Così recita un famoso proverbio turco e proprio così si potrebbe riassumere la strategia geopolitica della Turchia negli ultimi 100 anni.
Turchia: ponte politico e naturale tra Occidente e Oriente
Pochi Stati al mondo possono vantare una posizione strategica come quella della Turchia: situata all’incrocio naturale tra Mediterraneo, Balcani, Caucaso e Medio Oriente, da sempre è terra di incontro, nodo cruciale per gli scambi commerciali via mare e attore di primo piano nelle dinamiche che coinvolgono l’Europa e l’Asia. Per propria natura, la Turchia è tanto geograficamente quanto politicamente un ponte tra Occidente e Oriente.
La storia della Turchia contemporanea iniziò esattamente 100 anni fa e più precisamente il 29 ottobre 1923 quando venne proclamata l’omonima Repubblica. Pochi mesi prima, dopo la fine della guerra di indipendenza condotta da Mustafà Kemāl contro le potenze Alleate, il Trattato di Losanna riconobbe su scala internazionale la Repubblica di Turchia, con capitale ad Ankara. Lo stesso Mustafà Kemāl, meglio conosciuto come Atatürk (“il padre dei Turchi”), divenne il primo presidente della Repubblica e svolse un ruolo fondamentale nella modellatura del neo-Stato: ispirandosi ai modelli occidentali, infatti, avviò delle profonde riforme di laicizzazione, sia in ambito giuridico che economico e sociale.
Sul piano internazionale, proprio la sua posizione geografica, unica nel panorama globale, ha sempre reso la Turchia un territorio molto ambito dalle Grandi Potenze e ha di conseguenza determinato una linea di politica estera spesso ambigua, fatta da molte amicizie e da atteggiamenti dualisti.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Ankara si mantenne neutrale e solo nel 1945 si schierò simbolicamente a fianco degli Alleati. Le tensioni con Mosca si svilupparono quando l’Unione Sovietica si espose aggressivamente sulla questione delle basi militari sovietiche negli stretti turchi. Proprio questo atteggiamento portò la Turchia a cercare rifugio sotto l’ombrello statunitense: nel 1947 fu beneficiaria degli aiuti economici seguiti all’adozione della Dottrina Truman e nel 1952, dopo aver partecipato alla Guerra di Corea, entrò a far parte dell’Alleanza Atlantica, ratificandone il Patto. Nel Secondo Dopoguerra, le attenzioni della Turchia si concentrarono sui legami con l’alleanza euro-atlantica e sul consolidamento del proprio ruolo su scala globale. D’altronde, il beneficio era reciproco: se da un lato la Turchia divenne per gli statunitensi un importante interlocutore e avamposto per il controllo nella regione, dall’altro la membership nell’Alleanza fu necessaria per garantire la protezione dall’Unione Sovietica. Il dialogo con Mosca venne lentamente riaperto dopo la fine della Crisi dei missili di Cuba nel 1963 e la conseguente rimozione dei missili nucleari posti dalla NATO a Izmir due anni prima. Nello stesso periodo emerse prepotentemente la questione di Cipro: l’intervento militare turco sull’isola nel 1974 non ottenne l’appoggio di Gran Bretagna e Stati Uniti e portò al contrario ad un forte avvicinamento con URSS che dal canto suo avallò la politica offensiva di Ankara. Questo nascente legame trovò concretizzazione nell’Accordo di Amicizia del 1978. Emerse già a questo punto un forte dualismo e multilateralismo finalizzati alla creazione di molteplici partnership, senza l’adozione di una linea di politica estera chiara e ideologicamente costante.
Un occhio di riguardo al vicinato
Se si guarda al piano regionale, durante la presidenza di Ataturk e fino a metà della Guerra Fredda, si manifestò chiaramente la volontà di non essere coinvolti nei problemi del vicinato e in particolare di rimanere ad una “distanza di sicurezza” dalle questioni in Medio Oriente, area in cui l’Unione Sovietica era attivamente presente. Questa linea di politica estera mutò radicalmente attorno agli anni Ottanta, quando il dualismo turco si impose e portò a cordiali relazioni sia con l’Unione Sovietica che con l’Occidente. Ci si occupò di migliorare i rapporti con i Paesi dell’Europa Orientale e del Medio Oriente e allo stesso tempo vennero intensificati i legami con i paesi del blocco sovietico. La ricerca di appoggio dai vicini trova una spiegazione nel timore di rimanere isolati sulla questione cipriota, operazione nella quale l’appoggio occidentale era mancato. Nel complesso, però, benché migliorarono le relazioni con il mondo islamico, la Turchia rimase conscia di necessitare del supporto politico, militare ed economico dell’Occidente e continuò a svolgere un ruolo attivo nell’Alleanza Atlantica. Gli obiettivi di Ankara, infatti, oltre che il mantenimento della propria importanza geostrategica nella regione e nel sistema bipolare, erano fortemente orientati all’ottenimento di nuovi mercati per l’aumento delle esportazioni.
La natura dualista della politica estera turca si mostrò in modo esplicito negli anni Novanta quando dopo della disintegrazione dell’Unione Sovietica si trovò costretta a riassestarsi geopoliticamente: difese attivamente e con particolare attenzione i propri interessi strategici in Iraq e in Siria e al contempo mantenne un basso profilo in Europa orientale, in Asia centrale e nei conflitti dei Balcani e del Caucaso.
