Gas per rublo
Il nuovo sistema di pagamento introdotto con il decreto non è un semplice tecnicismo come a primo impatto potrebbe far pensare. I contratti di gas (ma anche delle materie prime in generale) stipulati sono espressi e pagati in euro o in dollari, e tipicamente l’impianto è molto semplice: vi è un trasferimento diretto di denaro dal compratore al conto designato del venditore presso una banca europea, e il processo si ritiene concluso al momento di questo accredito. Nella partita del gas, un ruolo chiave lo gioca Gazprom bank, ovvero la banca ufficiale di Gazprom, dato che proprio questo ente mantiene le principali relazioni con le maggiori istituzioni bancarie occidentali come Deutsche Bank, Jp Morgan, utilizzate per i pagamenti energetici.
Con la procedura dichiarata nel decreto del marzo scorso, l’iter viene alterato. I cosiddetti Paesi ostili sono obbligati ad aprire un conto speciale in rubli e un conto in valuta speciale presso Gazprom bank, con lo scopo di essere usati per i pagamenti di gas. In concreto, i compratori “ostili”, che prima della guerra rappresentavano circa il 70% dei ricavi dalle esportazioni per Gazprom, dovranno trasferire i fondi in valuta estera (quindi euro o dollari) nel loro conto creato presso Gazprombank, e quest’ultima effettuerà la conversione in rubli, vendendo la valuta “forte” ricevuta dai compratori alla borsa di Mosca o alla Banca Centrale Russa, accreditando in seguito i proventi in rubli sul conto appena creato dal paese straniero sempre in Gazprombank. Infine, i fondi in rubli destinati al fornitore russo verranno trasferiti nel conto di quest’ultimo, generalmente presso Gazprombank.
Questo intricato processo avveniva già in parte prima del decreto, dato che Gazprom era costretta a vendere l’80% delle entrate in valuta estera alla BCR, ma a seguito del decreto, come fa notare Silvia Merler di Algebris, vi è un totale taglio del ruolo degli intermediari, ovvero le banche occidentali. In sostanza, la richiesta non risiede nell’essere pagati in Rubli, ma è quella di essere accreditati di valuta forte in un conto presso Gazprombank (di proprietà russa) al posto di una classica banca europea o statunitense. Questa decisione ha messo in difficoltà i governi europei, testimoniate dalle tensioni createsi a seguito della notizia che Eni si stia preparando a tale procedura, aprendo un conto presso Gazprombank.
Inoltre, anche la conclusione del processo è variata, dato che col sistema in vigore dal 31 marzo l’obbligo del compratore di pagare le forniture di gas si considera portato a termine non al momento del trasferimento della valuta presso il conto del venditore, ma una volta che Gazprombank ha effettivamente convertito gli euro/dollari in rubli. In questo caso al compratore è stato sottratto il controllo della procedura, dando così a Gazprombank totale gestione del processo.
Un’altra mossa passata inosservata, sottolinea Merler, riguarda il massiccio acquisto di oro iniziato il 28 marzo dalla BCR ad un tasso di cambio fisso 5 mila rubli al grammo dalle altre banche centrali nazionali. Questo ha due conseguenze principali: la prima è il legame che la Banca Centrale Russa ha creato tra Rublo e oro. Dato che il noto bene rifugio è scambiato in dollari USA, ciò comporta anche una base per il valore del rublo in dollari, contribuendo a stabilizzare il tasso di cambio.
La seconda invece è un possibile aggancio implicito tra oro e Rublo. Chiedendo i pagamenti in rubli, la Russia potrebbe accettare eventualmente un pagamento diretto in oro per le esportazioni di gas, aumentando così le riserve russe.
Nonostante alcuni tecnicismi, il nuovo decreto ha introdotto cambiamenti non del tutto innocui, eppure secondo gli economisti, la ragione del recente apprezzamento del rublo non risiede in questi fattori.
Sanzioni e rublo: che legame c’è?
Le sanzioni citate in precedenza hanno portato non solo la Russia vicino al default, ma anche al fortissimo deprezzamento del rublo e un’impennata inflattiva. Nonostante ciò, la valuta russa nei giorni scorsi è tornata ai livelli prebellici, cosa potrebbe spiegare questo comportamento?
Innanzitutto, il valore del rublo è determinato sul “Moscow Exchange”, il quale è diventato sempre più disconnesso dai mercati internazionali, e ciò è anche dovuto al forte controllo dei capitali effettuato dal Cremlino. Ma i fattori davvero determinanti, secondo i due economisti Itskohki (Los Angeles University) e Mukhin (London School of economics) potrebbero essere altri. Infatti, sottolineano i due professori, le sanzioni più dure sono state imposte sull’import e non sull’export russo, e durante questi due mesi di guerra ciò ha creato una crescita rilevante del surplus, con sempre più moneta estera entrata in Russia. Inoltre, la BCR, avendo poco spazio di manovra sul lato riserve estere, ha esercitato una forte repressione finanziaria, con dei forti limiti alla possibilità di ritirare depositi in valuta stranieri agli investitori e un tassa del 12% applicata a chi volesse convertire il rublo con dollari o euro, portando così al declino di domanda di valuta estera da parte dei russi.
Infine, il record di ricavi dovuto alle esportazioni di materie prime ha permesso al governo russ di godere di un ingente surplus commerciale, evitando così un ulteriore deprezzamento della moneta nazionale. Questi fattori, scrivono Itskokhi e Murkhin, hanno sicuramente contribuito maggiormente al riacquisto di valore del rublo rispetto al rialzo dei tassi interessi al 20% decisi nei giorni successivi alla salita dell’inflazione.
Le sanzioni stanno funzionando?
Gli effetti citati poc’anzi possono far pensare che le sanzioni imposte non stiano funzionando. In realtà, spiegano ancora i due economisti, non esiste una relazione univoca tra tasso di cambio e benessere di una nazione, dato che altri indicatori andrebbero osservati, come inflazione e pil, per dedurre davvero se le sanzioni possano funzionare.
Infatti, è la stessa governatrice della BCR ad affermare come le sanzioni abbiano avuto un effetto significativo sull’economia, affermando come nel medio termine il rischio inflazionistico rimanga elevato, con un calo anche delle Pil potenziale russo. La situazione attuale potrebbe inoltre portare ad un ulteriore inasprimento del credito, portando l’economia russa a contrarsi di circa 8-10% nel 2022 con un’inflazione di circa 18-23%.
Saranno quindi decisive le decisione dell’Unione Europea riguardo ad un possibile embargo sul petrolio russo, e più avanti sul gas, per indebolire quasi definitivamente l’economia russa, anche se si preannunciano scontri tra i vari Paesi, come dimostra la forte opposizione ungherese sul ban petrolifero. Una cosa è certa, come scrive l’ex capo economista del FMI Raghuram Rajan, le sanzioni imposte non hanno precedenti nella storia, e potrebbero diventare la vera arma di “distruzione di massa” nel futuro se altre tensioni dovessero emergere tra Paesi, ed è inevitabile che il primo pensiero vada a Taiwan e alle pressioni cinesi per annettere l’isola.
Crediti foto: y FLY:D, via unsplash