Rispondere alle esigenze legate allo sviluppo sostenibile dei Paesi del Sud del mondo irrobustirebbe la posizione internazionale di Bruxelles, oltre a creare catene di approvvigionamento più sicure e diversificate. Inoltre, un’azione mirata riuscirebbe ad aiutare milioni di persone ad affrontare il cambiamento climatico e ad uscire dalla povertà. Tuttavia, c’è scetticismo sulla capacità dell’UE e della sua nuova strategia per la cooperazione allo sviluppo, il Global Gateway, di venire incontro ai bisogni dei Paesi più poveri, specialmente se confrontata con la Nuova via della seta avviata dalla Cina quasi dieci anni fa.
Che cos’è il Global Gateway?
Inaugurata il 1 dicembre 2021 dalla Commissione europea, il Global Gateway è una strategia europea finalizzata a mobilitare fino a €300 miliardi in investimenti per progetti infrastrutturali tra il 2021 e 2027 tramite un maggiore coordinamento tra istituzioni europee, Stati membri e istituzioni finanziarie, coinvolgendo anche enti privati. I progetti finanziati dovrebbero contribuire allo sviluppo sostenibile, a rafforzare i legami tra l’Europa e il mondo e a colmare il deficit globale negli investimenti infrastrutturali stimato intorno ai $1,2 bilioni annui. La strategia si focalizza su cinque settori chiave: il settore digitale, clima ed energia, trasporti, istruzione e ricerca, e salute
Annunciando il Global Gateway, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen mise subito a confronto questa nuova strategia europea con la Belt and Road Initiative (BRI), nota in italiano come la “Nuova via della seta,” l’iniziativa cinese nata nel 2013 per finanziare la costruzione di infrastrutture e promuovere il ruolo internazionale della Cina. Anche se sono esagerate le accuse che la BRI volutamente intrappola Paesi nel debito o espropria infrastrutture critiche, in molti casi la mancata tutela da parte di Pechino e problemi di governance nei Paesi di destinazione hanno provocato gravi ripercussioni ambientali, politiche, ed economiche.
Il Global Gateway risponde alla BRI enfatizzando l’alta qualità, la trasparenza, il rispetto dei valori democratici, e il sostegno per la transizione verde. Va sottolineato che la BRI finanzia progetti soprattutto tramite prestiti di vario genere, da quelli con tassi di interesse agevolati a quelli con tassi di interesse commerciali. Dato che problemi di debito affliggono tanti Paesi in via di sviluppo, il Global Gateway potrebbe offrire un’alternativa poiché i suoi finanziamenti consisterebbero in sovvenzioni e garanzie. Di fatto, la strategia europea mira a focalizzare e coordinare l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) fornito ogni anno dall’UE e dai singoli Stati membri (nel 2021 l’Unione nel suo insieme fornì €70,2 miliardi, 43% del totale globale di APS) per mobilitare e incentivare investimenti privati nel Sud globale.
Inoltre, il Global Gateway sta riempiendo un vuoto, dato che da ormai sette anni, e specialmente in seguito al COVID-19, gli investimenti cinesi sono in declino. Questa tendenza è dovuta alle riforme e ai regolamenti introdotti da Pechino per contrastare alcuni aspetti negativi della BRI e rendere l’iniziativa più sostenibile da un punto di vista ambientale ed economico. L’insolvenza di molti progetti BRI ha anche portato le banche cinesi ad essere molto più caute, mentre problemi economici interni hanno spinto Pechino a focalizzarsi maggiormente su questioni nazionali.
Problemi in corso
Il Global Gateway non è la prima strategia occidentale per promuovere la connettività. Ci sono state altre iniziative, come la EU Asia Connectivity Strategy (2018) che però non sono mai decollate. Ad esempio, il G7 non ha ancora dato vita a nessuna iniziativa, limitandosi a cambiare ogni anno il nome della propria strategia: da Blue Dot Network (2019), a Build Back Better World (2021), a Partnership for Global Infrastructure and Investment (2022). L’incapacità dell’Occidente di attuare le loro “nuove vie della seta” è uno dei motivi per cui gli Stati del Sud globale non sono molto ottimisti riguardo al Global Gateway. Infatti, il punto di forza della BRI è che i suoi investimenti spesso sono gli unici veramente disponibili.
