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Troppi e svantaggiosi? Tutti i nodi dei referendum in Italia

Tempo di lettura stimato: 7 min.

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Il successo riscontrato – anche in virtù della procedura digitale – dalle recenti raccolte firme in favore dei referendum sulla depenalizzazione dell’eutanasia e su quella della cannabis ha posto nuovamente, dopo circa un anno, l’attenzione dei media su tale istituto giuridico.

A partire dalla prossima primavera, il nostro Paese potrebbe vivere una stagione referendaria intensissima, con ben nove quesiti sottoposti ai cittadini (previa il superamento di tutti gli step necessari, ai due quesiti già citati potrebbero aggiungersi quello sull’abolizione della caccia e i sei sulla giustizia, rispettivamente promossi da Radicali e Lega). Numeri del genere consentirebbero di superare persino il risultato del 1993, quando i quesiti furono otto, ma sarebbero ancora distanti dal record (12) del 1995

Come funziona un referendum

Nell’ordinamento italiano, il referendum è espressamente previsto dalla Costituzione e rappresenta, insieme al disegno di legge di iniziativa popolare e alla petizione, uno degli strumenti volti a garantire la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica. Le tipologie di referendum costituzionalmente contemplate sono sei: il referendum abrogativo (che in caso di successo porta all’abolizione totale o parziale di una legge o di un atto avente forza di legge), quello costituzionale (che può essere richiesto dopo la seconda votazione di una legge costituzionale o di revisione costituzionale a patto che non sia stata raggiunta la maggioranza qualificata in entrambe le camere), e quattro tipi di referendum legati alle regioni. Questi ultimi possono riguardare la fusione di regioni esistenti (o la creazione di nuove regioni), il passaggio da una regione all’altra di province o comuni, gli statuti regionali, l’abrogazione di leggi regionali.

Il referendum abrogativo è proposto dai cittadini (i quali devono raccogliere 500.000 firme) o dalle regioni (voto favorevole da parte di 5 consigli regionali). A questo punto intervengono prima la Corte di Cassazione (che giudica la conformità) e poi la Corte Costituzionale (che verifica l’ammissibilità). Superati questi controlli, viene indetto il referendum e, affinché esso sia valido, deve essere raggiunto il cosiddetto quorum, ossia deve partecipare al voto almeno la maggioranza degli aventi diritto. 

Quanto al referendum costituzionale, l’iniziativa è riservata a un quinto dei membri di una Camera, a 500.000 elettori, oppure a cinque consigli regionali. La richiesta referendaria deve essere presentata entro tre mesi dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta ufficiale. Entro i successivi 60 giorni, il Presidente della Repubblica fissa la data della consultazione, che non prevede il raggiungimento del quorum.

Storia del referendum nell’Italia repubblicana

Sono 73 le consultazioni referendarie nazionali che si sono svolte in Italia a partire dal 1946: di queste, ben 67 sono stati referendum abrogativi, ma solo 39 validi. Tra i più importanti referendum abrogativi del passato ricordiamo quello del 1974 (primo referendum abrogativo della storia dell’Italia repubblicana) per l’abolizione della legge sul divorzio, conclusosi con una netta vittoria del no, oltre a quello di sette anni più tardi che comprendeva, fra le altre cose, un quesito sull’aborto.

referendum Italia
La prima pagina del Corriere della Sera all’indomani della vittoria del no nel referendum sull’abrogazione del divorzio

Non si possono non citare anche la consultazione del 1985 sulla scala mobile, cioè sullo strumento economico che indicizzava i salari in funzione dell’inflazione (il Pci ne propose l’abolizione in polemica con alcune revisioni operate da Craxi ma prevalse il “no”), quella in favore della riduzione delle preferenze per la Camera dei deputati (1991, su iniziativa di Mariotto Segni) e quella che nel 1993, nel pieno di Tangentopoli, abolì il finanziamento pubblico ai partiti (voluta dai Radicali). L’ultimo referendum abrogativo in ordine di tempo è stato quello del 2016 sulla proroga delle concessioni di estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine, che non ha raggiunto il quorum.

I referendum costituzionali, invece, sono stati soltanto quattro. Il primo è stato quello del 2001, che ha apportato importanti modifiche al Titolo V, ridefinendo ad esempio le materie sulle quali Stato e regioni possono esercitare la potestà legislativa. Una seconda consultazione di questo tipo si è avuta nel 2006, quando è stata proposta una corposa modifica della seconda parte della Costituzione (che prevedeva, fra le altre cose, la fine del bicameralismo perfetto e l’aumento dei poteri del Presidente del Consiglio): in questo caso a prevalere è stato il no. Più recenti, invece, il referendum sulla riforma Renzi-Boschi del 2016, anch’esso con risultato negativo, e quello del 2020 sulla riduzione del numero dei parlamentari, che invece ha visto il fronte del sì prevalere con quasi il 70%. 

Nella storia dell’Italia repubblicana vi è un unico esempio, infine, di referendum di indirizzo: quello del 1989 sulla possibilità di conferire all’Unione europea il potere di redigere una costituzione comunitaria da sottoporre alla ratifica da parte degli Stati membri, conclusosi con una schiacciante vittoria del sì.

