Il contesto italiano e la ricaduta sui giovani
Sin dall’inizio della pandemia numerosi studi dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) hanno analizzato l’impatto del virus Covid-19 sul mercato del lavoro. Quest’ultimo è stato colpito da un particolare shock economico non solo dal lato dell’offerta, a causa dell’interruzione e del rallentamento di buona parte della produzione e dei servizi, ma anche dal lato della domanda, a causa dell’inattività (obbligata) di gran parte della forza lavoro, destinato ad innescare una recessione a livello mondiale senza precedenti. La crisi sarà, secondo l’Oil, particolarmente drammatica soprattutto perché lo shock economico colpirà maggiormente i lavoratori più vulnerabili: le donne ed i giovani. Proprio per questo la prima stesura del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) italiano, per rispondere alle raccomandazioni della Commissione europea, si è dedicato a riforme in materia di sostegno all’occupazione, specialmente quella giovanile e femminile, e di formazione dei lavoratori e disoccupati.
Prendendo in considerazione le dinamiche del mercato del lavoro italiano a livello anagrafico, possiamo notare come i più colpiti dalla crisi causata dal Covid-19 siano i giovani: si stima che durante il primo semestre del 2020, 257 mila giovani tra i 18 e i 29 anni hanno perso il lavoro. Il dato è ancora più preoccupante se consideriamo che questa fascia di età già nel periodo pre-crisi mostrava non solo un alto tasso di disoccupazione (pari al 28,9% nel 2019), ma anche un alto livello di inoccupazione (essendo il 22,2% dei giovani tra i 15 e i 29 anni non impegnati in alcuna attività né di studio, né di lavoro, né di formazione, i cosiddetti Neet). Il Covid-19 sta colpendo gravemente questa categoria soprattutto perché le misure di contenimento del virus stanno incidendo in modo rilevante sulle attività di istruzione e formazione, ponendo grandi ostacoli a coloro che cercano di entrare nel mercato del lavoro. Oltre alle ripercussioni sul benessere psico-fisico, a essere danneggiate saranno anche le future opportunità di lavoro e di guadagno di questa categoria.
Perché proprio i giovani?
Poiché i giovani tipicamente rappresentano, in tutti i settori dell’economia, una categoria di lavoratori marginale, questa crisi sembrerebbe riproporre un antico dualismo tra lavoratori garantiti e non garantiti, di cui questi ultimi subiscono la gran parte delle ricadute economiche. Le ragioni vanno ricercate dapprima nelle dinamiche di un mercato del lavoro “a tutele decrescenti”: uno dei motivi di questa mancanza di giovani sembra essere legata alla natura contrattuale, penalizzante rispetto ai colleghi più anziani. I giovani, indipendentemente dal livello di istruzione conseguito e dalle competenze possedute, si vedono applicare generalmente forme contrattuali non-standard, spesso caratterizzate dalla mancanza di garanzie adeguate, da insicurezza lavorativa, bassi salari, limitate prospettive di crescita professionale, mancanza di formazione professionale e minore accesso ai sistemi di previdenza sociale. La diffusione di lavori precari tra i giovani costituisce un considerevole costo sociale: giovani altamente qualificati che, per rimanere nel mercato del lavoro, hanno accettato lavori meno qualificati potrebbero subire una importante riduzione delle prospettive di crescita e miglioramento delle proprie competenze.
Infine, è importante considerare la problematica dello skill mismatch, ovvero l’incompatibilità tra le competenze richieste dalle aziende e quelle effettivamente possedute dai lavoratori: uno studio BCG ha evidenziato come, sebbene anche prima dell’arrivo del Covid-19 i Paesi abbiano dovuto affrontare difficoltà nel reperire personale qualificato, la pandemia ha aggravato il problema poiché sono mutate molto velocemente le modalità di lavoro e non sempre le competenze erano già state sviluppate.
Le proposte del Pnrr su lavoro e giovani
L’ultima bozza in circolazione del Pnrr, approvata dal Consiglio dei Ministri il 12 gennaio scorso, dedica 27,63 miliardi di euro alla quinta mission di inclusione e coesione, provenienti non solo dai fondi del Next Generation EU, ma anche risorse complementari per 1 miliardo e 650 milioni dal Programma operativo nazionale (ovvero altri fondi europei ottenuti dal Miur) e 24 miliardi e 650 milioni dagli stanziamenti della Legge di Bilancio. Di questi, 12,62 miliardi (poco meno della metà) sono dedicati alle politiche attive del lavoro e all’inserimento lavorativo delle categorie svantaggiate.
