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Le sanzioni alla Cina e alla Russia sono davvero “smart”?

Tempo di lettura stimato: 7 min.

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Se usate come strumento di politica estera, le sanzioni unilaterali, come quelle imposte alla Cina e alla Russia, possono rappresentare un problema per l’arena globale. Spesso, infatti, non mirano a far rispettare le norme del diritto internazionale, ma a consentire il perseguimento degli obiettivi propri dell’agenda politica del Paese che le ordina. L’imposizione di questo tipo di sanzioni  può spingere i Paesi sanzionati a riconfigurare le proprie agende politiche, adottando contromisure, piuttosto che prostrarsi alle richieste degli Stati sanzionatori.

Cina e Russia: quali sanzioni?

Le sanzioni che riguardano Pechino e Mosca assumono le caratteristiche delle smart sanctions (lett. “sanzioni intelligenti”), ossia si concentrano a penalizzare, economicamente e finanziariamente, individui specifici e apparati chiave del governo bersagliato. A volte, esse sanciscono anche degli embargo relativi a settori strategici, come la vendita delle armi. Le smart sanctions sono preferite dalle altre tipologie in quanto non colpiscono la popolazione del Paese sanzionato, almeno non direttamente. 

Inoltre, permettono di mandare un messaggio di disapprovazione contro le azioni di tutti quei Paesi che non si attengono ai principi propri dell’ordine internazionale senza, di fatto, colpirne l’economia. Infatti, l’interdipendenza economica, sviluppatasi nell’era della globalizzazione, rende spesso complicato imporre sanzioni, poiché con esse aumenterebbe il rischio di danneggiare anche i partner commerciali degli Stati bersagliati.

Per esempio, la Russia è il principale fornitore di gas naturale dell’Unione Europea, mentre la Cina nel 2020 ha superato gli Stati Uniti, divenendo il primo partner commerciale dell’Ue.

Il caso della Cina 

Il tema delle sanzioni è piuttosto rilevante nelle relazioni sino-europee, e non solo. Proprio lo scorso marzo l’Unione Europea e la Gran Bretagna, seguite da Stati Uniti e Canada, hanno imposto sanzioni alla Cina, accusando Pechino di violazione di diritti umani nella regione dello Xinjiang.

Si tratta della prima volta in trent’anni, precisamente dall’embargo posto a seguito del massacro di Tiananmen del 1989, che l’Unione Europea adotta misure così stringenti nei confronti della Cina.

Le sanzioni, che includono divieti di viaggio o il congelamento di conti correnti all’estero, colpiscono quattro alti ufficiali cinesi, accusati di essere tra i principali artefici delle violenze e della segregazione del popolo uiguro: Chen Mingguo, direttore delle forze di polizia locale, Wang Mingshan, membro del Partito Comunista dello Xinjiang, che secondo l’Ue ha una carica di supervisione nei centri di detenzione, Wang Junzheng, a capo dei Corpi di Produzione e di Costruzione dello Xinjiang (Xpcc), e Zhu Hailun, ex deputato del Pcc. Anche l’intero ufficio per la pubblica sicurezza dell’organizzazione Xpcc, responsabile della gestione dei centri di detenzione, è stato bersagliato.

Il caso della Russia: smart sanctions e non

Le sanzioni dello scorso aprile contro 32 individui o enti al servizio del governo russo si aggiungono a una lunga lista di restrizioni che soprattutto gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno imposto al Cremlino negli ultimi anni. Le giustificazioni a queste sanzioni sono svariate. Nel caso americano, intendono punire la Russia per i recenti attacchi cibernetici alle agenzie governative e alle grandi compagnie. Tuttavia, erano già in vigore altre restrizioni a seguito dell’uso di agenti chimici contro alcuni avversari politici (caso Navalny), per abuso dei diritti umani, per l’interferenza nelle elezioni presidenziali del 2016 e per il supporto ai governi autoritari della Siria e del Venezuela.

L’origine di questa strategia di deterrenza, basata sia su sanzioni “intelligenti” che non, affonda le proprie radici nel 2014, quando Mosca invase l’Ucraina, spezzando l’idillio della Nato che vedeva un’Europa priva di conflitti armati dalla fine degli anni ‘90. Le sanzioni americane, infatti, furono imposte a seguito del referendum per l’annessione della Crimea alla Federazione, invalido secondo la comunità internazionale, e del sostegno di Mosca alle milizie armate nel Donetsk e Lugansk. Ad oggi, le sanzioni sono state rinnovate periodicamente sia dagli Stati Uniti che dall’Unione Europea, ma non hanno riscontrato alcun progresso nel risolvere la questione ucraina.

Nonostante le sanzioni in generale nel tempo abbiano colpito duramente l’economia russa, soprattutto sul piano finanziario, quest’ultima si è sempre dimostrata resistente. Come spiega l’esperto Chris Miller, la manovre macroeconomiche adottate da Putin (che etichetta come Putinomics), basate sull’accumulo sistematico dei guadagni provenienti dalle esportazioni energetiche, la svalutazione ricorrente del rublo e il sostegno statale alle banche, hanno permesso al Cremlino di limitare il deficit, difendendosi dalla minaccia di un nuovo default.