Troppi referendum in Italia? Un confronto con gli altri Paesi

Guardando al numero di referendum che si sono svolti negli ultimi decenni nei principali Paesi europei, si può subito notare come in Italia vi siano state molte più consultazioni che in altre nazioni del continente, su tutte Francia e Germania.

Oltralpe, nella cosiddetta Quinta Repubblica (ossia negli ultimi 63 anni), i referendum sono stati soltanto nove, di cui l’ultimo nel 2005: tale quesito domandava se il Paese avrebbe dovuto adottare la Costituzione redatta due anni prima dalla Convenzione europea, e vide la vittoria del no. Se consideriamo poi l’intero periodo dalla rivoluzione ad oggi, le consultazioni salgono solamente a 21, e si può notare come siano avvenute in periodi circoscritti (fase rivoluzionaria, secondo dopoguerra, decennio gollista). Come spiega la accademica francese Laurence Morel, vicepresidente del Research Committee on Political Sociology, il motivo del così scarso ricorso al referendum è dovuto alla particolare concezione che si ha in Francia di tale strumento: rappresenta infatti un fenomeno molto particolare, associato spesso a situazioni di crisi, transizioni di regime o pratiche autoritarie.

In Germania, invece, si è votato a un referendum (per la confisca degli appartamenti ai colossi dell’immobiliare che possiedono migliaia di edifici sfitti) anche il 26 settembre scorso, ma soltanto a Berlino. Infatti, essendo la Germania una repubblica federale, le consultazioni avvengono quasi esclusivamente a livello di singoli stati federati. Ciò anche perché, alla luce delle negative esperienze precedenti, con la rifondazione della repubblica tedesca si è stabilito che gli elementi di democrazia diretta non dovessero essere poi tanti, contrariamente a quanto ad esempio avveniva nel periodo della Repubblica di Weimar. Ѐ così dunque che in Germania esistono soltanto due tipi di referendum costituzionale a livello federale: quelli per emanare una nuova costituzione (le semplici modifiche non richiedono infatti un voto pubblico) – mai verificatisi sinora – e i cosiddetti referendum per la “ristrutturazione del territorio federale”. Questi ultimi richiedono un voto per modificare il territorio di uno stato federato, ma non riscontrano praticamente mai successo.

Il ricorso al referendum, tra benefici e lati negativi

Il referendum è il principale strumento di democrazia diretta nelle mani dei cittadini italiani, che ricorrendovi possono esprimere direttamente la propria opinione su norme, atti o decisioni da assumere senza passare dal Parlamento. Proprio quest’ultimo aspetto, però, rischia di far sì che un numero troppo elevato di consultazioni metta in crisi il sistema basato sulla democrazia rappresentativa che vige nel nostro Paese. Era di questo avviso già oltre 40 anni fa il costituzionalista Alfonso di Giovine, che nel pieno della stagione referendaria di allora riprendeva la netta distinzione tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa operata dal filosofo e giurista Norberto Bobbio. Togliendo spazio al Parlamento nell’esercizio del potere legislativo, infatti, e facendo sì che siano direttamente i cittadini a votare in maniera frequente sulle questioni più disparate, verrebbe meno il motivo per cui gli stessi parlamentari sono stati eletti.

Altre critiche al referendum stanno giungendo in queste ultime settimane, a causa della velocità e della relativa facilità nelle raccolta firme derivante dalla nuova procedura di sottoscrizione online. Secondo alcuni esperti, infatti, il numero di proposte referendarie nel nostro Paese potrebbe aumentare ulteriormente, facendo sì che il referendum diventi qualcosa di diverso da ciò per cui era stato pensato, perdendo così parte della sua importanza.

I referendum, però, hanno anche indubbi lati positivi: ad esempio, come spiega Roberto Puglisi (riportando le parole di Timothy Beasley e Stephen Coate), fanno sì che quei cittadini che non ottengono decisioni vicine alle proprie preferenze – su singoli temi – da parte dei rappresentanti da loro eletti possano avere una possibilità in più per far valere le proprie istanze. Altro punto a favore dei referendum, la maggior responsabilità per l’esecutivo che ne deriva. Il governo, infatti, non potrà ignorare per sempre temi su cui la cittadinanza chiede che venga fatta chiarezza: non a caso, il boom della raccolta firme in favore del referendum sull’eutanasia ha suscitato clamore all’interno delle sedi istituzionali. 

Infine, va sottolineato un altro aspetto positivo del referendum e della democrazia diretta in generale, cioè il ruolo rivestito nell’educazione e la formazione dei cittadini, che sentendosi più coinvolti nelle scelte cruciali del proprio Paese sono spinti alla partecipazione e si informano di più per poter meglio definire la propria posizione. Una considerazione che però, vista la lunga stringa di referendum abrogativi invalidati dal mancato raggiungimento del quorum negli ultimi venti anni, forse vale solo per temi che i cittadini italiani ritengono davvero salienti.

Vittorio Fiaschini
Nato a Perugia 22 anni fa, dopo una triennale in Economia e finanza studio Economics of government and international organizations alla Bocconi. Amante di sport, cinema e storia, la mia passione numero uno è però la politica. Fanatico della Prima Repubblica, dico frequentemente "quando c'era lui", ma con riferimento a De Gasperi.

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