Competenza dello Stato o delle regioni?
Nel corso dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19, si è potuto osservare a più riprese come il rapporto fra Stato e regioni sia tutt’altro che idilliaco. Infatti, diversi governatori, appartenenti ai più disparati schieramenti politici, non hanno perso l’occasione per polemizzare con l’esecutivo sulla gestione della delicata situazione.
La sovrapposizione che talvolta si crea tra i poteri dello Stato e quelli delle regioni genera situazioni di conflitto di competenza. Un conflitto di competenza si ha quando due o più organi affermano o negano contemporaneamente la propria competenza riguardo una determinata materia; nel caso specifico del rapporto Stato-regioni, il conflitto di competenza è tipico, secondo la sentenza della Corte Costituzionale n. 472 del 1995, delle situazioni in cui un atto statale invade la sfera delle competenze regionali. Le situazioni di conflitto di competenza vengono regolate dalla Corte Costituzionale. Si stima che, negli anni successivi alla riforma del Titolo V della Costituzione, le cause tra Stato e regioni abbiano impegnato una sentenza su due della Corte Costituzionale.
Al Titolo V della Costituzione appartiene l’articolo 117, che esplicita le competenze di Stato e regioni in termini di legislazione. Secondo l’art. 117, vi sono materie dove lo Stato ha legislazione esclusiva, come ad esempio l’immigrazione, la difesa o il sistema valutario; materie di legislazione concorrente tra Stato e regioni, come il commercio con l’estero, la tutela della salute o la protezione civile; materie la cui potestà legislativa spetta esclusivamente alle regioni, ossia tutti gli ambiti non espressamente riservati alla legislazione dello Stato, come ad esempio l’apertura e chiusura di ospedali o la nomina dei vertici delle Asl (in ambito sanitario), le gare per la gestione dei trasporti pubblici locali, gli incentivi a commercio, agricoltura e turismo (in ambito economico), la destinazione di finanziamenti europei, l’urbanistica.
Il Titolo V della Costituzione è stato modificato a seguito del referendum costituzionale confermativo (concluso con la vittoria del “sì”) del 7 ottobre 2001. Prima di tale modifica il potere legislativo delle regioni era strettamente limitato: mentre le regioni a statuto speciale disponevano già di poteri esclusivi, quelle a statuto ordinario potevano esercitare il potere legislativo solo nelle materie tassativamente indicate nell’art. 117 Cost., e soltanto nei limiti dei principi fondamentali della materia o in quelli di una legge-cornice statale.
La conferenza Stato-regioni
Nonostante gli svariati diverbi, Stato e regioni dialogano molto, e lo fanno soprattutto, come spiega Openpolis, per mezzo della conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, o più semplicemente “Conferenza Stato-regioni”, ossia l’organo che regola i complessi rapporti tra queste istituzioni, ed in particolare fa sì che il Governo acquisisca l’avviso delle Regioni sui più importanti atti amministrativi e normativi di interesse regionale. Tale conferenza ha assunto un ruolo sempre più di spicco negli ultimi decenni, soprattutto a seguito della riforma del titolo V della Costituzione (2001), producendo in media più di 200 atti all’anno, per un totale di 5257 atti tra il 1990 e il 2015.
La conferenza (che non è un organo costituzionale, bensì è regolata da leggi ordinarie, come la legge 400 del 1988 o il d.l. 281 del 1997) si riunisce, di norma con cadenza quindicinale, a Palazzo Chigi, dove è presieduta di regola dal Presidente del Consiglio (o in sua vece dal Ministro per gli affari regionali), con la partecipazione dei presidenti di regione e dei presidenti delle province autonome di Trento e Bolzano, oltre che dei ministri interessati agli argomenti pubblicati all’ordine del giorno (su invito del Premier).
L’organo si esprime, ad esempio, su obiettivi di programmazione economico-finanziaria e di bilancio, oppure su indirizzi generali circa l’elaborazione e l’attuazione degli atti comunitari che riguardano le competenze regionali, e lo fa attraverso pareri, intese, deliberazioni, accordi, raccordi, informazioni e collaborazioni Stato-Regioni, oltre che interscambio di dati e informazioni; istituisce infine comitati e gruppi di lavoro.
L’attività della conferenza è obbligatoriamente sentita sugli schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle Regioni o delle Province autonome di Trento e di Bolzano e su ogni oggetto di interesse regionale.
Storia delle regioni, dall’Impero romano ad oggi
Come si è visto, le regioni oggi godono di poteri non indifferenti, ma non è stato sempre così. Il primo a dividere in regioni quello che attualmente è il territorio italiano fu nel 7 d.C. l’imperatore Augusto, che ripartì l’odierno suolo nazionale in undici zone. Tale ripartizione non aveva alcuno scopo amministrativo né politico, piuttosto era utile per i censimenti e la riscossione delle tasse, e le regioni create da Augusto non avevano poteri sui territori che rappresentavano. Fu poco dopo la nascita del Regno d’Italia che si iniziò a sentire il bisogno di una configurazione simile a quella di oggi. Il medico e statistico Piero Maestri, fondatore nel 1863 dell’annuario statistico italiano, suddivise il territorio del Regno in compartimenti statistici per il primo censimento. Le intenzioni iniziali erano quelle di dare vita ad enti intermedi per il controllo della nazione, tuttavia i compartimenti continuarono a risultare privi di poteri politici, e furono utili soltanto a fini statistici. Nel 1912, sotto il governo Giolitti, i compartimenti ideati da Maestri presero il nome di regioni.
Ma fu la Costituzione della Repubblica italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, a sancire l’ingresso delle regioni nell’ordinamento giuridico del nostro Paese: l’articolo 114 e l’articolo 115, appartenenti entrambi al Titolo V, stabilivano uno la ripartizione della Repubblica in regioni, province e comuni (in precedenza soltanto province e comuni), e l’altro la costituzione in enti autonomi delle regioni, che ora erano per la prima volta dotate di propri poteri e funzioni (stabiliti dalla Costituzione stessa).
Anche se la Costituzione sulla carta conferiva poteri alle regioni, si dovette attendere il 1970 per vedere funzionare queste ultime: l’adozione delle prime leggi per l’elezione dei consigli regionali (fondamentali per l’efficienza di questi organi) avvenne nel 1968; l’attribuzione alle regioni di competenze legislative e amministrative due anni più tardi.
Fu comunque lo Stato a detenere la maggior parte dei poteri sulle questioni regionali fino al 1997, quando venne approvata la prima delle cosiddette “Leggi Bassanini”, che assegnarono alle regioni e agli enti locali tutte le funzioni amministrative riguardanti gli interessi dei territori in questione. Negli anni immediatamente successivi vennero ampliati ulteriormente i poteri conferiti alle regioni, in questi casi per mezzo di modifiche alla Costituzione: ad esempio, nel 1999 una riforma modificò lo statuto regionale da legge dello Stato a legge regionale, e fu concessa inoltre libera forma di governo regionale (prima era stabilita dalla Costituzione); nel 2001 vi fu la sopra citata modifica del Titolo V, sottoposta anche a referendum (primo referendum confermativo della storia d’Italia).
La situazione si sarebbe potuta ulteriormente modificare con il corposo referendum costituzionale del 2006, che in tema di regioni proponeva, fra le altre cose, la devoluzione agli enti regionali della potestà legislativa esclusiva in diverse materie (organizzazione scolastica, assistenza e l’organizzazione sanitaria, polizia amministrativa regionale e locale), ma la vittoria del “no” ha fatto sì che ad oggi permanga ancora la configurazione stabilita nel 2001.