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Il “learning loss”: una delle conseguenze della chiusura delle scuole

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Negli ultimi giorni in Italia si è tornati a parlare di scuole e delle conseguenze della loro chiusura parziale (o totale, nel caso di alcune regioni), soprattutto in seguito alle affermazioni della ministra Azzolina. Se nel nostro Paese ci si è rifugiati nella didattica a distanza, nella maggior parte d’Europa le scuole di ogni ordine e grado sono invece aperte. All’inizio del secondo lockdown generalizzato in Irlanda, il premier Michael Martin ha dichiarato che “non possiamo permettere che il futuro dei nostri bambini e dei giovani sia un’altra vittima di questo virus”. Similmente, Angela Merkel ha ribadito la necessità di garantire l’apertura degli edifici scolastici. Al di là della riduzione di possibili occasioni di contagio, bisogna essere consapevoli delle conseguenze che la chiusura delle scuole ha sugli studenti. In particolare, è necessario – e urgente – affrontare il problema del “learning loss”, ovvero perdita di apprendimento: la chiusura delle scuole ha le sue conseguenze.

L’Italia, una pecora nera già da prima della pandemia

L’Italia si trovava già in una situazione fragile per quanto riguardava il settore dell’istruzione prima della pandemia. Secondo gli ultimi dati del 2019, l’Italia è un “pecora nera” in Europa per la bassa presenza di laureati tra i 15 e i 50 anni, con una percentuale attorno al 17.4%. Questo dato è ben al di sotto della media europea, che si attesta al 29%. In più, se guardiamo alla spesa pubblica nell’istruzione in rapporto al Pil nazionale, anche in questo caso l’Italia è sotto la media europea. La situazione non cambia neanche per quanto riguarda la spesa pubblica pro capite, come si può vedere nel grafico sottostante.

Una delle conseguenze della chiusura: il “learning loss”

La chiusura delle scuole e l’utilizzo estensivo della didattica a distanza (DAD) sono fattori scatenanti del cosiddetto “learning loss”, termine che si riferisce alla perdita di apprendimento degli studenti, dovuto all’interruzione delle lezioni. Un report del Centro comune di ricerca (JRC) della Commissione Europea delinea le conseguenze che la chiusura delle scuole e la didattica a distanza comportano e che non la rende un sostituto perfetto alla didattica in presenza. Innanzitutto, i ragazzi passano meno tempo a studiare durante la quarantena, il che diminuisce la qualità e quantità dell’apprendimento. In più, stress e ansia riducono la concentrazione e peggiorano la situazione. Infine, la mancanza di contatto fisico con l’esterno e con i coetanei può rendere gli studenti meno motivati a studiare. Questi co-fattori rendono quindi la DAD qualitativamente inferiore rispetto alla didattica in presenza. 

Secondo un report dell’Ocse, gli studenti italiani erano circa il 20% meno ambiziosi e invogliati rispetto alla media degli studenti dei Paesi Ocse, già prima della pandemia. La motivazione è però, secondo gli studiosi, una caratteristica essenziale per affrontare nel modo più positivo e proficuo possibile la DAD. Dati dei test PISA del 2018 alla mano, gli studenti italiani ottengono punteggi inferiori alla media per quanto riguarda le capacità di lettura e comprensione e in scienze. 

Con la chiusura le diseguaglianze si autoalimentano

La pandemia sta quindi colpendo degli studenti che dal principio si trovavano in difficoltà. Un altro problema evidenziato è quello del background familiare, che rischia di aumentare ancora di più le diseguaglianze. Infatti, gli studenti provenienti da famiglie svantaggiate hanno meno accesso alle risorse digitali. Inoltre, vivono in un ambiente meno adatto allo studio e ricevono meno supporto dai genitori, sia pratico – come nei compiti – che emotivo e motivazionale. Queste differenze si ingrandiscono ancora di più tra studenti italiani e studenti di famiglie non-native.

