Mentre il mese scorso la Turchia, in un cambio d’immagine volto a modernizzare l’immagine del Paese a livello internazionale, chiedeva ufficialmente all’ONU di essere chiamata Türkiye e non più Turkey, Erdogan annunciava una nuova operazione militare contro la Siria. La quinta in poco più di cinque anni. Il Presidente ha infatti dichiarato pubblicamente l’intenzione di creare una “zona di sicurezza” di 30 chilometri in territorio siriano, lungo la frontiera con la Turchia. La regione, principalmente abitata da curdi, è considerata da Ankara una minaccia alla propria sicurezza: “gli obiettivi principali dell’operazione saranno le aree da cui partono gli attacchi al nostro paese”, ha affermato Erdogan. L’intento dell’iniziativa, quindi, sarebbe quello di contrastare le presunte minacce terroristiche nel nord della Siria.
Per meglio comprendere gli eventi del presente però, occorre analizzare i complessi rapporti intercorsi tra Turchia e Siria negli anni passati: quale ruolo giocano le numerose milizie curde? E come hanno influenzato la politica estera di Ankara?
Curdi: terroristi o rivoluzionari?
Risulta quindi chiaro che l’obiettivo di Erdogan è di colpire la sottile striscia di terra nel nord della Siria per eliminare le milizie curde dello Ypg/Ypj che Ankara ritiene essere legate al Pkk: ma qual è la storia di queste fazioni armate curde?
Il Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, è un’organizzazione di estrema sinistra che ha mosso i propri primi passi in Turchia, grazie ad un gruppo di studenti curdi capeggiati da Abdullah Öcalan. Fondato nel 1978, il Pkk seguiva in origine un’ideologia vicina al socialismo rivoluzionario, combattendo per il riconoscimento dell’identità curda e per la creazione di uno stato chiamato Kurdistan. Il popolo curdo infatti viene ad oggi definito come il più grande popolo senza stato: più di 25 milioni di persone appartengono a questa etnia, pur parlando diverse lingue e professando diverse religioni. Negli anni il Pkk si è reso sempre più violento, compiendo atti di guerriglia urbana non solo contro esponenti del governo ma anche contro tribù curde non schieratesi a favore del riconoscimento del Kurdistan. La risposta del governo turco non si è fatta attendere tanto che, in pochi anni, l’organizzazione è stata messa al bando e violentemente repressa: negli anni la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha più volte condannato la Turchia per le migliaia di violazioni dei diritti umani perpetrate ai danni del popolo curdo. Oggi il Pkk è considerato un’organizzazione terroristica da Turchia, Usa e anche Unione Europea.
Molto più recente è invece la formazione del gruppo Ypg, un acronimo che in lingua curda significa: “unità di autodifesa popolare”, fondato nel 2004 ma entrato ufficialmente in azione come vero e proprio esercito dei curdi siriani solo nel 2012. Infatti, già nel contesto della “primavera araba” siriana, dominata da instabilità politica e militare, le forze del Ypg emersero come la milizia del nascente Rojava, una regione autonoma de facto nel nord della Siria controllata dai nazionalisti curdi. Ypg nel tempo ha dato anche vita a diversi sottogruppi: tra questi spicca il Ypj, l’“unità di protezione delle donne”, un gruppo formato da sole donne curde, le quali entrarono in azione quando il Rojava fu minacciato dall’ISIS. Ed è soprattutto nella lotta contro il califfato, che le milizie hanno avuto un ruolo rilevante, partecipando all’alleanza delle Syrian democratic forces (Sdf), la coalizione multietnica che ha combattuto e sconfitto l’ISIS tra il 2014 ed il 2019 con l’appoggio degli Stati Uniti.
Le operazioni militari turche in Siria
In base a quanto dichiarato, il Presidente turco sembra intenzionato a portare a termine l’intervento militare chiamato “Sorgente di Pace”, lanciato ad ottobre 2019. L’operazione avrebbe dovuto realizzare una zona cuscinetto estesa tra le città di Kobane e Qamishli: un obiettivo mai raggiunto. Un intervento diplomatico degli Stati Uniti infatti interruppe l’azione militare turca, con la promessa che il gruppo del Ypg avrebbe abbandonato pacificamente l’area. La milizia curda tuttavia non ha mai lasciato la regione, nemmeno dopo l’accordo siglato da Erdogan con la Russia, che sancisce l’impegno del Cremlino a pattugliare l’area al fianco dei blindati turchi.
In realtà però, la Turchia ha condotto altre operazioni militari oltre confine prima e dopo l’operazione “Sorgente di pace”: la prima, chiamata “Scudo dell’Eufrate” è iniziata nel 2016 ed è terminata nel marzo dell’anno successivo. L’intervento ha consentito all’esercito turco di sottrarre all’ISIS alcune province nel nord della Siria, tra cui Dabiq, località dal forte valore simbolico per la religione musulmana, da cui ha preso il nome la rivista propagandistica dello Stato Islamico. Nel 2018 invece, ha avuto inizio la nota operazione “Ramoscello d’Ulivo” conclusasi mesi dopo con l’estromissione del Ypg dalla zona a nord-est della Siria, ora sotto il controllo di Ankara. Dopo l’operazione mai del tutto completata datata 2019, la Turchia ha deciso di intraprendere nel 2020 un’ulteriore iniziativa su piccola scala chiamata “Scudo di Primavera”; durata una sola settimana, si è conclusa con un accordo con Mosca, che prevede pattugliamenti e corridoi di sicurezza congiunti lungo le principali arterie della provincia di Idlib, situata nel nord-ovest della Siria.
Il caso Svezia e Finlandia: così la Turchia gioca a scacchi con il mondo
L’annuncio di Erdogan è arrivato a pochi giorni di distanza dalla richiesta di adesione alla NATO di Finlandia e Svezia: una richiesta fortemente osteggiata da Ankara che accusa i due Paesi di proteggere e sostenere gruppi terroristici curdi. Così il 25 maggio scorso, i due Stati scandinavi hanno inviato le proprie delegazioni nella capitale turca, per avviare un negoziato che si preannuncia particolarmente complesso. Infatti il via libera della Turchia costituisce la conditio sino qua non per l’approvazione dell’ingresso dei due Paesi nella NATO: l’adesione deve infatti ottenere il consenso unanime da parte degli attuali 30 Paesi dell’Alleanza atlantica. Sfruttando la propria influenza, la Turchia ha quindi posto una serie di condizioni: Ankara chiede l’estradizione di 33 presunti terroristi che risiedono nei due Paesi UE, un accordo sulla fine del sostegno politico e finanziario al Pkk e Ypg e l’abolizione dell’embargo che Svezia e Finlandia hanno applicato alla Turchia nel 2019. Una nuova operazione in Siria potrebbe quindi costituire un ulteriore elemento sul tavolo delle trattative con gli altri Paesi dell’alleanza atlantica.
In risposta agli ultimi eventi, USA e Mosca si trovano d’accordo nell’affermare che l’iniziativa turca è fonte di allarme e rischia di destabilizzare la regione. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Prince, ha inoltre aggiunto che: “qualsiasi nuova offensiva metterebbe a rischio le forze americane e la campagna di coalizione contro l’ISIS”.