Un recente report dell’European Network on Debt and Development (EURODAD) indica altre criticità. Nonostante le critiche europee alla BRI per la sua opacità, anche il Global Gateway non è particolarmente trasparente per quanto riguarda il processo decisionale, la struttura, e la lista dei progetti. Inoltre, il Global Gateway non raccoglie nuovi fondi, ma riconfeziona fondi esistenti per sovvenzionare progetti che favorirebbero gli investimenti privati, mettendo quindi lo sviluppo del Sud globale nelle mani scarsamente affidabili dei mercati finanziari. Tutto ciò, oltre a dimostrare la scarsa volontà dell’UE, alimenta la paura che il Global Gateway stia dirigendo fondi per lo sviluppo sostenibile e la lotta alla povertà verso progetti scelti per motivi geopolitici o perché premierebbero aziende europee.
Il vertice UE-Africa, tenutosi a marzo del 2022, ha reso evidenti le lacune del Global Gateway, portando alla luce l’opacità del pacchetto di investimenti di €150 miliardi annunciato da Von der Leyen. In assenza di dati concreti, è infatti realistico supporre che non si tratti di nuovi fondi, ma di fondi e iniziative già esistenti ribattezzati con un nuovo nome. Dato che non è possibile verificare l’origine dei finanziamenti, rimane possibile che Bruxelles cambi le proprie priorità e li dirotti, ad esempio, alla ricostruzione dell’Ucraina.
Quali le conseguenze e come proseguire?
Una mancata concretizzazione del Global Gateway avrebbe sicuramente un forte impatto sulla credibilità dell’UE non solo nel campo della cooperazione allo sviluppo ma anche come attore globale. Ciò sarebbe particolarmente deleterio in un momento in cui l’invasione russa dell’Ucraina sta mettendo in risalto l’incapacità dell’UE di promuovere la sua narrativa nei Paesi del Sud globale, in particolare fra quelli democratici come India, Brasile e Sudafrica, molti dei quali si astengono dal condannare o sanzionare Mosca.
Tuttavia, non sarebbe opportuno usare i finanziamenti del Global Gateway come strumento politico, ad esempio ritirando fondi da Paesi che non condividono i “valori europei.” Un approccio transazionale ostacolerebbe, infatti, la possibilità per l’UE di acquisire un maggiore ruolo nel Sud globale e rafforzerebbe la percezione dell’UE e dei suoi Stati membri come attori egocentrici e ipocriti, una percezione che si è già materializzata a seguito del diverso modo con cui vengono accolti i rifugiati ucraini rispetto a quelli provenienti da altri Paesi, i recenti commenti discutibili e di cattivo gusto di Borrell che ha definito l’Europa un “giardino” e il resto un mondo una “giungla,” e l’ipocrisia europea sul cambiamento climatico (mentre riaccendono gli impianti a carbone, gli Stati europei continuano a criticare le infrastrutture energetiche in Africa).
Meglio sarebbe riformare il Global Gateway, rendendolo più capace di rispondere alle esigenze dei Paesi in via di sviluppo. Per fare ciò sarebbe necessario adottare una strategia più trasparente, offrire nuove risorse finanziarie, coinvolgere maggiormente le realtà locali e prioritizzare lo sviluppo sostenibile invece del profitto delle aziende europee. Infine, invece di competere con la BRI ponendosi come un’alternativa, il Global Gateway potrebbe anche cercare forme di collaborazione.
In conclusione, il Global Gateway rappresenta per la UE un’opportunità unica per assumere il ruolo di attore globale. La sua piena realizzazione soddisferebbe anche il recente ammonimento del ministro degli esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar per cui “l’Europa deve cambiare mentalità, perché crede ancora che i suoi problemi siano i problemi del mondo, ma che i problemi del mondo non sono quelli dell’Europa.”