Scuole italiane senza infrastrutture e tecnici

Ma di “learning loss” si può parlare anche in virtù di una dotazione tecnologica che è stata improvvisata. Infatti, le scuole italiane non erano in principio pronte a una virata improvvisa verso l’educazione online. Le infrastrutture giocano un ruolo essenziale. Stando ai dati del PISA 2018, meno del 50% dei presidi dichiarava che la propria scuola avesse accesso a una piattaforma di apprendimento online (per esempio, degli account google classrom di istituto). Stessi valori per la presenza di staff tecnico scolastico qualificato. In entrambi i casi, l’Italia si trova sotto la media Ocse nella parte bassa delle classifiche dei paesi partecipanti ai test PISA. 

Dal “learning loss” alle conseguenze economiche future

Per capire le conseguenze economiche del “learning loss” è necessario fare un passo indietro. Le scienze sociali si sono sempre interrogate sul ruolo economico che l’istruzione ha nella società e sulle conseguenze che questa ha sulle nostre prospettive lavorative e di reddito. In breve, il rendimento dell’istruzione ci mostra come un investimento nell’istruzione ci garantisca dei benefici in futuro, come per esempio trovare lavoro più facilmente o poter ambire a retribuzioni più alte. Inoltre, questi investimenti nell’istruzione ci interessano anche come società in generale, poiché contribuiscono all’accrescimento del capitale umano. Quest’ultimo è fondamentale per la crescita economica, la produttività e l’innovazione. In Italia, secondo uno studio della Banca d’Italia del 2017, il rendimento dell’istruzione nel nostro Paese è tra i più bassi in Europa, con un conseguente livello inferiore di capitale umano. 

Per questi motivi, la chiusura delle scuole avrà un impatto a lungo termine, anche dal punto di vista economico. Per esempio, nello studio dell’Ue, viene stimato che ciò porterà a una perdita di 700-800 milioni di euro di reddito per gli attuali studenti francesi delle scuole primarie. Proprio perché gli studenti avranno perso mesi di istruzione che avrebbero garantito loro una retribuzione migliore in futuro. Secondo l’Ocse, il covid-19 potrebbe costare al Pil francese tra i 2 e i 4 miliardi di dollari proprio per il “learning loss”. All’Italia, invece, tra l’1 e i 3 miliardi.

Le stesse preoccupazioni negli Stati Uniti

Il New York Times fa emergere la stessa preoccupazione per gli Stati Uniti, dove rischia di crearsi una distanza incolmabile tra studenti, quasi a tracciarne di serie a e di serie b. Secondo una studio delle università Brown e Harvard, gli studenti americani avrebbero perso in media il 3,3% dei progressi in matematica rispetto all’anno scolastico precedente. Questo dato però non è uguale per tutti. Se gli studenti di famiglie benestanti sono paradossalmente migliorati del 6,5% con l’istruzione online, gli studenti meno abbienti sono peggiorati del 10,3%. Un altro studio della Brown sostiene che con la didattica a distanza gli studenti potrebbero perdere più del 30% in capacità di lettura e comprensione rispetto ad un anno scolastico normale. Per la matematica, invece, addirittura più del 50%. Questi numeri equivalgono a mesi di scuola in presenza cancellati. 

Secondo la Banca Mondiale, la pandemia potrebbe significare una perdita netta complessiva degli anni medi di educazione effettiva da 7.9 a 7.3 a livello mondiale. In media, gli studenti di oggi potrebbero perdere circa 872 dollari di reddito annuo nel loro futuro di lavoratori. Questo, in valore attuale, corrisponde a una perdita totale tra 6mila e 25mila dollari in termini di ricchezza individuale lungo la propria vita. Globalmente, si tratta di una perdita di 10 triliardi di dollari. Il “learning loss”, quindi, ha implicazioni davvero rilevanti, che non possono essere ignorate.  

Giovanni Polli
Nato a Vicenza nel '99. Sono uno studente di scienze politiche presso l'Università Bocconi. Oltre ad essere un appassionato di politica, sono un vorace consumatore di musica; probabilmente sono l'unico a comprare ancora CD. In Veneto ho sviluppato anche un'altra delle mie più grandi passioni: lo spritz, rigorosamente a tre euro!

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