Ma chi è il whistleblower? E perché rappresenta una figura chiave per la società di oggi?
Nato nella giurisprudenza americana di fine Ottocento, il whistleblower – letteralmente il “fischiettatore”- è definito come “colui che segnala un’attività illecita compiuta nel luogo di lavoro di cui esso stesso fa parte”. Mediante una segnalazione alle autorità competenti, il whistleblower “suona letteralmente l’allarme” per la presenza di pratiche scorrette che sfociano nella criminalità. Generalmente questo soggetto è un insider, un lavoratore che coraggiosamente denuncia la corruzione presente nel suo ambito lavorativo: è riconosciuta universalmente l’importanza di queste segnalazioni per il contrasto alla corruzione in quanto, provenendo dall’interno, possono fornire informazioni fondamentali per le indagini e la prevenzione di un fenomeno che è spesso difficile da comprendere.
Risulta facilmente comprensibile quanto questi soggetti necessitano di una salvaguardia straordinaria in quanto potenzialmente molto sensibili a ritorsioni o a danni personali. Sia a livello europeo che internazionale, la pratica di rendere note alle autorità informazioni per la salvaguardia dei principi di legalità, viene incentivata da normative e da convenzioni. Ad oggi, sebbene vi siano diverse indicazioni sovranazionali per la tutela dei whistleblowers, in Europa sono solo 10 gli Stati membri (tra cui l’Italia con la legge 179 del 2017) che prevedono lo loro piena tutela; la maggior parte ha infatti predisposto solo protezione parziale o per settori specifici.
La Commissione Europea proprio in virtù di ciò ha adottato nell’ottobre del 2019 la direttiva a protezione degli whistleblower che fornisce uno scudo potenziato di fronte ai rischi legati alla denuncia. Cosa prevede questo documento? Colui che “suona il fischietto” non potrà essere licenziato, sospeso o sanzionato a prescindere dalla sua posizione nella gerarchia aziendale e avrà inoltre a disposizione dei canali diretti per le segnalazioni che gli garantiscano discrezione e anonimato. Queste norme devono essere applicate ad ogni azienda o ente pubblico con 250 dipendenti o più, e dal 2023 saranno estese anche alle entità con minimo 50 dipendenti.
Alcune statistiche sulla pratica del whistleblowing in Italia
L’ultimo rapporto ANAC sul whistleblowing, pubblicato nell’estate 2019, evidenzia come nel corso degli anni siano aumentate le segnalazioni di illeciti: nel 2018 sono state più del doppio rispetto all’anno precedente. Inoltre l’82% delle segnalazioni proviene dalle piattaforme informatiche predisposte dalle normative in materia di anticorruzione, a dimostrazione dell’importanza cruciale di questi canali che consentono sia accesso diretto che tutela della riservatezza. Sono invece molto allarmanti i dati relativi alla consapevolezza popolare sul tema del whistleblowing: secondo la Commissione Europea il 49% dei cittadini non conosce le modalità per denunciare attività di corruzione e solo il 15% è al corrente delle regole a protezione del whistleblower. Percentuali che dovrebbero far pensare, o meglio, ripensare, all’implementazione di politiche per la sensibilizzazione al tema della corruzione.
Consapevolezza sul sistema di protezione dei whistleblowers.
FONTE: Commissione europea
Edward Snowden: whistleblower o criminale?
Dopo essere arrivato ai titoli della cronaca mondiale, Snowden è tutt’oggi una figura molto discussa e sulla quale si sono articolate anche diverse questioni politiche e diplomatiche. Ma andiamo con ordine.
Edward Snowden, cittadino statunitense nato nel 1983 e cresciuto nella Carolina del Nord, dopo aver terminato gli studi di informatica e aver servito per un breve periodo nell’esercito, venne assunto prima dalla National Security Agency (NSA) e poi dalla CIA. I suoi compiti si svolgevano nell’ambito della sicurezza informatica e in particolare si articolavano attorno all’analisi di documenti strettamente riservati. Nel 2013, dopo essersi licenziato dalla CIA, Snowden venne assunto dalla Booz Allen Hamilton, un’agenzia consulente della stessa NSA. Fu proprio nel 2013 che Edward Snowden svelò al noto giornale The Guardian l’esistenza di un programma di sorveglianza globale predisposto e portato avanti dalla CIA. Ne emersero rivelazioni sconvolgenti che diedero origine al soprannominato Datagate: concretamente, gli Stati Uniti insieme a diverse agenzie di intelligence, tra cui quella britannica, israeliana e tedesca, erano da tempo coinvolti in attività di spionaggio dei cittadini su scala globale. Nel giro di pochissimo tempo venne dimostrato che oltre ad essersi illegalmente appropriati di informazioni private per fini antiterroristici, la NSA e i suoi partner avevano condotto attività di spionaggio politico e industriale, compreso l’inserimento di cimici e telecamere nascoste in edifici delle istituzioni europee, dell’ONU e di alcuni ministeri brasiliani. Le conseguenze del Datagate si mostrarono fin da subito smisurate sia sul piano delle relazioni internazionali che del danno all’immagine del sistema di sicurezza occidentale. Appena dopo la denuncia pubblica, il Dipartimento di Stato ritirò il passaporto ad Edward Snowden e lo accusò formalmente di violazione dell’Espionage Act del 1917 e di furto di proprietà del governo. Snowden riuscì a volare fino a Mosca: dopo aver trascorso oltre un mese bloccato in aeroporto, gli venne concesso il visto per il diritto di asilo che tutt’oggi permette di vivere insieme alla sua famiglia sul territorio russo. Sebbene il governo americano lo abbia più volte definito come “leaker” (talpa), Snowden non ha mai smesso di descriversi come whistleblower, che in nome dei principi chiave della Costituzione Americana ha deciso di andare contro a pratiche illecite messe in atto dal suo stesso sistema federale.
Ad oggi la maggior parte degli studiosi e degli analisti si trova d’accordo con le parole di Snowden, sebbene venga naturale interrogarsi in merito al conflitto tra tutela della privacy e sicurezza collettiva: a quanti dei nostri diritti siamo disposti a rinunciare per una migliore protezione globale dal terrorismo? E’ ancora possibile affermare che il principio di libertà sia alla base del sistema occidentale contemporaneo? Il “fine” davvero giustifica sempre i “mezzi”?
Oggi più di ieri ma meno di domani
Oggi più che mai, in un mondo che si trova di fronte da quasi due anni ad un’emergenza di portata eccezionale, risulta fondamentale combattere la corruzione, in quanto principale ostacolo alla gestione ottimale dello Stato e segnale di una crisi etica e sociale. E’ sempre importante tenere a mente che la corruzione in quanto tale si nutre di finanziamenti, aiuti nazionali e sovranazionali, pacchetti di stimolo economico, tutte misure che negli ultimi tempi vengono implementate per far fronte alle conseguenze del Covid-19: il terreno mai come oggi è fertile per lo sviluppo e il rafforzamento delle dinamiche illecite. Una recente ricerca della Health Initiative di Transparency International mostra che la copertura nazionale universale risulta essere di difficile raggiungimento proprio per via della corruzione diffusa nell’erogazione dei servizi sanitari di diversi Stati. In un tale scenario, il recepimento delle direttive per la tutela dei whistleblowers è fondamentale, in quanto i rappresentano oggi una risorsa di importanza ancora più inestimabile per la lotta alla corruzione e per la tutela dei principi democratici propri delle nostre società.