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L’oro tossico, così il traffico dell’eroina attraversa il mondo

Tempo di lettura stimato: 6 min.

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Secondo il più recente rapporto sul consumo di droghe dell’UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine), pubblicato nel 2021, nel mondo i consumatori di sostanze stupefacenti risultano essere oltre 271 milioni, geograficamente collocabili per lo più nei Paesi occidentali. Dai dati e dalle ricerche emerge chiaramente che sebbene siano i continenti più ricchi a fare uso delle sostanze stupefacenti, queste vengano per la loro quasi totalità prodotte e trafficate in alcuni dei paesi più poveri e instabili del pianeta. Il sistema di compravendita illegale, e del traffico di eroina in generale, riguarda di conseguenza l’intero sistema mondiale e vede coinvolti da un lato i Paesi produttori, e dall’altro quelli consumatori.

A tal proposito è fondamentale tenere conto delle organizzazioni criminali che operano in questo mercato: secondo il rapporto di Global Finance Integrity, pubblicato nel 2017, esso avrebbe un valore compreso fra i 426 ed i 652 miliardi di dollari, superiore a quello di qualsiasi altro traffico illegale e secondo solo a quello della contraffazione.

Frequentemente gli studi sul mercato delle droghe non tengono però conto di quanto le dinamiche politiche ed economiche influenzano in maniera determinante i flussi di stupefacenti. In questo frangente, il caso del traffico di eroina e più in generale di droghe derivanti dall’oppio, è esemplare. 

Dalla via al traffico dell’eroina

Secondo il rapporto dell’UNODC, ogni anno vengono prodotte in media circa 400 tonnellate di eroina pura, per un giro d’affari totale di circa 55 miliardi di dollari (se si aggiungono gli oppioidi e l’oppio il valore arriva fino a 132 miliardi). Questo significa che tutte le sostanze morfina-simili costituiscono il 20% del mercato globale degli stupefacenti. L’aspetto che più contraddistingue il commercio dell’eroina rispetto a quello delle altre droghe è però l’interconnessione che questo traffico ha con le dinamiche geopoltiche delle aree in cui è diffuso. Nel mercato degli oppioidi infatti, le vicende politiche ed economiche di un Paese determinano in modo preponderante l’andamento del fenomeno.

Per quale motivo? Alcuni casi meglio di altri potrebbero evidenziare meglio la questione. 

La Mezzaluna d’oro, il caso dell’Afghanistan

La maggior parte dell’eroina presente nel mondo viene prodotta in pochissimi territori che si collocano per lo più nella zona geografica denominata Mezzaluna d’oro, un’area che comprende l’Afghanistan, l’Iran, il Pakistan e in misura minore l’India e il Nepal. Questo avviene perché l’oppio necessita di condizioni geografiche e climatiche precise, ovvero un clima umido e soprattutto un terreno sabbioso, che in questi luoghi sono presenti. Fin dal XIII secolo, proprio questi elementi hanno portato lAfghanistan ad essere una terra adatta alla coltivazione di oppio, tanto da renderla oggetto dei desideri espansionistici di vari Stati, nonché terreno fertile per il dominio dei signori della guerra e della criminalità organizzata.

Nel 2008, superando la Birmania, l’Afghanistan ha conquistato il primato globale nella coltivazione di oppio destinata alla produzione di eroina: le rotte balcaniche e nordiche sono diventati i corridoi principali del traffico che collega l’Afghanistan alla Russia (per un valore di 13 miliardi di dollari) e all’Europa occidentale (20 miliardi di dollari) mentre quelle che attraversano l’Africa sono direzionate agli Stati Uniti. Per comprenderne l’imponenza, basti pensare che gli oppiacei provenienti dall’Afghanistan rappresentano ad oggi circa l’83% dell’intera quantità presente nel mercato mondiale.

Per decenni i proventi derivanti dalle tasse sulla coltivazione di oppio sono stati per i Talebani una vera e propria miniera d’oro che ha permesso loro di finanziare le guerra con Kabul e il sostentamento dei propri membriQuando nell’estate 2021, il presidente statunitense Joe Biden ha ritirato le truppe americane dai territori afgani, il tema è tornato in auge, dando luogo a numerosi dibattiti sul ruolo degli Stati Uniti nell’aumento della produzione di oppio avvenuto dall’inizio della loro presenza sul suolo afgano. A seguito dell’invasione statunitense in Afghanistan nel 2001, infatti, nel giro di venti anni la produzione di oppio è quadruplicata, toccando il valore massimo nel 2018 (oltre 7mila tonnellate), così come l’estensione delle coltivazioni di papavero che coprono oggi circa 350mila ettari (nel 1991 erano  stimate in circa 91mila ettari).

