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Tra violenza e voglia di cambiamento: le elezioni in Colombia

Tempo di lettura stimato: 7 min.

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In Colombia si stanno svolgendo le elezioni presidenziali per sostituire l’attuale presidente Iván Duque, mentre il tasso di violenza aumenta drasticamente. All’inizio di marzo, Gustavo Petro, candidato di sinistra e favorito dai sondaggi, ed altri dirigenti del suo partito, Pacto Hístorico, hanno ricevuto minacce di morte e sono oggi protetti dalla scorta. La tensione in questi ultimi mesi ricorda “el Bogotazo” del 1948, quando fu assassinato il candidato Jorge Eliécer Gaitán, che come Petro riempiva le piazze e parlava al popolo.

 

All’inizio di maggio il Paese sudamericano ha anche vissuto almeno 10 giorni  del cosiddetto “Paro armado” (“sciopero armato”) indetto dal clan del narcotraffico “il Golfo”, in risposta all’estradizione negli Stati Uniti del loro boss. Dairo Antonio Úsuga, conosciuto come Otoniel, arrestato a ottobre dell’anno scorso, da anni era a capo di uno dei clan più potenti e violenti della Colombia. L’attuale presidente, Iván Duque, ha celebrato e definito questo arresto pari a quello di Pablo Escobar. Tuttavia, la gestione della violenza da parte del governo ha causato, e sta causando, un generale malcontento tra i cittadini colombiani. Da gennaio ad oggi si sono verificati 37 massacri di “campesinos” e “indigenas” per mano di gruppi armati, definiti dal presidente con eufemismo “omicidi collettivi”, così come tanti altri atti di violenza. 

La Colombia che lascia Duque  

Il 29 maggio i colombiani sono stati chiamati ad eleggere il nuovo presidente per i prossimi quattro anni. Duque, eletto nel 2018, abbandona la carica con più del 70% di impopolarità, e lascia un Paese stanco del tasso violenza elevato, del narcotraffico, della corruzione, della povertà e della disuguaglianza. Nell’ultimo anno, dopo una caduta di 6 punti percentuali durante la pandemia da Covid-19, la crescita economica colombiana ha registrato un incremento del Pil del 10%. Questa crescita positiva ha permesso al Paese di riprendersi dopo la crisi, ma senza tornare ai dati del 2019. Secondo l’agenzia di statistica nazionale DANE, dal 2018 al 2021 la percentuale della popolazione che vive in povertà è aumentata dal 34,7% al 39,3%, con un picco del 42,5% nel 2020. Un altro dato importante è il tasso di disoccupazione, che dal 15% del 2020 è sceso al 14,3% nel 2021, senza però tornare al 10% del 2019. 

Ad avere causato l’aumento di violenza vi è anche il patto di pace tra il governo e le FARC (Forze armate rivoluzionarie colombiane), che negli ultimi 4 anni non è stato rispettato da entrambe le parti. Questo accordo è, infatti, una delle chiavi di lettura della storia recente colombiana. Firmato a La Avana nel 2016 dai delegati del presidente Juan Manuel Santos e delle FARC, il patto voleva mettere fine al conflitto armato nazionale che da anni affliggeva il Paese. Dopo la firma migliaia di militanti delle FARC hanno lasciato la criminalità, si sono inseriti nella società civile, alcuni creando il partito politico tutt’oggi esistente “Comunes”, e per un paio di anni la violenza è effettivamente diminuita. Quando è stato eletto Ivan Duque, contrario agli accordi di pace fin dall’inizio, la situazione è precipitata nuovamente. Tuttavia, i candidati alle elezioni 2022 non concordano con Duque, e anche quelli di destra appoggiano gli accordi di pace. Durante la campagna elettorale, Gustavo Petro ha affermato il suo impegno ad adempiere gli accordi di Pace del 2016 e a promuovere accordi anche con l’ELN (Esercito di liberazione nazionale) in modo da riportare la pace in Colombia. 

Elezioni pericolose in Colombia 

Secondo i risultati del 29 maggio, a passare al secondo turno delle elezioni presidenziali (19 giugno) ci sono Gustavo Petro e Rodolfo Hernandez. Petro, ex militante dell’M-19 ed ex sindaco di Bogotà, ha raggiunto la cifra storica di otto milioni di voti, ovvero il 40,32%. Il candidato della Lega dei governatori anticorruzione che passa al secondo turno con il 28,15% dei voti, Rodolfo Hernandez, è un imprenditore originario della regione di Santander, ed ex sindaco di Bucaramanga. Si presenta come il redentore di cui il Paese ha bisogno e promette che sotto il suo governo la corruzione e il furto di denaro pubblico finiranno.  

Le elezioni di quest’anno vedono la popolazione colombiana polarizzata tra coloro che, delusi dagli ultimi governi di destra, auspicano un cambiamento ma hanno paura che un governo di sinistra li condanni al disastro venezuelano, e coloro, principalmente i giovani, che credono che l’unica possibilità sia Petro. Ma Petro si è fatto nemici pericolosi. 

Secondo il team di sicurezza della campagna elettorale di Petro, infatti, dietro il tentativo di attentato al candidato ci sarebbe stata La Cordillera, un gruppo criminale di natura paramilitare che si occupa di estorsione e traffico di droga. La Colombia ha una lunga tradizione di violenza elettorale che nel secolo scorso è costata la vita a cinque candidati ed ex candidati presidenziali. Solo nel 1999 sono stati uccisi tre candidati.

