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Risultati e conseguenze delle elezioni regionali umbre

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Le elezioni regionali umbre, nella storia della Repubblica, non sono mai state un evento cardine della vita politica nazionale. Questo non perché fossero meno importanti di altre, ma perché da sempre l’Umbria, insieme a Toscana, Marche ed Emilia-Romagna, ha rappresentato lo zoccolo duro dell’elettorato dei partiti di sinistra, e perciò il loro risultato è spesso parso “scontato”. Difatti, dal 1970 ad oggi, a Palazzo Cesaroni si sono sempre susseguiti presidenti appartenenti a PCI, PDS o PD.
Come mai allora ci siamo trovati in questo mese sui quotidiani, nei telegiornali e nei bar a parlare delle regionali umbre? Si dirà: innanzitutto perché dai sondaggi è parso chiaro che la sinistra queste elezioni le avrebbe perse, essendo Donatella Tesei, candidata della coalizione di centrodestra – formata da Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, e altre liste minori – data tra il 47% e il 53%, seguita a non molta distanza da Vincenzo Bianconi (40%-45%), sostenuto da quelli che oggi sono i partiti di governo, con l’assenza del neonato Italia Viva.
Il probabile cambio di casacca a Perugia non è però una spiegazione sufficiente a giustificare il risalto mediatico rivolto a queste elezioni, in quanto, malgrado il “quadrilatero rosso” non fosse ancora stato colpito, l’ondata generata dalla Lega di Matteo Salvini ha spostato verso destra diverse regioni nelle ultime tornate elettorali.
Allora dove giace il reale motivo di tutto questo clamore nei riguardi della regione che ha dato i natali al patrono d’Italia? Per rispondere alla domanda è necessario fare un passo indietro di un paio di mesi, esattamente al 5 settembre, data in cui si è insediato il governo Conte bis. Quell’esatto giorno Matteo Salvini, dopo essersi leccato le ferite di quello che probabilmente è il più clamoroso suicidio politico della seconda repubblica, ha messo la bandierina di obiettivo primario sulle elezioni umbre del 27 ottobre, in quanto primo appuntamento elettorale dopo la debacle estiva, che ha portato il partito verde/blu dal governo all’opposizione per propria spontanea volontà, o colpa.

I risultati delle urne (con affluenza al 64%) non hanno disatteso le aspettative, anzi, han superato i valori dei sondaggi. Il centrodestra trionfa con il 57,5%, guidato dalla Lega che da sola raggiunge il 37%. I giallorossi invece affondano, prendendo un distacco di all’incirca venti punti dagli avversari. In particolare è il M5S a crollare al 7,42%, dato al di sotto di qualsiasi attesa, che porta i pentastellati a circa la metà dei consensi del maggiore alleato di governo, ma soprattutto a poco più di metà dei voti ricevuti alle europee e alle precedenti regionali.

Tabella risultati elezioni regionali umbre

I riscontri elettorali invece non possono che far gioire il Carroccio, in quanto portano alla luce le difficoltà interne all’alleanza tra gli attori alla guida del paese, e danno una prima leggera spallata al governo, che fatica a trovare supporto elettorale. Non ha perso tempo Salvini, che appena acquisiti i primi numeri certi ha parlato di “impresa storica” e “governo di abusivi”, seguito a ruota da Claudio Borghi, il quale su Twitter si è lasciato andare ad un inequivocabile “Ciao ciao giallorossi”. Non è da meno il vicepresidente di Forza Italia Tajani, che commenta riferendosi al successo elettorale come ad una “vittoria della rivoluzione pacifica” e “chiara espressione della volontà degli italiani di avere un governo di centrodestra”.
Dall’altra parte della barricata la situazione è decisamente più tesa, e non poteva essere altrimenti avendo le regionali umbre mostrato come uniti M5S e PD non rappresentino un’alternativa sufficientemente forte alla coalizione di centrodestra, almeno per quanto riguarda le realtà territoriali.
È proprio su questo punto che batte il martello il segretario democratico Zingaretti, il quale parla di “sconfitta netta, che però non avrà conseguenze sul governo”. Più severo è invece il capogruppo PD al senato Andrea Marcucci, che si riferisce all’alleanza territoriale con il Movimento come “alleanza costruita all’ultimo e senza contenuti” e si augura che in futuro il partito di Piazza Sant’Anastasia discuta più approfonditamente riguardo la possibilità di presentarsi in coalizione e soprattutto con chi presentarsi in coalizione. Non è di diverso avviso il M5S, che, attraverso il proprio account Twitter, si riferisce alla sconfitta definendola un “esperimento fallito, lontano dalla natura del Movimento, che rappresenta una valida alternativa solo mostrandosi come possibile terza via rispetto al bipolarismo”.

La sconfitta umbra riporta alla luce i malumori di tutti gli scettici verso quest’alleanza governativa, che Carlo Calenda ha definito “assurda, in quanto figlia di valori opposti”. La situazione pare particolarmente tesa in particolare nelle file dei 5 Stelle, dove sono diversi i cosiddetti ribelli che puntano il dito contro l’operato di Di Maio e ne chiedono la testa, dicendosi favorevoli a un intervento di Grillo e Casaleggio e auspicando ad uno scontro fra le leadership interne al movimento. Di diverso avviso sono invece i parlamentari più vicini al leader pentastellato, i quali parlano di errore commesso da Grillo, Conte e Fico nell’optare per un’alleanza con il PD anche su scala regionale. Su questa linea si assesta anche Gianluigi Paragone, da sempre voce autonoma all’interno dei gialli, il quale aggiunge che la disfatta in Umbria è figlia della mancanza di coerenza avuta negli ultimi mesi.

Alleanza PD-M5S pre elezioni regionali umbre

Al di là delle ripercussioni sul governo, che con ogni probabilità non entrerà in crisi dopo questa sconfitta, ciò che certamente appare chiaro da queste consultazioni è lo spostamento di un’intera classe sociale da sinistra a destra. Questo dimostra come la linea anti-migranti di Salvini abbia ancora forte presa sull’elettorato, malgrado l’immagine del capitano (o capitone) sia uscita indebolita dalla crisi di governo estiva, e come il focalizzarsi sugli ultimi (i migranti) abbia portato la sinistra a perdere il voto dei penultimi, ovvero tutti quei cittadini dal reddito limitato che da sempre han costituito la base di quello che una volta era il PCI.

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