Il deficit infrastrutturale africano
Già a partire dagli anni novanta, un ampio numero di ricercatori si è concentrato sullo studio degli investimenti infrastrutturali e sulle conseguenze che questi hanno su economia e società. In particolare, è stato dimostrato come il livello di infrastrutture presenti in un determinato territorio abbia un impatto diretto sulla produzione nazionale. La presenza di infrastrutture infatti permette di stimolare la produttività, aumentare il numero di investimenti privati e ridurre i costi di produzione e trasporto, favorendo la nascita di cluster industriali e mercati integrati. Investimenti mirati e politiche nazionali in materia di sviluppo hanno infatti la capacità di incrementare la domanda aggregata, creare lavoro e stabilizzare le aree sconvolte dai conflitti a causa della povertà.
Secondo le Nazioni Unite, che hanno incluso il tema delle infrastrutture tra i concetti chiave dell’Agenda 2030, le restrizioni infrastrutturali esistenti in certi Paesi dell’Africa inibiscono la produttività delle imprese di circa il 40%.
Le carenze del continente africano, secondo i dati della Banca di Sviluppo Africano (AfDB) ammontano a circa 130-170 miliardi di dollari d’investimento annui. Tali deficit riguardano le grandi opere, la diffusione di linee elettriche e la presenza centrali di produzione energetica, ma anche le più semplici connessioni stradali e i servizi di trasporto all’interno del territorio nazionale. Nel 2018, secondo quanto segnalato dal Logistic Performance Index (l’indice biennale di sviluppo infrastrutturale nel mondo) erano 16 i Paesi africani a occupare gli ultimi trenta posti della classifica mondiale.
Investire in infrastrutture in Africa, permetterebbe la nascita di un tessuto industriale più forte ed indipendente e, secondo alcune stime della Banca Mondiale, l’eventuale riduzione del deficit che attanaglia la regione avrebbe un impatto tale da condurre a un aumento percentuale del Prodotto Interno Lordo compreso tra l’ 1,7 e il 2,6% ogni anno.
Investimenti regionali e finanziamenti esterni
In tutto il continente africano, e in particolare nell’area sub-sahariana, gli investimenti e le attività per colmare il deficit infrastrutturale sono in aumento. Secondo il rapporto annuale del Consorzio Infrastrutture per l’Africa (Ica), nel 2018 gli investimenti in infrastrutture hanno raggiunto i 100 miliardi di dollari, registrando un aumento del 24% rispetto al 2017 e del 33% rispetto alla media 2015- 2017. Il 43,5% del totale dei finanziamenti riguardava il settore dell’energia, seguito da quello dei trasporti (32,2%). Sempre nel 2018, i governi nazionali hanno contribuito al 37% dell’importo, la Cina al 25%, il settore privato al 12% e i membri dell’ICA al 20%.
Il bisogno di uno sviluppo infrastrutturale ha ricevuto risposte concrete in primo luogo dagli Stati africani e dall’Unione Africana, e tra queste spicca il Programme for Infrastructure Development in Africa (Pida). Si tratta di un piano a lungo termine finalizzato all’attuazione di politiche e programmi di sviluppo infrastrutturali, all’elaborazione di progetti regionali integrati volti a promuovere la competitività e il commercio intra-africano. Approvato dai capi di Stato e di governo dell’Unione africana (Ua) nel 2012, il Pida prevede investimenti nell’ordine di 360 miliardi di dollari entro il 2040, con lo scopo di realizzare oltre 400 progetti, tra cui 54 piani energetici e 232 progetti relativi al settore dei trasporti (37.200 km di autostrade, 30.200 km di ferrovie e 16.500 km di linee elettriche).
La partita dell’Europa in Africa
Nella partita per lo sviluppo delle infrastrutture africane non mancano poi gli investitori esterni, Paesi sempre più interessati ad assicurarsi accordi di partnership vantaggiose con un territorio strategicamente ghiotto come quello africano. E’ questo il caso di Cina ed Europa, principali attori nella regione, ma anche dei Paesi del Golfo, Turchia e Russia, che negli ultimi anni hanno investito a più riprese nello sviluppo del continente.
