colpite dai cambiamenti climatici e dai disastri naturali, purché risultino essere impossibilitate a fare ritorno al proprio Paese di provenienza. Tuttavia, anche in questi due casi, a seguito di un elevato numero di arrivi di migranti nel 2016, le disposizioni nazionali sulla protezione del rifugiato sono state temporaneamente sospese. 

Sebbene il contributo dell’Europa nel promuovere la protezione dell’ambiente sia sempre più importante nei forum globali, nel contesto delle politiche di protezione internazionale, nessuna iniziativa europea ha fino ad ora affrontato il tema delle migrazioni causate dalla crisi climatica. Inoltre, secondo quanto riportato dalla Convenzione sui rifugiati del 1951, lo sfollamento per motivi ambientali non soddisfa, da solo, il requisito della protezione dei rifugiati, da cui si può dedurre che l’Unione Europea ancora non riconosce lo stress climatico come ragione valida per richiedere lo status di rifugiato all’interno dei propri confini. Queste carenze mettono in luce l’assenza di strumenti adatti ad affrontare le conseguenze di questi due fenomeni congiunti e la necessità di una nuova interpretazione dei fatti, più attenta e specifica di quella fino ad ora adottata. 

 

Perché l’Europa dovrebbe prendere posizione

Se lo scenario attuale sembra essere piuttosto negativo e pessimista, le proiezioni temporali delineano un futuro ancora più preoccupante: secondo il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), oltre il 40% della popolazione mondiale vive in contesti di “estrema vulnerabilità ai cambiamenti climatici”. Inoltre, secondo il rapporto “Groundswell” della World Bank (2021), entro il 2050 si stima che circa 216 milioni di persone saranno costrette allo sfollamento climatico per sopravvivere, ovvero un equivalente di individui che supera le popolazioni della Francia, Germania e Italia messe insieme. 

Le macroregioni più a rischio, come Africa occidentale, centrale e orientale, Asia meridionale, America centrale e meridionale e Artico, hanno evidenziato, tra il 2010 e il 2020, un tasso di mortalità dovuto ad eventi climatici estremi 15 volte superiore rispetto alle regioni il cui grado di rischio è più contenuto, preoccupando ulteriormente i Paesi europei che ogni anno accolgono migliaia di profughi, specialmente dal continente africano. 

Se l’Unione Europea vuole seriamente impegnarsi per contrastare il fenomeno delle crisi climatiche e migratorie, interrompendo il ciclo vizioso delle morti in mare e delle costanti pressioni migratorie sulle proprie frontiere, il perseguimento delle politiche del Green Deal non è sufficiente, ma nuove proposte di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per contenere il surriscaldamento globale devono essere avanzate a livello internazionale. Tuttavia, riconoscere il ruolo del clima tra le cause delle partenze rimane una questione complessa e poco studiata dalle nostre istituzioni, dimenticando che i cambiamenti climatici non solo danneggiano le regioni più vulnerabili, ma, prima o poi, sempre più concretamente, anche i nostri territori. 

 

 

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