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Skill mismatch: a che punto è il sistema duale italiano

Tempo di lettura stimato: 6 min.

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Skill mismatch – la situazione in Italia 

Seppur spesso poco affrontato nel dibattito politico, lo skill mismatch rappresenta una delle principali problematiche legate al tema dell’occupazione giovanile,  già martoriata da precarietà e carenza di posti di lavoro. Come riporta infatti il Sole 24 Ore, citando uno studio di Unioncamere-Anpal, nel primo trimestre del 2019 il 31% delle aziende italiane ha riscontrato difficoltà a reperire personale qualificato per 1,2 milioni di contratti programmati. Tale divario non solo interessa tutte quelle posizioni dove sono necessarie lauree, specie quelle  STEM (scienze, tecnologia, ingegneria, matematica), ma anche per quelle dove non è richiesta una laurea. Come fa notare infatti il report di Unioncamere-Anpal, tra le professioni più difficili da reperire troviamo fabbri, saldatori, operai specializzati in installazione e manutenzione di attrezzature elettriche e tecnici informatici. Il tasso di difficoltà di reperimento per queste professioni oscilla tra il 48% e il 58%. 

Per affrontare tale problema, negli ultimi dieci anni sono state attuate una serie di riforme che hanno provato a dare vita a un sistema duale, un sistema di collaborazione basato su una stretto rapporto tra il mondo delle scuole e quello del lavoro, sul modello dell’esperienza tedesca e di altri paesi dell’Europa del Nord. In questa analisi proviamo a comprendere più nel dettaglio che cosa sia la formazione duale, quale sia il suo stato in Italia e analizzare le sue future prospettive e possibili problematiche.

Il sistema duale in Italia 

Come riporta il sito del Ministero del Lavoro, il sistema duale in Italia consiste in una modalità di apprendimento basata sull’alternarsi di momenti formativi in aula e di formazione pratica in contesti lavorativi. In altre parole, il sistema duale cerca di affiancare l’apprendimento a scuola, in classe, a esperienze in ambienti lavorativi, sul modello di successo dell’esperienza tedesca. Il modello odierno è il frutto di due riforme del mercato del lavoro attuate nel 2014 e nel 2015 (le leggi che compongono il Jobs act) e la riforma della Buona scuola. Tre sono gli strumenti che costituiscono i pilastri del nuovo sistema, come riportato dal vademecum stilato dal Ministero del Lavoro in collaborazione con l’UE: 

  1. Alternanza rafforzata: la cosiddetta alternanza scuola-lavoro viene resa obbligatoria per tutti gli studenti di scuola superiore.
  2. Impresa formativa simulata, che consente di sperimentare approcci didattici strettamente collegati con il funzionamento aziendale.
  3. L’apprendistato, che combina il conseguimento di un titolo di studio e l’esperienza professionale diretta.  

Inoltre, ai datori di lavoro privati di tutti i settori produttivi che attivano percorsi in duale spettano diversi vantaggi, quali sgravi contributivi, fiscali, retributivi e altri incentivi economici, con l’obiettivo di incoraggiare le imprese ad attivare percorsi di apprendistato. Per i giovani invece, l’opportunità è quella di acquisire competenze con la prospettiva di un contratto a tempo indeterminato. 

A questo sistema si aggiungono inoltre gli Istituti Tecnici Superiori (ITS), che propongono corsi post-diploma altamente professionalizzanti, dove l’esperienza di studio è affiancata a esperienze di tirocinio in azienda. Essi sono stati stabiliti, sempre mutuando da modello tedesco, nel 2010. Questi istituti, per quanto posti in essere prima delle riforme sopracitate, possono comunque essere considerati parte del sistema duale italiano. Infatti, anch’essi mirano ad affiancare l’apprendimento in classe con quello in azienda, nel pieno spirito della formazione duale. 

I limiti del sistema duale in Italia

Per quanto ambizioso, il sistema duale italiano non è tuttavia esente da critiche. Una di queste riguarda lo stato degli ITS. Il confronto con la Germania in termini di iscrizioni è impietoso. Come fa notare Vincenzo Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, gli ITS tedeschi accolgono circa 900mila diplomati delle scuole secondarie di secondo grado, mentre in Italia solo 15mila, una differenza a dir poco notevole. Ciò accade nonostante circa l’83% degli studenti riesca a trovare un’occupazione di livello subito dopo la frequenza dei corsi offerti dagli ITS. Questo problema è rafforzato anche da un’offerta ancora in numeri contenuti, con solo 103 Istituti tecnici superiori su tutto il territorio nazionale e tendenzialmente concentrati nel Nord Italia. 

