Le cause del cambiamento climatico
Tra le differenti cause del cambiamento climatico nella regione, le coltivazioni agricole intensive si configurano come una delle maggiori. Ciò è dovuto ai combustibili fossili utilizzati dai mezzi per la lavorazione dei terreni e per il trasporto, dai prodotti contri i parassiti, dalla combustione dei residui agricoli e da alcune tecniche agricole. Il Sudamerica risulta fortemente dipendente da attività economiche distruttive quali l’agricoltura, l’estrazione mineraria e il disboscamento. Allo stesso tempo, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), cinque dei dieci Paesi più ricchi in termini di biodiversità si trovano in Sudamerica, che ospita il 36% dei principali alimenti coltivati e di specie industriali a livello mondiale. Il Brasile è infatti il più grande produttore globale di caffè, canna da zucchero e arance, ed uno dei maggiori di soia. Inoltre, il 32,7% delle esportazioni argentine consiste in prodotti agricoli, mentre il Messico nel 2019 ha esportato principalmente birra, avocado e pomodoro.
Sempre secondo l’UNEP, la più vasta regione di foresta pluviale non frammentata si trova nel bacino amazzonico e il 28% della superficie forestale mondiale si trova proprio in Sudamerica. Tuttavia, dal 1990 ad oggi, quasi il 9,7% delle foreste della regione è andato perduto. Ciò è avvenuto a causa degli incendi e del cambiamento della destinazione d’uso del suolo per attività connesse all’industria estrattiva, all’agricoltura, all’allevamento e all’urbanizzazione. Solo nel 2021, la deforestazione dell’Amazzonia brasiliana è aumentata del 17% rispetto al 2020, e, lo scorso anno, la Colombia ha perso 1,7 chilometri quadrati di foresta.
A livello di energia, le emissioni per consumo energetico sono aumentate del 107% rispetto al 1990, in particolare nel settore dei trasporti, del riscaldamento e dell’elettricità. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) nel 2015 il consumo energetico nella regione ammontava 1208 milioni di tonnellate di CO2. Di questi, il 36,15% proveniva dal settore dei trasporti, il 22,44% dall’industria e il 20,46% dalla produzione di elettricità e riscaldamento. Attualmente, il progresso tecnologico ha fatto sì che i prezzi delle tecnologie pulite e rinnovabili siano diminuiti, mentre l’efficienza e la produttività di queste ultime sono aumentate. La regione ha un vantaggio in termini di efficienza energetica da fonti primarie grazie alle immense risorse naturali, alla leadership dei Paesi della regione nella produzione di biocarburanti e alla cooperazione delle organizzazioni regionali.
L’impatto del cambiamento climatico in SudAmerica e Caraibi
Stando ai dati del Statistical Review of World Energy 2021, i Paesi che emettono più tonnellate di CO2 sono Cina, USA, India, Giappone, Corea del Sud, Germania, Canada. Guardando tra i Paesi sudamericani e caraibici il Brasile è al primo posto, con 417,5 milioni di tonnellate nel 2020, pari a circa l’1,3% delle emissioni globali. A seguire ci sono il Mexico, con 373,2 milioni di tonnellate emesse – pari all’1,2% mondiale – e l’Argentina che, sempre nel 2020, ha emesso 164,1 milioni di tonnellate – pari all’0,5% mondiale. Tuttavia, nonostante contribuiscano a meno del 10% delle emissioni globali di gas serra, i Paesi della regione stanno già sperimentato fenomeni devastanti dovuti al cambiamento climatico che danneggiano la società, le attività economiche e i mezzi di sussistenza.
Purtroppo, secondo gli esperti, gli effetti del cambiamento climatico in Sudamerica sono destinati ad aumentare e peggiorare rapidamente. Tutto ciò influisce negativamente sulla popolazione della regione, poiché minaccia le risorse alimentari, spinge la popolazione ad emigrare e a perseguire la violenza per sopravvivere. Solamente gli uragani Eta e Iota nel 2020 hanno colpito 4 milioni di persone in Honduras, 1,8 milioni in Nicaragua e 1,2 milioni in Guatemala, provocando danni pari a circa lo 0,8% del PIL in Honduras e danneggiando centinaia di migliaia di ettari di raccolti e allevamento in tutti i tre Paesi. Questi eventi meteorologici estremi – tra gli ultimi il terremoto di magnitudo 7.2 ad Haiti – causano migliaia di “rifugiati climatici”, spesso considerati una minaccia per stabilità e la sicurezza nella regione (leggi anche il nostro report sul cambiamento climatico e le migrazioni).
Le politiche dei governi e prospettive future
Il governo brasiliano è stato spesso incolpato per le dichiarazioni negazioniste, ma a gennaio di quest’anno il Presidente ha cambiato orientamento riguardo le politiche ambientali e ha aperto un dialogo con Joe Biden per stipulare nuovi accordi sul clima. Durante l’Assemblea generale dell’Onu del 21 settembre, Jair Bolsonaro ha esordito affermando che il Brasile è diverso da quello che mostrano i giornali e la televisione e che vanta di “una legislazione ambientale così completa e che deve servire da esempio per altri Paesi”. Inoltre, ha definito il suo Paese un esempio nella produzione di energia, poiché utilizza l’83% di energia da fonti rinnovabili, e ha dichiarato che, rispetto all’agosto dello scorso anno, la deforestazione dell’Amazzonia è diminuita del 32%.
Il punto di partenza delle discussioni del Vertice Climatico Regionale saranno proprio le dichiarazioni e gli impegni stipulati durante l’Assemblea Onu del 21 settembre. Tali impegni, raccolti nel documento “Contribución Determinada a Nivel Nacional (CDN)” di ogni Paese, sembrano prefigurare una maggiore attenzione alla crisi climatica e agli investimenti nelle energie rinnovabili. Tuttavia, rimane comunque incerta la volontà da parte dei governi latinoamericani di tradurre gli impegni in politiche concrete e l’apertura a una maggiore cooperazione regionale.
*Cartello “there is no planet B” durante manifestazione per il clima [crediti foto: Markus Spiske via Unsplash]