Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, gli scenari internazionali sono inevitabilmente cambiati. Non si è solo assistito a un ricompattamento, almeno provvisorio, dell’Alleanza atlantica, ma intere dottrine di politica estera sono state stravolte. E’ il caso di Finlandia e Svezia, decise a porre fine alla loro storica neutralità per reagire all’aggressività russa. Tuttavia, l’ingresso nella Nato è stato immediatamente ostacolato dal veto di Erdoğan, il quale ha posto delle condizioni per concedere l’ingresso nell’Alleanza.
Ma come si è arrivati a questa situazione? Da quanto tempo durava la storica neutralità dei due Paesi nordici? Per quali motivi, e con quali obiettivi, la Turchia si oppone?
Neutralità e “finlandizzazione”: quali differenze?
Nonostante entrambi i Paesi siano (stati) i principali sostenitori della neutralità come elemento cardine della politica estera, le motivazioni che li hanno spinti a questa scelta e i metodi da utilizzare per realizzarla differiscono, a causa della diversa posizione geografica e del diverso percorso storico compiuto.
La posizione finlandese deriva da una sconfitta militare che seppur contenuta, alla fine del Secondo conflitto mondiale portò lo Stato nella sfera d’influenza dell’URSS. Infatti, dopo il Trattato di Mosca, che mise fine alla “Guerra d’inverno” combattuta contro il regime di Stalin, venne firmato nel 1948 “L’Accordo di amicizia, cooperazione e mutua assistenza”. Il fine principale del documento era di stabilire una condizione di difesa reciproca tra i due Stati, ma in esso era anche sancito il divieto per la Finlandia di unirsi ad organizzazioni ostili al Patto di Varsavia (prima fra tutte, Nato). Di conseguenza, la Finlandia ha sempre mantenuto la propria indipendenza da Mosca al prezzo di una certa flessibilità all’ingerenza sovietica nella propria politica interna; in altre parole, la neutralità finlandese è una diretta conseguenza della volontà di proteggersi dalla minaccia russo-sovietica, senza rinunciare a porzioni del proprio territorio nazionale.
Al contrario, la neutralità svedese poggia su tutt’altre basi, anche grazie alla (relativa) lontananza dalla minaccia sovietica, che consente a Stoccolma di muoversi con maggiore libertà. Il perseguimento della politica di non allineamento, infatti, trova la sua origine nella fine della guerra tra Svezia e Norvegia del 1814. A partire da quella data, la Svezia non ha più partecipato a nessuna guerra, e la causa è da rintracciare non in minacce esterne, ma in un paradigma politico-culturale che ha visto nella neutralità la migliore dottrina per raggiungere i propri obiettivi nazionali, sia in politica estera che in politica interna. Così, in entrambi i conflitti mondiali e durante la Guerra fredda il Paese ha sempre mantenuto una traiettoria neutrale.
Tuttavia, già a partire dal 1960, fonti rivelano come la Svezia, formalmente non allineata, avesse avuto numerosi contatti con gli Stati Uniti, fino a diventare un “alleato non ufficiale” dell’Alleanza, con la creazione di piani segreti di cooperazione militare nel caso di invasione da parte dell’URSS. Questa collaborazione è diventata ancora più evidente a seguito della dissoluzione del blocco sovietico, con sempre maggiori contatti tra la Nato, la Finlandia e la Svezia.
Ingresso negato: il veto turco
Gli sviluppi geopolitici hanno portato ad una rivisitazione della dottrina di non allineamento dei due Stati nordici, che, seppur seguendo un percorso lento ma graduale verso la Nato, hanno improvvisamente accelerato i tempi per entrare a far parte dell’Alleanza, con la richiesta formale presentata ufficialmente il 18 maggio 2022. Anche a livello nazionale, la popolazione finlandese e svedese si è rapidamente convinta della necessità di una protezione militare maggiore, dimostrandosi ampiamente favorevole all’ingresso dei due Paesi nell’organizzazione.
Tuttavia, già prima che la richiesta diventasse ufficiale, la Turchia ha subito espresso il proprio parere negativo riguardo l’ammissione dei due Stati nordici. Erdoğan, nonostante l’iniziale linea dura, ha poi accettato di dialogare con i rappresentanti di Finlandia e Svezia, con l’intenzione di iniziare una trattativa; infatti, sfruttando la situazione favorevole, l’obiettivo di Ankara è quello di far accettare alcune condizioni riguardanti la propria sicurezza nazionale. Ma quali sono queste richieste?
La Turchia chiede che i terroristi, appartenenti al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) siano estradati. Infatti, Finlandia e Svezia sono ritenute il rifugio di numerosi membri del Pkk, considerati seguaci di Fethullah Gülen, un predicatore turco accusato da Erdoğan di aver organizzato il tentato colpo di Stato del 2016. Ufficialmente, il Partito curdo è considerato un gruppo terroristico dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti e da altri Paesi “occidentali”; tuttavia, a seguito delle persecuzioni subite, la Svezia ha trattato alcuni membri del Pkk come rifugiati politici, garantendo loro sicurezza e impedendo l’estradizione in Turchia. Inoltre, viene richiesto alla Svezia di interrompere le relazioni con l’Unità di Protezione Popolare (Ypg), il braccio armato del gruppo politico curdo, che ha ricevuto supporto militare e programmi di addestramento in quanto membro della coalizione internazionale impegnata a combattere l’ISIS.
