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Flop terapie intensive: pochissime regioni hanno raggiunto i target prefissati

Tempo di lettura stimato: 4 min.

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Articolo pubblicato per Business Insider Italia

Nelle ultime settimane, la pandemia da covid-19 ha ripreso forza in tutto il continente. Anche l’Italia, che fino a poche settimane fa sembrava al sicuro, è ora alle prese con la crescita dei contagi. Il grande tema resta la tenuta del sistema sanitario. Rispetto alla prima ondata, le terapie intensive (TI) sono sì aumentate, eppure non si sono raggiunti i livelli prefissati

Terapie intensive, cos’è cambiato da marzo?

Come riporta l’Osservatorio dei Conti Pubblici, prima della comparsa del virus in Italia erano presenti più di 5mila posti nelle terapie intensive. Ad oggi, le TI sono aumentate fino a quasi 7mila unità (escluse quelle “attivabili”): un incremento che farebbe ben sperare (il massimo di TI occupate a marzo è stato 4mila). Eppure, non sembra essere un aumento sufficiente.

I posti in TI sono aumentati in tutte le Regioni italiane, tranne che in Umbria. Gli aumenti risultano però ben al di sotto degli obiettivi prefissati a livello nazionale e regionale: tra le Regioni con più di 1 milione di abitanti, solamente Friuli-Venezia Giulia e Veneto hanno raggiunto o superato i target in termini assoluti. L’unica altra Regione ad aver raggiunto l’obiettivo è stata la Valle d’Aosta. Nella mappa sottostante, abbiamo calcolato in termini percentuali quante terapie intensive per ogni 100mila abitanti sono state aggiunte dalle varie Regioni rispetto ai target prefissati. Questo ci aiuta a capire quanto le Regioni abbiano effettivamente portato a termine il progetto di ampliamento posti in TI. 

 

Oltre alle zero TI aggiunte in Umbria, occorre evidenziare un adempimento minore del 30% in Abruzzo, Calabria, Campania, Lombardia, Marche Molise, Liguria, Piemonte, Puglia e Toscana. Osservando il livello di saturazione delle TI a fine ottobre, saltano all’occhio i dati preoccupanti di alcune Regioni, molte delle quali sono proprio quelle che hanno registrato i maggiori ritardi nello sviluppo di nuove infrastrutture. In primis, Umbria, Lombardia, Piemonte e Campania.

Il livello di saturazione delle terapie intensive è ora questo (aggiornato al 31/10/2020, ndr): 

Confusione tra Stato centrale e Regioni

L’opinione pubblica, tra cui lo stesso commissario per l’Emergenza Arcuri, ha iniziato a domandarsi il perché dei ritardi e inadempienze rispetto al numero di terapie intensive. Il Ministro per gli Affari regionali e le autonomie Boccia ha chiesto spiegazioni alle Regioni poiché, a detta sua, i ventilatori polmonari necessari per le TI erano già stati distribuiti, rendendosi comunque disponibile a fare in modo che ne arrivino altri. 

Una delle determinanti dell’impreparazione alla seconda ondata potrebbe essere ricondotta all’intero sistema di organizzazione e gestione dell’emergenza, e al rapporto complesso e inefficiente tra Stato e Regioni. 

Con il decreto “Rilancio Salute” di maggio, sono stati stanziati 1,4 milioni di euro per potenziare i posti letto: i letti di TI sarebbero dovuti aumentare di 3.500 unità, mentre quelli di terapia sub-intensiva di 4.225. Tuttavia, ad oggi, i posti letto sono solo il 25% in più rispetto a marzo, per un totale di 6.458 letti contro gli 8mila circa previsti (fino ad 11mila con le semi-intensive convertibili). Parte del ritardo è certamente dovuto alla complessità del processo decisionale regionale. 

Un iter complesso per le TI

L’iter per l’assegnazione dei letti prevedeva che ogni Regione presentasse un piano al Ministero della Salute entro il 17 luglio, attendendo poi l’approvazione che sarebbe dovuta arrivare entro 30 giorni. Una volta ricevuta l’approvazione il commissario Arcuri avrebbe dovuto concedere la delega per iniziare i lavori. Al 14 ottobre però, solo nove Regioni avevano ottenuto formalmente tale delega, mentre tutte le altre si trovano ancora in uno stadio arretrato. 

Il punto di vista di Arcuri

Ad oggi le varie autorità competenti si stanno rimbalzando la responsabilità dei ritardi. Arcuri e il governo attribuiscono la colpa alle proposte inappropriate delle Regioni, che essi hanno giudicato essere prive di sufficienti dettagli tecnici per poter proseguire l’iter con la proclamazione delle gare d’appalto. Inoltre, il Commissario per l’emergenza ribadisce anche che le Regioni si sarebbero potute attivare con più anticipo, iniziando a costruire e attuare i piani a maggio, ricevendo i rimborsi in un secondo tempo come previsto dal decreto. Effettivamente, il decreto Rilancio all’articolo 2 comma 14 recita “[…] Qualora la regione abbia già provveduto in tutto o in parte alla realizzazione delle opere anteriormente al presente decreto-legge il Commissario è autorizzato a finanziarle a valere sulle risorse di cui al presente articolo e nei limiti delle stesse”. Arcuri si difende anche sostenendo che i progetti, così come erano stati presentati, avrebbero avuto tempi di realizzazione molto lunghi, alcuni dei quali fino al 2022.

Le Regioni contro l’organizzazione centrale

D’altro canto le Regioni attribuiscono ogni responsabilità del ritardo al commissario e allo Stato. Esse accusano il fatto che alcuni progetti siano arrivati nelle mani di Arcuri già a luglio, ma senza che giungesse alcuna approvazione, con il risultato che le gare di appalto sono state organizzate solo in ottobre perdendo due mesi preziosi. Regioni come Piemonte e Calabria accusano Roma d’inerzia sostenendo di aver atteso per mesi che arrivasse una delega. In Umbria, la Lega invece accusa Arcuri di dire il falso relativamente alla possibilità di realizzare investimenti anticipati a maggio. Secondo la Regione, il decreto farebbe riferimento a un rimborso ex-post solo nei casi di investimenti antecedenti il Decreto Rilancio, rendendo quindi impossibile per le Regioni procedere con nuovi investimenti in deroga al documento.

Verso un inverno complesso

Dipanare la matassa in questa situazione è complesso perché sono in molti ad avere delle responsabilità – e a puntare il dito l’uno verso l’altro. Visto il rapido aumento di casi, però, forse sarebbe opportuno alleggerire la complessità degli iter burocratici decisionali, dal momento che ogni ritardo potrebbe avere conseguenze molto serie per il sistema sanitario. 

Testo a cura di Giovanni Polli e Sofia Sacco

*Medici in sala operatoria (crediti foto: Piron Guillaume)
Redazione
Orizzonti Politici è un think tank di studenti e giovani professionisti che condividono la passione per la politica e l’economia. Il nostro desiderio è quello di trasmettere le conoscenze apprese sui banchi universitari e in ambito professionale, per contribuire al processo di costruzione dell’opinione pubblica e di policy-making nel nostro Paese.

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