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Quei diritti che l’Italia non vuole vedere: cos’è il certificato europeo di filiazione

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Lo scorso 14 marzo la Commissione Politiche dell’Unione Europea del Senato ha discusso e bocciato la proposta della Commissione Europea di un regolamento per introdurre un “certificato europeo di filiazione”. Il rifiuto di questa proposta è stato generalmente percepito come una presa di posizione del governo Meloni sulla questione omogenitorialità. Questo anche perché, proprio pochi giorni prima, Beppe Sala, sindaco di Milano, era stato costretto ad interrompere le registrazioni all’anagrafe dei figli nati da coppie dello stesso sesso a seguito di una circolare del prefetto su indicazione del Ministero dell’Interno. Ad accomunare queste scelte è in particolare la paura di un implicito via libera al ricorso alla maternità surrogata, illegale nel nostro ordinamento e, soprattutto, questione molto lontana dal panorama ideologico dell’attuale governo.

 

Il comune di Milano 

 

Come riportato da Repubblica, il 10 marzo il prefetto di Milano, Renato Saccone, con una circolare ai comuni, chiedeva che non venissero più formati nuovi certificati anagrafici di figli di coppie dello stesso sesso, cosa che Sala aveva iniziato a fare nel luglio 2022. Questa comunicazione era stata inviata in seguito a una precedente circolare del Ministero dell’Interno, diretta ai prefetti stessi, in cui si faceva riferimento alla sentenza n.38162 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite. La sentenza aveva bloccato le trascrizioni dei certificati di nascita dei figli di due padri se nati all’estero tramite maternità surrogata: “Secondo le Sezioni Unite, la tutela del nato non si realizza attraverso l’automatica trascrizione dei provvedimenti stranieri che riconoscono lo stato di filiazione, ma mediante il ricorso del genitore d’intenzione all’adozione in casi particolari”. In altre parole, lo stato di filiazione in questi casi non può avvenire solo con la trascrizione all’anagrafe, che è un semplice atto amministrativo e quindi di competenza del sindaco, ma mediante “adozione in casi particolari”, che richiede un processo giuridico. Per questo Sala non sarà più in grado di autorizzare la trascrizione di figli di coppie di uomini.

Inoltre, la circolare diretta ai sindaci sollecita anche l’interruzione delle registrazioni di figli nati in Italia da coppie di donne che abbiano fatto ricorso alla procreazione assistita all’estero. Wired riporta che, al contrario, la misura non riguarderebbe i bambini partoriti da due madri all’estero perché tutelati da due sentenze della Cassazione (sentenza n.19599 del 30 settembre 2016 e sentenza n.14878 del 15 giugno 2017), nonostante la prefettura si sia riservata di effettuare una valutazione in merito.

La reazione non si è fatta attendere, non solo con partecipate manifestazioni, ma anche a livello europeo: il Parlamento Europeo ha approvato il 30 marzo un emendamento alla relazione sullo Stato di diritto nell’UE del 2022, condannando la decisione del governo italiano in quanto discriminatoria nei confronti delle coppie dello stesso sesso e dei loro figli.

Il certificato europeo di filiazione

 

Per essere approvato, il regolamento proposto dalla Commissione Europea avrebbe dovuto essere votato all’unanimità dal Consiglio dopo l’approvazione del Parlamento Europeo. Ma l’opposizione dei senatori, nonostante non sia decisiva, segnala chiaramente in quale direzione si muoverà l’Italia in sede europea, esercitando in effetti un potere di veto. Ma cosa prevedeva il certificato e cosa motiva la posizione dei senatori?

Come si legge nel comunicato stampa del 7 dicembre 2022, la proposta nasceva con lo scopo di proteggere i diritti dei minori e mettere al centro i loro interessi, in particolare fornendo chiarezza giuridica “a tutti i tipi di famiglie che si trovano in una situazione transfrontaliera all’interno dell’UE”. Tali famiglie sono quelle che si spostano da uno Stato membro all’altro, per motivi di turismo o soggiorno, o che hanno beni o affetti in un altro Stato membro. Ad oggi, gli Stati membri dell’UE hanno leggi differenti in materia di diritto famigliare, che è di competenza nazionale, e questo crea ostacoli per le famiglie che si spostano all’interno dell’Unione. In alcuni casi può addirittura succedere che la filiazione non sia riconosciuta automaticamente nello Stato di residenza scelto dalla famiglia, costringendo i genitori ad avviare procedimenti amministrativi o giudiziari, spesso lunghi, costosi e con risultati incerti. Per questo, la proposta europea includeva la creazione di un certificato europeo di filiazione che, se richiesto dalla famiglia ad uno Stato membro, avrebbe comportato il riconoscimento della filiazione anche in tutti gli altri, senza bisogno di alcuna procedura particolare