Perchè? Le motivazioni sono molteplici e non sempre di facile analisi. Ciò che però risulta certo è che le politiche antidroga occidentali messe in atto nel Paese non hanno nemmeno lontanamente prodotto i risultati sperati ma al contrario sono risultate fallimentari. Negli ultimi decenni, complice l’instabilità del sistema politico ed economico dell’Afghanistan, i rapporti corrotti tra la criminalità organizzata, i Talebani, i politici e i trafficanti, si sono rafforzati e questo ha portato al consolidarsi delle vie del mercato dell’oppio che anche grazie alle mafie dei Paesi consumatori si sono espanse su scala globale.   

Il triangolo d’oro 

L’area geografica che comprende Birmania, Thailandia e Laos è tristemente diventato noto come il Triangolo d’oro per la massiccia produzione di oppiacei soprattutto legata al boom degli anni Settanta, diretta conseguenza dell’esponenziale coltivazione di oppio in questi territori a seguito dell’abolizione della produzione in Iran nel 1955. A causa delle tensioni militari anche legate a questo traffico illegale, dagli anni 70, il panorama politico ed economico di questi territori ha subito un forte cambiamento.

Un ruolo di eccezione spetta alla Cina in quanto è divenuta a tutti gli effetti una potenza capace di attirare frequenti e vasti flussi di ricchezza. Fu infatti proprio la Cina a favorire l’introduzione del papavero nel Sudest Asiatico con l’obiettivo di svincolarsi dal monopolio occidentale. Il clima di questi territori, particolarmente molto adatto alla coltura, permise la rapida diffusione del papavero anche nelle aree economicamente più povere.

La costante emergenza bellica e la presenza prima dei francesi e poi degli americani determinarono un florido traffico illegale di armi e di denaro sporco che vedeva nell’oppio il principale mezzo di scambi. La contingenza tra il boom economico seguito alla Seconda Guerra Mondiale che portò all’impennata della domanda di stupefacenti e il blocco della produzione in Iran, favorì l’ascesa del triangolo d’oro nel mercato delle droghe. Si stima infatti che proprio in questi anni, il 70% della produzione provenisse dagli Stati di questa area geografica.

Gli anni Novanta furono segnati dal cosiddetto miracolo asiatico, la ovvero dalla crescita esponenziale del Pil cinese e delle economie vicine: la globalizzazione che iniziò a caratterizzare l’intero sistema mondiale apportò al mercato dell’oppio asiatico diversi cambiamenti soprattutto per quanto riguarda il volume e gli spostamenti.

Oggi la percentuale di droga proveniente dal triangolo d’oro si è ridotta al 10%, mentre come già analizzato è la “mezzaluna d’oro” ad imporsi come leader del mercato mondiale. Il merito è in questo caso da imputare alle imponenti politiche di contrasto messe in atto dalla Cina e dalla Thailandia che già dalla fine degli anni Novanta si resero conto di quanto i traffici illegali di queste droghe potessero ledere ai loro stessi interessi economici. 

 

Questi esempi evidenziano quanto il narcotraffico e la politica (anche militare ed economica) siano strettamente interconnessi tra loro, al punto da creare un circolo vizioso difficile da spezzare. In un mondo in cui la globalizzazione e l’interscambio sono elementi costanti e caratterizzanti, per affrontare questo fenomeno risulta quindi necessario sviluppare una visione globale che vada quindi ben oltre alla semplice narrativa della propaganda politica, storicamente incapace di affrontare un fenomeno così radicato nelle dinamiche economiche globali.

 

Giulia Olini
Da sempre appassionata di politica estera, dopo la laurea in Relazioni Internazionali, ho scelto il corso magistrale di Scienze Politiche e di Governo. Amo viaggiare e vivere cercando di scoprire sempre nuove prospettive su ciò che mi circonda.

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