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L’Europa tra gli Investimenti di Cina e Taiwan e i rischi della “dollar diplomacy”

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Le tensioni innescate dalla visita di Nancy Pelosi a Taipei hanno messo in evidenza le enormi conseguenze che avrebbe un’escalation nello stretto di Taiwan. Tuttavia, la possibilità che Bruxelles funga da “mediatore”, come auspicato dall’Alto rappresentante dell’Unione Josep Borrell, è resa difficile da divergenze sulla “questione taiwanese” all’interno dell’UE, causate in parte dall’importanza del mercato cinese per alcuni stati membri.

Sebbene si discuta spesso sugli eventuali rischi che gli investimenti cinesi pongono alla coesione europea, non si presta la stessa attenzione alla possibilità che i finanziamenti taiwanesi possano influenzare la posizione degli Stati membri. È lecito interrogarsi se quest’ultima tesi, molta diffusa nei media cinesi, non sia soltanto mera propaganda dal momento che Taipei ha frequentemente utilizzato le proprie risorse economiche per “stringere alleanze”. L’espansione di politiche “filo-taiwanesi” in Europa potrebbe scatenare una guerra economica con la Cina, uno dei principali partner commerciali dell’Unione. È ormai diventata palese la conflittualità tra Cina e Taiwan nel campo degli investimenti in Europa. 

La “dollar diplomacy” 

Durante la guerra fredda sia la Repubblica Popolare Cinese che il regime nazionalista esiliato sull’isola di Taiwan, elargirono consistenti aiuti economici per “convincere” stati post-coloniali a riconoscerli come il vero governo cinese. In seguito alla democratizzazione, Taipei diventò meno interessata a “riconquistare il continente” preferendo essere riconosciuta come uno stato distinto dalla Repubblica Popolare. Ciò nonostante, ad oggi continua il duello diplomatico con Pechino che insiste sul “principio di un’unica Cina”, secondo la quale esiste una sola Cina di cui Taiwan fa parte, la cui accettazione rappresenta una precondizione a qualsiasi rapporto politico o economico. Dovendo scegliere tra Pechino e Taipei, la maggior parte degli stati, inclusi gli Stati Uniti e tutti gli stati membri dell’UE, optarono per la Repubblica Popolare, limitandosi a intrattenere rapporti non ufficiali con le autorità taiwanesi. 

Nel tentativo di conservare qualche partner diplomatico e mantenere una sembianza di legittimità, Taipei continua a inviare rilevanti contributi economici agli stati del Sud globale, in particolare a stati-isola del Pacifico. Attraverso questa cosiddetta dollar diplomacye, grazie al sostegno di Washington, Taipei è riuscita a mantenere relazioni diplomatiche ufficiali con 13 piccoli Stati in via di sviluppo, il cui numero è però in continuo declino dato che la Cina, con la Nuova Via della Seta e il suo maggior peso economico, spesso riesce a risultare più attraente. Questo costante uso di risorse pubbliche (che fra l’altro ha dato vita a numerosi scandali) non è molto popolare a Taiwan, dove molti considerano gli sforzi del paese per espandere la propria influenza una battaglia persa.

L’Europa: il nuovo fronte tra Cina e Taiwan

Taipei ha quindi cambiato strategia ed ora punta ad ottenere il sostegno dell’Occidente enfatizzando la natura democratica del suo sistema politico, divulgando la narrativa promossa da Washington di uno scontro globale tra democrazie e autoritarismi e offrendo mascherine e forniture mediche. Questo approccio sta riscontrando successo tra i Paesi dell’Europa centro-orientale (CEEC nell’acronimo in inglese) e sta portando alcuni di loro ad allacciare rapporti più stretti con Taipei. Le cause principali sono il ricordo del giogo sovietico, il desiderio di mostrarsi alleati leali degli Stati Uniti e le tensioni con Pechino, causate sia dalla mancanza di una chiara denuncia dell’invasione russa dell’Ucraina, sia da fattori economici

A questo proposito va ricordato che la Cina non ha mantenuto le promesse di nuovi accordi commerciali e maggiori investimenti fatte all’interno della piattaforma “Cooperazione Cina-CEEC” (inizialmente nota come “16+1”) generando così una crescente insoddisfazione nella regione. Un recente report di MERICS e Rhodium Group riporta che gli investimenti cinesi in Europa sono in declino e concentrati negli stati occidentali. Infatti, dal 2000 al 2021, il valore totale degli investimenti cinesi nel Regno Unito è stato di 79.6 miliardi, in Germania di 30.1 miliardi, in Italia di 16.0 miliardi; a fronte di un valore totale di 10.6 miliardi in tutti i CEEC membri dell’UE messi insieme. Inoltre, molti CEEC accusano Pechino di mantenere politiche commerciali che impediscono l’accesso al mercato cinese, aggravando i loro severi squilibri del bilancio commerciale. Ad esempio, secondo Eurostat, nel 2021 le importazioni polacche dalla Cina (31.1 miliardi) sono state 10 volte il valore delle esportazioni (3.1 miliardi). Non è quindi sorprendente che la maggioranza dei CEEC abbia deciso di rafforzare le proprie relazioni con Taipei.