Tra gli obiettivi generali identificati dal governo all’interno della bozza sono compresi tre ambiti che andranno ad influenzare nel breve-medio termine le giovani generazioni. Innanzitutto, si vogliono rafforzare le politiche attive del lavoro e della formazione di occupati e disoccupati (3,5 miliardi), in particolare tramite la formazione e ricollocazione dei lavoratori. A questo si accompagna una riforma per potenziare i centri per l’impiego, reinventando un sistema che coinvolga pubblico e privato. Un buon punto di partenza, dal momento che le singole politiche del lavoro di per sé non possono sostituire riforme strutturali del mercato del lavoro, come afferma uno studio del Fondo monetario internazionale. Allo stesso tempo, come dimostra l’Ocse, le caratteristiche del design delle politiche attive del lavoro, non ancora note, nonché la loro interazione con le politiche del lavoro passive saranno cruciali per garantirne l’efficacia. Sarà ad esempio importante puntare sulla formazione del capitale umano e creare programmi non generici, ma funzionali alle diverse tipologie di lavoratori, ai loro bisogni e alla loro motivazione, oltre a tenere in considerazione il ruolo autonomo delle Regioni e la loro eterogeneità.
In secondo luogo, il Pnrr punta ad aumentare l’occupazione giovanile di qualità attraverso il rafforzamento del sistema duale (0,60 miliardi). Tuttavia, bisognerebbe forse parlare di miglioramento anziché di rafforzamento di questo sistema, con un occhio di riguardo ai limiti emersi nel corso degli anni dovuti alla frammentazione e disomogeneità dei percorsi professionali offerti dalle diverse Regioni, creando ulteriori disuguaglianze di opportunità. Inoltre, mentre il sistema duale italiano, ovvero l’alternanza scuola-lavoro, è disponibile solamente per i ragazzi ancora a scuola, sarebbe fondamentale identificare una misura equivalente per chi ormai ha terminato o abbandonato gli studi, e fatica ad accedere al mondo del lavoro.
Infine, l’idea presentata nella bozza del Pnrr di potenziare il servizio civile universale (per 0,65 miliardi) aiuterebbe a ridurre il numero dei Neet, che potranno quindi acquisire nuove soft skills e al contempo fornire un aiuto concreto alla società. Questa misura rischia però di essere efficace solo nel breve termine poiché temporanea. Essa infatti non indirizza il giovane verso una carriera occupazionale, per questo occorre lavorare su soluzioni più permanenti. Per esempio, sarebbe desiderabile un lavoro di miglioramento del Piano garanzia giovani, che l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile ha sottolineato essere un grande assente del cosiddetto #NextGenerationItalia, e che tuttora è limitato dalla disomogeneità regionale e dalla debolezza della rete dei centri per l’impiego.
Nel suo complesso, gli obiettivi del Pnrr appaiono essere delineati nella giusta direzione, anche se non pienamente in linea con le necessità dei giovani italiani. Infatti, essi non coprono in maniera puntuale tutte le gravi problematiche evidenziate sopra ed altre ancora, come la fuga di cervelli, per la quale sarebbe necessario definire una soluzione ad hoc. In conclusione, bisogna notare un altro aspetto fondamentale: le soluzioni per la disoccupazione giovanile e femminile sono discusse solo in quanto necessarie per garantire l’inclusione delle fasce più svantaggiate della popolazione. Per quanto questo sia veritiero, è necessario ricordare che tali categorie di lavoratori hanno un importante potenziale impatto sulla crescita economica dell’Italia: secondo il World Economic Forum, i giovani sono la chiave di volta per il raggiungimento di tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile, tra cui la crescita economica. Di conseguenza, il Pnrr dovrebbe risentire anche di un cambio di impostazione e mentalità, affinché si possa davvero dare spazio alla #NextGenerationItalia.
Articolo a cura di Martina Russo e Francesca Squillante