Tra i vari attori coinvolti, storica è la relazione che unisce l’Africa all’Unione Europea. Già dal 1975, quando fu stipulata la Convenzione di Lomè tra i due partner, l’Europa si è impegnata a garantire aiuti comunitari volti a sostenere l’Africa nel processo di crescita istituzionale, sociale ed economica. La stabilità dell’Unione è infatti, per larga parte, collegata direttamente a quella africana, soprattutto in materia di migrazione e sicurezza. Nonostante le tensioni che hanno più volte visto il rapporti UE-Africa incrinarsi, il rafforzamento del partenariato africano resta uno dei nodi centrali della strategia europea. Solamente lo scorso anno, il 60% degli interventi di sviluppo sostenibile in tutta l’Africa erano finanziati dalla Banca Europea per gli Investimenti (Bei) che, nel 2020, ha confermato e aumentato fino a 4 miliardi di euro il fondo d’investimento a sostegno dei settori pubblici e privati dell’Africa. Tra i molteplici obiettivi europei, il miglioramento delle infrastrutture idriche e l’incremento della fornitura energetica tramite progetti di produzione di energia pulita. Più recentemente, l’Ue è riuscita a farsi carico di un progetto di riabilitazione e ristrutturazione di alcune ferrovie in Uganda, riuscendo a prevalere nella competizione per gli appalti con la Cina che resta, però, la prima vera protagonista dei finanziamenti per le infrastrutture nel continente.
La Cina: un ruolo da protagonista
Le origini dei rapporti sino-africani risalgono agli anni sessanta, quando la Cina divenne sostenitrice dei movimenti di indipendenza dei Paesi africani. Dietro a forti interessi economici, nacquero i primi investimenti per progetti infrastrutturali come la Tazara, ferrovia che connette Tanzania e Zambia inaugurata nel 1975. La presenza cinese in Africa si è poi intensificata dai primi anni 2000: secondo i dati del China Investment Global Tracker, tra il 2005 e il 2018 la Cina ha investito in Africa 299 miliardi di dollari, a cui nel 2018 sono seguiti altri 60 miliardi. Si tratta di investimenti che rientrano in un progetto più ampio, funzionale agli interessi geo-strategici di Pechino, volti a promuovere progetti infrastrutturali su larga scala e con lo scopo di integrare l’Africa nella Belt and Road Initiative.
Nel corso degli anni, la Cina è riuscita a ritagliarsi un posto da protagonista assoluta tra i partner economici e politici dell’Africa, investendo in progetti di ampia scala come quelli sull’innovazione ferroviaria di Kenya, Etiopia, Angola, Djibouti e Nigeria. A differenza dell’Unione Europea, spesso accusata di parlare all’Africa da una posizione di presunta superiorità, Pechino ha invece saputo conquistare la piena fiducia dei Paesi africani. Alla Cina sono oggi affidati diversi progetti infrastrutturali nella regione, in gran parte legati al trasporto, alle telecomunicazione e all’energia. Tra questi, degni di nota sono le centrali di energia idroelettrica a Dondo (Angola) e sul fiume Zambesi in Mozambico, il porto di Bagamoyo in Tanzania e il Modderfontein New City Project, una vera e propria città da 8 miliardi di dollari fuori Johannesburg. Anche l’ambizioso progetto della Gerd, la diga sul Nilo che ha scatenato un conflitto sanguinoso tra Egitto ed Etiopia, è finanziato da fondi cinesi.
Gli investimenti cinesi, che hanno da un lato supportato la crescita dell’Africa, hanno dall’altro rafforzato la dipendenza e vulnerabilità economica degli Stati africani.
L’approccio cinese è stato infatti criticato per avere attirato Paesi emergenti nella cosiddetta “trappola del debito”, e ha destato la preoccupazione della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale circa la sostenibilità del debito pubblico in queste nazioni. Scegliendo di finanziare Paesi ad alto rischio di investimento, Pechino si è affermato come principale Paese creditore del continente, sorpassando la Banca Mondiale. Nel 2018, secondo una ricerca di Jubilee Debt Campaign, la Cina deteneva circa il 20% del debito totale dei Paesi africani.
Testo a cura di Anna Corrente e Maria Luisa Zucchini
*[crediti foto: Douglas Bagg. Unsplash]