La potenza dei cartelli del narcotraffico in Colombia

I narcotrafficanti colombiani non sono agitati solo per le elezioni ma anche per l’ultimo duro attacco alla loro organizzazione da parte delle forze governative. Il “paro armado” del Clan del Golfo, noto anche come Autodefensas Gaitanistas de Colombia (AGC), ha causato l’uccisione di tre civili, un poliziotto e due soldati, e ha bloccato il commercio e la mobilità. L’arresto di Otoniel è un passo importante per il governo, ma secondo gli analisti questo potrebbe portare a una guerra tra narcotrafficanti e non intacca la potenza del clan, che traffica circa 160 tonnellate di cocaina all’anno e controlla la tratta di donne e bambine. 

Colombia, elezioni
Le rotte del traffico di cocaina.

Le politiche antidroga adottate da Duque hanno dimezzato le piantagioni di cocaina, ma la Colombia ne rimane il principale esportatore e tra i primi produttori al mondo, seguita da Bolivia e Perù. La battaglia contro la droga in Colombia risale agli anni del monopolio del cartello di Medellín di Pablo Escobar, il quale stringeva partnership con i trafficanti messicani per per vendere la cocaina a Miami, New York e altre città statunitensi. Dopo le narco-guerre iniziate nel 1989 e portate avanti dai presidenti colombiani e la direzione della DEA (Drug Enforcement Administration), i cartelli più grossi si sono frammentati in piccoli clan ed è iniziata una guerra intestina. Nonostante le perdite umane dei cartelli, il mercato della droga va avanti e si stima un profitto di 320 miliardi di dollari all’anno

La violenza dei clan del narcotraffico, unita a quella delle FARC e dell’ELN, rende la Colombia un Paese pericoloso, soprattutto per le popolazioni indigene, l’ambiente e le donne. Infatti, negli anni molte comunità indigene vicine alla costa del Pacifico sono state costrette a lasciare i loro territori e, secondo le Nazioni Unite, sono più di 1.000 i cittadini espulsi dalle loro case solo nel 2019. Anche nei parchi naturali protetti, gli indigeni vengono perseguitati. Dall’inizio della pandemia, inoltre, i guardiaparco non possono più accedere alle aree protette in Amazzonia, che coprono circa 15mila ettari, a causa delle minacce dei gruppi illegali che ora dominano questo territorio e vi coltivano la cocaina. Secondo la ONG britannica Global Witness, la Colombia è il secondo Paese, dopo il Brasile, più pericoloso per la difesa dell’ambiente, con 290 uccisioni di difensori ambientali dal 2012 ad oggi. 

In un clima di violenza così costante e normalizzato, anche la violenza di genere negli ultimi anni è aumentata. Stando ai dati dell’Istituto Nazionale di Medicina Legale e Scienze Forensi (INML-CF), la violenza sessuale contro le donne è aumentata del 21,11% rispetto al 2020. Nel 2021 sono stati registrati 210 femminicidi, con un aumento del 12,3% rispetto all’anno precedente. Nell’8,1% dei casi, le vittime di femminicidio erano minorenni e in più della metà dei casi, le vittime erano minori di 30 anni. È quindi positivo e promettente che entrambi i candidati al secondo turno abbiano scelto per la vicepresidenza donne ed afrodiscendenti, Francia Márquez e Marelen Castillo. 

Un cambio radicale alle elezioni

Molti colombiani vedono in Petro l’unica possibilità di un reale cambiamento. Il suo programma elettorale inizia con: “Il cambiamento che proponiamo è con le Donne […] Il Patto Storico è per l’uguaglianza delle donne al potere […] riconoscimento del lavoro di cura e per la garanzia di tutti i suoi diritti compreso quello di una vita libera da violenze.” E prosegue parlando della necessità della Colombia di passare da un’economia estrattiva ad un’economia produttiva e dalla sua predominanza fossile ad un’economia decarbonizzata. Riguardo la sicurezza, Petro promette di rovesciare il regime di corruzione, garantire i diritti fuori dal mercato e quindi passare dalle disuguaglianza a una maggiore  giustizia sociale. Inoltre, afferma di voler rispettare gli accordi di pace, disattivare tutte le forme di violenza e di assistenza integrale alle vittime.

Colombia, elezioni
Gustavo Petro, a sinistra, e Rodolfo Hernández, a destra [crediti foto: Arturo de La Barrera,  Attribution-Share Alike 2.0 Generic; Programas Telemedellín, Attribution 3.0 Unported, via Wikimedia]
Su quest’ultimo punto è d’accordo anche il candidato di destra, che ha basato la sua campagna elettorale sull’anticorruzione. Hernandez si è presentato come l’outsider, amico della popolazione e nemico della classe di politici tutti corrotti, e ad alcuni ricorda un po’ Donald Trump. Promette di creare un “istituto virtuale anticorruzione” per restituire ai colombiani il denaro rubato. Le sue priorità sono una riforma tributaria ed una riforma dell’educazione. Inoltre, vuole ristabilire le relazioni con il Venezuela e legalizzare la marijuana medicinale, ma non ha proposte relative ai rapporti con i gruppi del narcotraffico. 

 

I due candidati sono molto diversi e le loro idee possono apparire per molti versi opposte. Tuttavia, entrambi hanno incentrato le proprie campagne elettorali sulla critica dello status quo e sulla necessità di un cambiamento.

*Manifestazione contro le FARC, febbraio 2008 [crediti foto: Camilo Rueda López, via Flickr, CC BY-ND 2.0]
Maddalena Fabbi
Nata a Genova nel ’98. Laureata in triennale alla statale di Milano, oggi sono studentessa double degree presso l’Università di Belgrano a Buenos Aires, Argentina. La mia ricerca di nuove esperienze mi ha portato più volte in America Latina di cui mi sono appassionata.

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