La Commissione del Senato ha bocciato la proposta europea in quanto ritenuta in contrasto con i principi di sussidiarietà e di proporzionalità, i quali stabiliscono che, nelle aree in cui l’Unione non abbia competenza esclusiva, può intervenire solo se, e nella misura in cui, gli obiettivi dell’azione proposta non possono essere raggiunti dallo Stato membro. La Commissione ha menzionato tra le motivazioni la già citata sentenza della Corte di Cassazione n.38162, in cui si confermava la contrarietà all’ordine pubblico della maternità surrogata e si negava la possibilità di trascrivere automaticamente un attestato di filiazione straniero da essa derivante. Al contrario, in mancanza di una legge, in questi casi la Corte aveva disposto la pratica dell’ “adozione in casi particolari” per il partner del genitore genetico. In pratica, la proposta violerebbe la competenza degli Stati membri in materia di diritto famigliare impedendo, per esempio, all’Italia di utilizzare uno strumento diverso, quale l’adozione appunto, o anche di negare il riconoscimento della filiazione in casi in cui non siano tutelati i diritti del minore. La Commissione ha comunque specificato che quest’ultima scelta non possa essere motivata dal semplice fatto che i genitori siano dello stesso sesso.

 

La maternità surrogata

 

Si teme quindi che la proposta possa indirettamente consentire, e anzi incoraggiare, il ricorso delle coppie alla maternità surrogata all’estero, in casi che sarebbero proibiti dal nostro ordinamento, per poi rientrare in Italia e far riconoscere il legame di filiazione. In questo modo, sostengono i senatori, non solo l’Unione invaderebbe un’area di competenza esclusiva dell’Italia, ma il certificato renderebbe anche nulla la legge italiana in merito. Per fare chiarezza è importante definire cosa sia la maternità surrogata. Treccani la definisce come una pratica in cui una donna “si assume l’obbligo di portare a termine una gravidanza per conto di una coppia sterile, alla quale s’impegna poi a consegnare il nascituro”. Questo processo può variare notevolmente, a seconda del coinvolgimento della donna esterna alla coppia (la quale può ad esempio occuparsi solo di portare avanti la gestazione o anche del concepimento dell’embrione), o di un donatore di gameti maschili. La legalità della pratica cambia anche da Paese a Paese. In alcuni Stati è legale solo su base volontaria, in cui una conoscente o famigliare della coppia si offre di essere responsabile della gravidanza. In questi casi può essere concesso un rimborso delle spese mediche che insorgono durante la gravidanza a carico della coppia. Questo è per esempio il caso nel Regno Unito. In altri Paesi come l’Iran e alcuni Stati negli USA invece i genitori intenzionali e la madre surrogata firmano un contratto di maternità surrogata che prevede un compenso perché lei porti a termine la gravidanza.

In Italia, la pratica è regolata dalla legge n.40 del 2004, che vi consente l’accesso alle “coppie di  maggiorenni  di  sesso  diversoconiugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”, le quali non possano curare l’infertilità in altro modo. La violazione di questi limiti è criminalizzata, e in particolare è vietata la pubblicizzazione e l’organizzazione di contratti di surrogazione che prevedano remunerazione, punibili con la reclusione da tre mesi a due anni e con una multa da € 600.000 a € 1.000.000.

 

E in Europa?

Il certificato europeo di filiazione sarebbe valido solo tra gli Stati membri dell’Unione, non includerebbe Stati come Canada, Stati Uniti o Messico, destinazioni comuni per molte coppie che desiderano avere un figlio tramite gestazione surrogata, specialmente per le coppie omosessuali. Uno sguardo alle legislazioni vigenti negli Stati europei permette di comprendere che questo certificato non porterebbe un’immediata liberalizzazione del ricorso alla maternità surrogata. Infatti, l’unico Paese che realmente permette questo processo nell’Unione è la Grecia, nella quale dal 2002 è possibile ricorrere alla gestazione surrogata su base altruistica, previo consenso di un giudice. Questa opzione è permessa solo a coppie eterosessuali, sposate e non, alle donne single, ed è aperta anche ai cittadini stranieri. Nella maggior parte degli Stati la pratica è illegale, mentre in alcuni la mancanza di leggi chiare può significarne l’implicita accettazione (Belgio) o il rifiuto (Slovacchia, Polonia).

L’approvazione di un certificato europeo di filiazione non avrebbe comportato immediate ripercussioni, soprattutto per le coppie dello stesso sesso, a causa delle molte barriere alla pratica della maternità surrogata negli Stati membri. Avrebbe invece semplificato il processo di riconoscimento per molte famiglie e tentato di proteggere i diritti dei minori in situazioni tanto complesse. D’altra parte però, le competenze dell’Unione sono quelle che gli Stati membri le hanno concesso, e, nonostante Carla Garlatti, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, abbia affermato che  “la proposta di Regolamento europeo non si occupa di diritto di famiglia interno, che resta di esclusiva competenza dello Stato italiano […]” e “[…] non comporta un riconoscimento automatico della paternità o della maternità, un automatismo che nel nostro ordinamento è impedito dalla contrarietà all’ordine pubblico […]”,  in realtà la proposta andrebbe proprio ad automatizzare questa procedura, entrando in un’area che l’Italia ha deciso di rimarcare come propria.

[*Crediti foto: Wikimedia Commons]

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