Tale frammentazione si riflette anche nei percorsi di formazione professionale per le scuole secondarie superiori. Come scrive il ricercatore Ruggero Cefalo questa frammentazione è in parte dovuta alla mancanza di un’unica filiera nazionale che gestisca la formazione duale e l’educazione professionale, che rimangono invece sotto l’amministrazione delle Regioni. Tale gestione regionale comporta anche una volatilità nei finanziamenti (manca un sistema di finanziamento nazionale) e a uno scarso coordinamento tra le autorità regionali stesse. Questo porta quindi a disomogeneità nella proposta duale in Italia, con esperienze diverse di territorio in territorio. Tale situazione rischia di creare disuguaglianze di opportunità per gli studenti italiani, con il rischio di rafforzare le già esistenti disparità regionali in termini di occupazione. 

Infine, fa sempre notare Ruggero Cefalo, uno dei limiti del sistema risiede nella separazione di lungo termine tra il mondo delle aziende e il mondo della scuola, caratterizzato da poco dialogo e collaborazione tra i due mondi. Tale separazione è radicata nella percezione culturale che vede studio ed esperienza professionale come due esperienze distinte. Tale predisposizione culturale costituisce pertanto una sfida in più per il consolidamento di un efficiente sistema duale nel Paese

Il sistema duale: una panacea contro lo skill mismatch?

E’ anche importante  considerare le specificità istituzionali che hanno reso possibile lo stabilirsi del sistema duale in Germania e in alcuni paesi europei, ma non in altri. Come sottolinea Bob Hancké, professore associato della London School of Economics, il successo del sistema duale in Germania è dovuto alla presenza di diversi attori, quali le camere di commercio, le associazioni di categoria, i consigli del lavoro, i sindacati, le associazioni imprenditoriali, che hanno saputo bilanciarsi nel lungo periodo, dando vita a relazioni con benefici reciproci. Il fallimento di imporre un tale sistema per esempio in Francia e in Regno Unito risiede, secondo Hancké, nella mancanza o nella debolezza delle istituzioni che rendono il sistema funzionante in Germania, come nel caso dei sindacati. Pertanto, considerando il caso nostrano, è lecito domandarsi se l’Italia abbia un apparato istituzionale adeguato per far funzionare un sistema del genere. 

Abbiamo compreso  quali siano le sfide che il sistema duale italiano deve affrontare per affermarsi. Tuttavia, è sufficiente un buon sistema duale per poter affrontare lo skill mismatch italiano? Vi sono diversi elementi da considerare. 

In primo luogo, come detto sopra, lo skill mismatch italiano è anche causato da una offerta carente di laureati, specialmente nelle discipline STEM. Infatti, come riportato da Wall Street Italia, il numero di 25-64 con un’istruzione universitaria in Italia si attesta al 19%, contro la media OCSE del 37%, quasi il doppio. Inoltre, spesso i laureati italiani sono costretti a recarsi all’estero per trovare condizioni lavorative migliori (la cosiddetta fuga di cervelli). Pertanto, un ragionamento su come affrontare anche tale aspetto dello skill mismatch italiano pare necessario.

Bisogna infine sottolineare che non si possono ridurre i problemi occupazionali giovanili a una questione di skill mismatch. Come menzionato sopra, vi sono anche altre problematiche cruciali per il lavoro dei giovani: disoccupazione, precariato, fuga di cervelli, NEET, per citare solo i più critici. Una strategia fondata su una migliore connessione tra aziende e mondo dell’istruzione, pur non essendo sufficiente di per sé, può comunque dare un contributo a migliorare le condizioni occupazionali dei giovani. Bisognerà quindi vedere nel lungo termine quali saranno i risultati del sistema duale italiano sugli indicatori occupazionali giovanili. Con l’auspicio che, nonostante le difficoltà a oggi riscontrate, tale sistema possa rivelarsi vincente nel ridurre lo ‘skill mismatch’ italiano e, eventualmente, gli altri problemi che il mondo del lavoro giovanile, quali NEET e disoccupazione. 

*Credit: Pexels
Giovanni Carletti
Mi sono laureato in Relazioni Internazionali alla Cattolica. Al momento studio Politiche Europee a LSE... nel paese della Brexit! Mi interesso principalmente alle questioni europee e mediorientali. Timido di temperamento, amo i sentieri difficili e il rock degli anni ‘60 e‘70.

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