In aggiunta, alcuni analisti ritengono che la Turchia possa sfruttare il momento per ottenere altre concessioni, come l’invio di caccia F-16 dagli Stati Uniti; la vendita di questi velivoli militari si era interrotta nel 2019, quando Ankara aveva deciso di comprare sistemi missilistici di fabbricazione russa, scatenando come reazione americana un blocco sull’acquisto di caccia e un pacchetto di sanzioni contro l’industria militare turca.
A rallentare ulteriormente le procedure si aggiunge la volontà della Turchia di far ritirare a Svezia e Finlandia il parziale embargo che vieta il commercio di armi con Ankara, imposto nel 2019 a seguito dell’offensiva turca contro i curdi siriani. Queste prerogative turche, tuttavia, non hanno come unico obiettivo quello di minare il supporto e la forza del Pkk e del fronte curdo; la decisione di agire con forza, come riporta Paul Levin, direttore dello Stockholm University Institute for Turkish Studies, serve anche ad Erdoğan per riacquistare parte dell’elettorato perso, in vista delle prossime elezioni del 2023. Infatti, la popolarità del presidente è calata molto a causa di una delle peggiori crisi economiche avvenute negli ultimi decenni in Turchia; l’obiettivo di combattere il terrorismo, quindi, serve per distogliere l’attenzione dalla crisi, e allo stesso tempo assicurare nuove fonti di investimento che possano aiutarlo nella rielezione.
Le reazioni degli Alleati
Le richieste di Ankara non sembrano aver sorpreso molto né i leader dei due Stati scandinavi né quelli dell’Alleanza atlantica: la Prima Ministra svedese Andersson e Il Presidente finlandese Niinistö hanno subito confermato la volontà di dialogare e venire incontro alle preoccupazioni turche, con l’invio di delegazioni pronte ad incontrare il portavoce di Erdoğan, Ibrahim Kalin, e il Vice Ministro degli Esteri Sedat Önal. Lo stesso vale per le richieste portate avanti verso gli Stati Uniti, che, come sostenuto dal Ministro degli Esteri Çavuşoğlu, stanno “proseguendo positivamente”. L’ingresso della Svezia e della Finlandia nella Nato rappresenta al momento uno dei punti prioritari dell’agenda politica americana e scandinava, e da questo deriva la rapidità con cui si sta cercando di venire incontro alle volontà turche; ma quanto tempo ci vorrà per completare i processi di adesione?
Nonostante i rallentamenti causati dalla Turchia, la durata del percorso potrebbe durare, secondo alcuni analisti, alcune settimane, al più un paio di mesi: entro la fine del 2022, sia la Finlandia che la Svezia dovrebbero diventare membri della Nato. Questo “percorso accelerato” è possibile per varie ragioni: innanzitutto, un fattore chiave è la ferma volontà popolare di entrambi gli Stati, che come osservato precedentemente supporta la decisione di entrare nell’Alleanza. In secondo luogo, entrambi i Paesi raggiungono già ampiamente i requisiti politici, militari ed economici per essere ammessi, e sono visti come risorse preziose all’interno dell’Organizzazione. Inoltre, sembra che tutti gli Stati membri (ad esclusione, provvisoria, della Turchia) siano favorevoli al loro ingresso, rendendo quindi più veloci e sicure le procedure di ratifica nei singoli Parlamenti.
Una nuova cortina?
L’entrata di Finlandia e Svezia nella Nato garantisce un rinforzo notevole in termini militari ed economici: Helsinki dispone di un esercito moderno ed efficiente, che conta un personale attivo di circa 23.000 soldati e centinaia di migliaia di riservisti addestrati (circa 900.000), grazie alla coscrizione obbligatoria sancita dalla Costituzione; è anche dotato di uno dei migliori sistemi di artiglieria in Europa e di un apparato difensivo avanzato. Stoccolma, invece, non ha una massa di riservisti così massiccia, ma garantisce una tecnologia all’avanguardia nell’ambito della guerra ibrida (in special modo riguardo le capacità offensive di attacco cibernetico), nonché una forza aerea dal rapido dispiegamento. Da sottolineare è anche la dottrina militare che guida le politiche di difesa dei due Stati scandinavi, che può tornare utile per le strategie Nato: prende il nome di “Difesa totale”, e assicura che il Paese, in caso di grave minaccia alla propria sicurezza nazionale, sia in grado di rispondere in modo massiccio e rapido, unendo l’apparato civile (dalle industrie fino alla società stessa) con quello militare con il fine di reagire all’istante in difesa del proprio territorio.
Oltre al piano strettamente militare, i due Stati permetterebbero alla Nato di controllare il Mar Baltico, raggiungendo così una profondità strategica a lungo cercata, utile a proteggere con maggiore forza un’eventuale aggressione russa ai danni dei tre Paesi baltici. Inoltre, l’allargamento dell’Alleanza garantirebbe una presenza più forte nell’Artico, zona considerata chiave per la politica securitaria russa e per la politica estera americana.
Le reazioni russe non si sono fatte attendere, anche se contraddittorie: alla dichiarazione del Viceministro degli Esteri russo Ryabkov, che minacciava “conseguenze di vasta portata” in caso di allargamento della Nato, sono seguite le parole di Putin, il quale ha invece sostenuto che l’ingresso di Finlandia e Svezia non rappresenta un grave problema per la sicurezza della Russia, a patto che non vengano installate infrastrutture militari nei due Stati scandinavi. In ogni caso, per evitare qualsiasi rischio, sin dal principio alcuni Stati della Nato, come il Regno Unito e gli Stati Uniti, hanno garantito un supporto militare in caso di minaccia da parte russa, per assicurare l’integrità territoriale dei due Paesi scandinavi in vista dell’ingresso formale, che creerà nuovamente un ampio confine diretto con la Russia. Siamo di fronte a una nuova cortina?