L’Italia si attesta tra i maxi-esportatori di plastica nel mondo: secondo un report di Greenpeace, infatti, il Paese risulta occupare l’undicesimo posto al mondo, contribuendo per il 2,25% su scala globale nell’esportazione di tali rifiuti. Questa situazione è stata resa ancora più complessa a causa di alcune misure intraprese dalla Cina, che fino a poco tempo fa importava circa il 42% dei nostri scarti: se all’inizio del 2018 il governo cinese aveva stabilito un blocco sull’importazione di varie categorie di rifiuti, tra cui quelli plastici, all’inizio di quest’anno Pechino ha posto il veto verso tutte le importazioni solide estere provenienti da altri Paesi.
Oltre a mettere in luce le criticità del sistema di riciclo della plastica globale, tali provvedimenti hanno impattato significativamente sul traffico di rifiuti dell’Italia, scatenando un pericoloso effetto a catena. Una delle conseguenze più gravi, infatti, è stata la decisione di convogliare le esportazioni di materie plastiche verso nuovi Paesi e regioni con regolamentazioni ambientali meno rigorose e stringenti, tra cui spicca, ad esempio, il Sud-Est asiatico.
Il viaggio della nostra plastica verso il Sud-Est asiatico
Sono Malesia, Vietnam e Thailandia i Paesi del Sud-Est asiatico protagonisti dell’importazione illegale dei rifiuti plastici dell’Italia, con la Turchia a costituire un’ulteriore “partner” di spicco. Nel 2018, infatti, dopo il blocco cinese, le importazioni sono aumentate del 195,4% in Malesia, del 191,5% in Turchia e del 770% in Thailandia rispetto al 2017, e del 153% in Vietnam rispetto al 2016. La scelta di queste nuove destinazioni, però, risulta in contrasto con il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 2006, che nell’articolo 49 stabilisce come i rifiuti europei possano essere esportati solamente verso Paesi nei quali siano in vigore norme ambientali e relative alla salute equivalenti a quelle europee, fatto che non sussiste nei Paesi interessati dalla nuova ondata di rifiuti. Si è quindi creato un vero e proprio traffico illecito di rifiuti plastici ai danni dei Paesi del Sud-Est asiatico.
Secondo le parole di Kakuko Nagatani-Yoshida, Coordinatore regionale dell’Unep per le sostanze chimiche e i rifiuti, “il Sud-Est asiatico è una fonte primaria e una vittima della plastica, che sta soffocando i mari e minacciando gli ecosistemi e i mezzi di sussistenza”. Lo conferma anche un report sulla gestione dei rifiuti plastici redatto da Interpol, nel quale si sottolinea un allarmante aumento di dell’esportazione illegale di plastica a livello globale a partire dal 2018.
Negli ultimi due anni, vi è stato un considerevole aumento delle spedizioni illegali di rifiuti, le quali venivano principalmente dirottate verso il Sud-Est asiatico – attraverso numerosi Paesi di transito – per camuffare l’origine della spedizione. Dal canto loro, alcuni Paesi dell’Association of Southeast Asian Nations (ASEAN), quali Malesia e Thailandia, hanno iniziato a manifestare malcontento nei confronti di queste importazioni dato che, tra il 2016 e 2018, la regione ha visto le importazioni di rifiuti di plastica crescere al 171%, passando da 836.529 tonnellate a 2.265.962 tonnellate.
Il ruolo della Malesia
La Malesia, in particolare, gioca un ruolo fondamentale nel business globale dei rifiuti plastici: la rotta Italia – Kuala Lumpur si pone al centro di un pericoloso traffico di rifiuti di plastica. Nella prima metà del 2019, quasi la metà di questi è stata inviata in Malesia illegalmente, spesso e volentieri destinata a impianti privi di autorizzazione e quindi operanti senza alcun riguardo per l’ambiente e la salute dell’uomo, implicando una chiara violazione delle leggi nazionali ed europee.
A seguito del divieto di importazione cinese del 2018, la Malesia si è classificata come primo importatore di rifiuti plastici globali e come principale destinazione delle esportazioni italiane verso i Paesi extra-Ue. Basti pensare che qui, nei primi 9 mesi del 2019, sono state inviate quasi 7.000 tonnellate di rifiuti plastici tra spedizioni dirette e indirette, per un valore complessivo di circa 1,5 milioni di euro.
Questo traffico illegale sta avendo pesanti effetti negativi sulla vita quotidiana dei cittadini malesi, che vedono il proprio territorio sempre più inquinato. Come dimostrato da precedenti ricerche di Greenpeace, le fabbriche di riciclaggio della plastica che operano illegalmente in loco stanno creando gravi problemi all’ambiente e alla salute pubblica. Nonostante gli interventi del governo malese (che, solo nel 2019, ha chiuso oltre 150 aziende per violazioni sulle norme statali sulla qualità ambientale) le importazioni di plastica italiana non hanno subito una battuta d’arresto, portando ad un crescente malcontento all’interno del Paese.
L’impatto ambientale: sfide e conseguenze
La situazione della Malesia, come anche nel Sud-Est asiatico nel suo complesso, risulta particolarmente delicata e richiede interventi da parte della comunità internazionale. La mancanza di regolamentazioni nei Paesi di questa regione comporta in primis una cattiva gestione dei rifiuti di plastica che, a sua volta, causa gravi danni all’ambiente, per via della formazione di immensi depositi di plastica e microplastica sulla terra e negli oceani.
Inoltre, il riciclaggio su scala globale, promosso da aziende e governi come la principale risposta all’inquinamento causato dalla plastica, non può essere considerato da solo una soluzione efficace: stime recenti hanno infatti appurato come la produzione di plastica dovrebbe quadruplicare entro il 2050. Quantomeno, un primo approccio multilaterale alla questione è stato promosso, di recente, dall’ASEAN. Quest’organizzazione si è impegnata a realizzare un’integrazione economica grazie a framework quali l’ASEAN Economic Community Blueprint 2025, che, tra le altre cose, promuove uno sviluppo economico sostenibile per la regione.
Secondo un rapporto emanato dall’Unep, infatti, sono presenti tre principi di base che, una volta riconosciuti e integrati all’interno dell’ASEAN, potranno rappresentare un netto passo avanti nella lotta contro il problema dei rifiuti plastici nella regione. Nello specifico, le priorità individuate si distinguono in separazione delle fonti, identificazione degli obiettivi nazionali e impegno in un approccio orientato all’economia circolare che prenda in considerazione il ciclo di vita di un prodotto dalla produzione fino al post-consumo.
Senza ombra di dubbio, prevenire l’inquinamento da plastica e porre un freno al commercio illegale di rifiuti plastici richiede necessariamente un’azione concertata e un impegno condiviso da parte di governi, aziende e consumatori: rafforzare la supervisione e la cooperazione internazionale del business globale dei rifiuti di plastica è un elemento essenziale per aumentare la consapevolezza e impedire che tali attività abbiano luogo, contribuendo all’inquinamento e nuocendo ulteriormente alla salute del pianeta.