L’ascesa di Erdogan e l’inizio dell’era dell’Akp
Figura fondamentale nel nuovo Millennio e nella Turchia contemporanea è certamente quella di Recep Tayyip Erdoğan, primo ministro dal 2004 al 2014 e Presidente in carica dal 2014. Con la vittoria del partito di cui è leader (il Partito della Giustizia e dello sviluppo – Akp), vi fu un alternarsi di soft power basato sul dialogo e sulla diplomazia e di hard power soprattutto nei territori del vicinato. Durante il primo mandato (dal 2002 al 2007) in cima all’agenda politica vi fu l’adesione dell’Unione Europea, tema sofferto e dibattuto fin dal Trattato di cooperazione di Ankara del 1963. Con l’obiettivo di presentarsi come mediatore tra Occidente e mondo musulmano, venne spesso adottato un approccio occidentale in politica interna, orientato alla tutela dei diritti e al rispetto dei principi europei. Successivamente, dopo il mancato appoggio all’invasione dell’Iraq nel 2003, vi fu un allentamento di questa linea politica e un ritorno alle strategie di partenariato con i Paesi vicini.
Anche le relazioni internazionali della Turchia videro dei cambiamenti: in particolare, con la guerra di Gaza del 2008 aumentarono le tensioni con Israele e con lo scoppio delle Primavere Arabe e delle rivolte in Egitto, Libia e Siria, si assistette profonde spaccature su scala regionale. La sfida più seria venne posta dalla Siria che sotto il regime Assad fu colpita da una grave crisi umanitaria che determinò flussi migratori imponenti verso la Turchia e un conseguente aumento delle tensioni tra i due Paesi.
Erdogan a partire dal 2015 scelse una nuova linea politica denominata della “Nuova Turchia” e caratterizzata da un maggiore interventismo e da una costante esposizione alle minacce. Particolarmente rilevante è la prima operazione militare in Siria nel 2016 a sostegno dell’Esercito libero siriano, effettuata con il pretesto di difendere il confine della minaccia terrorista dei separatisti curdi a cui ne seguirono poi diverse altre. Il 2016 rappresenta un importante momento sia sul piano di politica interna che internazionale: prese avvio il processo di personalizzazione dell’agenda estera di Erdogan e venne rafforzato il rapporto con Mosca mediante l’acquisto de sistema di difesa aerea S-400. Questo inevitabilmente incrinò i rapporti con l’Unione Europea e la NATO, ponendo il concreto rischio di venire isolata su scala globale.
Le sfide attuali: effetto consolidante o sgretolante?
Nel febbraio 2022, con lo scoppio della guerra in Ucraina, la Turchia si è ritrovata in una posizione difficile, in bilico tra due grandi potenze in aperto conflitto tra loro. I turchi sono legati con un doppio filo a Mosca: da un lato l’amicizia personale tra Erdogan e Putin e dall’altro il forte rapporto commerciale soprattutto in materia di gas naturale. La Russia è infatti il primo fornitore di gas per la Turchia e un partner importante anche nel nucleare dal momento che Rosato, società russa, partecipa alla creazione della prima centrale nucleare in Anatolia. Anche in una più ampia prospettiva commerciale, la Russia copre la terza posizione per interscambio con Ankara, pari a 34,7 miliardi di dollari. Nonostante la solida cooperazione e l’amicizia tra i rispettivi presidenti, negli ultimi anni non sono mancate le tensioni tra i due Paesi, soprattutto nella questione di Siria e Libia, dove le posizioni erano opposte. Erdogan, sebbene non abbia aderito alle sanzioni imposte dall’Alleanza Atlantica e dall’Unione Europea, si è comunque apertamente schierato a sostegno dell’Ucraina, riconoscendo la violazione del principio di sovranità da parte della Russia. Polemica e strategica anche la mossa, prima di opporsi e poi di temporeggiare, in merito all’approvazione della membership di Svezia e Finlandia nell’Alleanza Atlantica, conclusasi per la seconda solo pochi giorni.
In virtù della situazione attuale, il 2023 sarà un anno che si appresta ad essere determinante per la Turchia. Il terremoto che recentemente ha devastato diversi territori pone ancora più in crisi l’economia del Paese, già caratterizzata da un’inflazione altissima. La guerra in Ucraina e l’aumento delle tensioni tra la Russia e l’Alleanza Atlantica rischia di indebolire e mettere all’angolo la Turchia, che finora ha giocato ad assumere il ruolo di mediatore tra Occidente e Oriente. Ancora più determinanti saranno poi le elezioni in programma per il prossimo 14 maggio che decreteranno la continuazione o la fine del regime di Erdogan, artefice della struttura statale e della sua proiezione internazionale degli ultimi due decenni.
Geopolitica della Turchia: amicizie strategiche e paura di restare soli
In conclusione, fin dalla sua nascita la Turchia ha saputo sfruttare la sua dimensione di media-potenza per farsi strada nella fitta rete delle relazioni internazionali. Le direttrici sono state duplici: se da un lato si è impegnata ad essere protagonista delle dinamiche regionali, dall’altro ha sempre assunto le vesti di attore di primo piano su scala internazionale. Ad esattamente 100 anni dalla sua nascita, la sua storia repubblicana evidenzia come in innumerevoli occasioni sia stata privilegiata una linea di politica estera apparentemente ambigua, priva di un chiaro posizionamento nello scacchiere internazionale e comprensibile solo guardando al principio fondamentale della geopolitica: la difesa dell’interesse e della sicurezza nazionale prima di ogni altra cosa.
Il proverbio in apertura ha certamente ragione: cercare amici perfetti porta solo alla solitudine. Detto ciò, è bene ricordarsi di scegliere con cura coloro che si desidera avere al proprio fianco, dal momento che, così come recita un altro famoso proverbio, “chi è amico di tutti non è amico di nessuno” …tanto nella vita quanto in politica estera.