La Lituania rappresenta il caso più emblematico di uno stato dell’Europa centro-orientale che si è avvicinato a Taipei. Nel 2021, il paese baltico è uscito dall’allora “17+1” e ha concesso l’apertura di un “ufficio di rappresentanza di Taiwan” provocando un embargo da parte della Cina (per Pechino l’uso del nome “Taiwan” per l’ufficio rappresenta una violazione del principio un’unica Cina). Secondo ufficiali e media cinesi, la scelta della Lituania è il risultato della dollar diplomacy di Taiwan che ha messo a disposizione un fondo di investimenti di $200 milioni e uno di credito di $1 miliardo per progetti congiunti lituano-taiwanesi, nel cruciale settore dei semiconduttori, nel quale Taiwan è leader mondiale.

Tutta propaganda?

Anche se per la piccola Lituania si tratta di cifre rilevanti, esiste una differenza cruciale tra questi fondi e la dollar diplomacy usata da Taipei nel Sud globale. La dollar diplomacy consiste infatti nell’erogazione di aiuti da parte del Ministero degli Esteri su base puramente politica, mentre i fondi promessi alla Lituania sono degli incentivi per le aziende private taiwanesi che intendano investire nel paese baltico. Di fatto, le aziende taiwanesi sembrano seguire più il mercato che gli obiettivi geopolitici del loro governo: nonostate Taipei spinga le sue multinazionali verso la regione dell’Europa centro-orientale ormai da anni, solo il 2.1% degli investimenti internazionali taiwanesi è approdato nell’UE e in particolare in Olanda (49.0%) e negli altri stati membri occidentali. Il rischio politico degli investimenti taiwanesi è quindi minore rispetto a quello delle aziende statali cinesi che invece spesso danno priorità agli obiettivi politici di Pechino. 

Anche se non si tratta di dollar diplomacy in senso stretto, rimane però vero che Taiwan sta utilizzando le proprie risorse finanziarie per perseguire i suoi obiettivi in UE. I fondi alla Lituania hanno sicuramente aiutato Vilnius a rimanere a fianco diTaipei di fronte ai tentativi dicoercizione economica cinesi e alla disapprovazione pubblica (solo il 13% della popolazione lituana sostiene l’approccio alla Cina di Vilnius). L’aumento degli investimenti taiwanesi verso la Repubblica Ceca e la localizzazione in quel paese dell’hub europeo di Foxconn, la grande multinazionale taiwanese di elettronica, potrebbe anche aver contribuito a far avvicinare Praga a Taipei. Tuttavia,  non sembra che questi investimenti stiano guidando la politica estera degli Stati UE verso posizioni più “filo-taiwanesi” considerando che la seconda destinazione per investimenti taiwanesi nell’UE è l’Ungheria, il maggiore “alleato” di Pechino dentro l’Unione.

Anche se non sono stati “comprati” da Taiwan, molti Stati membri nell’Europa centro-orientale hanno comunque deciso di allacciare rapporti più stretti con Taipei e di adottare un atteggiamento più ostile verso Pechino. L’Unione si trova ora a dover bilanciare le posizioni più Cina-scettiche dei CEEC e del Parlamento europeo e quelle più favorevoli della Commissione, della Francia e della Germania. Per non farsi trascinare da singoli Stati membri, con il rischio di provocare tensioni che potrebbero far perdere all’UE l’accesso ai semiconduttori taiwanesi, fondamentali per numerosi settori dell’economia europea, o all’importantissimo mercato cinese, resta fondamentale che la UE realizzi una maggiore integrazione, rendendosi in grado di affrontare questioni di politica internazionale, come le tensioni tra Cina e Taiwan, in modo più energico e coerente.

Leonardo Bruni
Sino-bolognese, in giro per il mondo dal ‘99. Studente del Doppio Master Sciences Po-Università di Pechino in Relazioni Internazionali e laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna. Interessato nelle relazioni China-UE, la cooperazione per lo sviluppo e la regione del Mediterraneo allargato.

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