Contromisure e controsanzioni

La risposta cinese alle sanzioni imposte da Ue, Gran Bretagna, Usa e Canada non è tardata ad arrivare. Pechino ha infatti colpito a sua volta ufficiali e attivisti di quegli stessi Paesi occidentali, punendo la loro interferenza negli affari interni cinesi. Nel caso dell’Unione Europea, il Pcc ha sanzionato, con una manovra altamente simbolica, dieci individui e quattro enti accusati di aver danneggiato la sovranità e gli interessi della Cina, negando loro l’accesso in territorio cinese.

La catena di sanzioni incrociate ha incrinato i rapporti sino-europei, tanto che gli eurodeputati hanno mancato di ratificare l’accordo sugli investimenti tra Ue e Cina (Cai), che era stato dapprima accolto come un importante traguardo, ma che oggi è stato sospeso proprio per le misure poste da Pechino, giudicate dai membri dell’Ue “immotivate e arbitrarie”.

Proprio questa settimana a Pechino il Comitato permanente ha varato una legge anti-sanzioni che consentirà al Consiglio di Stato, tramite apposite istituzioni, di perseguire persone e organizzazioni coinvolte nell’attuazione di misure contro gli interessi cinesi.

Anche la Russia, come la Cina, non ha mancato di reagire alle sanzioni. Il 4 giugno del 2018 il Cremlino ha imposto e rinnovato restrizioni o divieti di commercio di beni e servizi provenienti da Paesi che hanno adottato misure ostili contro la Federazione. Oltre ai Paesi dell’Est Europa e alla Germania, anche l’Italia ne è stata colpita.

Quanto alla risposta alle sanzioni economiche americane invece, la scelta di determinate contromisure, anche a discapito della popolazione, può essere vista come un messaggio per fomentare la retorica anti-occidentale, proiettando un’immagine di forza e determinazione della Federazione nel contrastare le ingerenze estere. Le decisioni del Cremlino non sembrano aver minato il supporto a Putin, in quanto la maggioranza ha individuato proprio in fattori esterni, come le sanzioni, le cause del peggioramento delle condizioni di vita nel Paese.

Vladimir Putin con il Presidente Xi Jinping durante una visita al Teatro Bolshoi [Crediti foto: Ufficio stampa e dell'informazione presidenziale del governo russo CC BY 4.0]
Vladimir Putin con il Presidente Xi Jinping durante una visita al Teatro Bolshoi [Crediti foto: Ufficio stampa e dell’informazione presidenziale del governo russo CC BY 4.0]

Perché si continua a imporre sanzioni…

Sebbene possa sembrare che le sanzioni siano inefficaci, i Paesi occidentali utilizzano questo strumento da anni, e non accennano a farne a meno. Tra le ragioni dietro questa scelta, sono stati individuati tre obiettivi principali. Gli obiettivi primari consistono nel porre fine o punire un comportamento ritenuto ambiguo o scorretto da parte di un Paese, evitando lo scontro armato. Gli obiettivi secondari implicano il ricorso a sanzioni da parte di governi democratici per assecondare le preferenze dell’elettorato, mentre gli obiettivi terziari sono perseguiti dai leader mondiali per mantenere lo status quo e anche dalle medie potenze, le quali si assicurano l’appoggio delle grandi potenze sostenendone le sanzioni unilaterali. 

…e a cosa può portare

Per quanto spesso considerate dall’Occidente utili a salvaguardare l’ordine e i valori liberali, le sanzioni si possono tuttavia configurare come un’arma a doppio taglio. Effettivamente, la loro componente assertiva e coercitiva spesso innesca una reazione a catena di sanzioni incrociate, portando gli attori a un confronto, piuttosto che a un dialogo. Inoltre, la frequente mancanza di coordinamento e coesione da parte dei Paesi che ricorrono alle sanzioni unilaterali, nonché l’arbitrarietà dell’imposizione, hanno talvolta rappresentato un incentivo per i bersagli ad adattare la propria postura nell’arena internazionale, aumentando l’ostilità.

Infine, sanzioni sempre più aggressive possono indurre i Paesi sanzionati a riconfigurare la propria politica estera. Da qualche anno a questa parte Mosca ha stretto una maggiore intesa con Pechino. Un esempio lampante è il taglio progressivo che questi due Paesi stanno effettuando nell’uso del dollaro nelle loro transazioni internazionali, la cosiddetta dedollarization. Inoltre, Mosca e Pechino hanno finalmente iniziato a discutere nuove e concrete idee per una maggiore collaborazione nello spazio, che segnerebbe una nuova era nella ricerca del cosmo, mentre la geopolitica dell’Artico e il business della Difesa rappresentano altri domini in cui le due potenze potrebbero approfondire la propria cooperazione. La linea dura occidentale sembrerebbe spingere Mosca tra le braccia di Pechino, dando forma a un nuovo asse sino-russo.

Articolo a cura di Aurora Bonini e Chiara Manfredi.

 

Questo articolo è il secondo di una serie sulle sanzioni internazionali. Clicca qui per leggere l’analisi precedente “Perché le sanzioni Usa contro l’Iran sono un problema internazionale“.

 

* Dichiarazione alla stampa il 05/06/2019 a seguito dei colloqui tra la Russia e la Cina [Crediti foto: Ufficio stampa e informazione del governo russo CC BY 4.0*]
Redazione
Orizzonti Politici è un think tank di studenti e giovani professionisti che condividono la passione per la politica e l’economia. Il nostro desiderio è quello di trasmettere le conoscenze apprese sui banchi universitari e in ambito professionale, per contribuire al processo di costruzione dell’opinione pubblica e di policy-making nel nostro Paese.

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