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Perchè il Sudamerica deve unirsi contro il cambiamento climatico

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All’inizio di agosto, il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) ha pubblicato un nuovo rapporto contenente ulteriori dati, precisazioni ed evidenze scientifiche sul tema del cambiamento climatico. A fronte di questo report e in attesa dell’inizio della COP 26, i Paesi del Sudamerica hanno già iniziato gli incontri per il Vertice Climatico Regionale, che si terrà dal 6 all’8 ottobre in Colombia e sarà guidato dal Presidente argentino Alberto Fernandez. Il Summit riunirà i 21 leader regionali, il funzionario americano John Kerry e il segretario delle Nazioni Unite António Guterres. “Abbiamo bisogno di una giustizia sociale ambientale” ha affermato l’8 settembre Fernández all’apertura dello stesso Vertice, definito anche un “dialogo di alto livello sull’azione climatica nelle Americhe”. I punti principali che saranno discussi sono: l’importanza del mercato del carbone, il ruolo della cooperazione internazionale nel finanziamento del clima, e la riduzione dei gas serra.

Sudamerica, Cambiamento Climatico
Manifesto degli eventi di preparazione per la COP26 [crediti: UK in Holy See, Flickr, CC BY-NC 2.0]

Le cause del cambiamento climatico 

Tra le differenti cause del cambiamento climatico nella regione, le coltivazioni agricole intensive si configurano come una delle maggiori. Ciò è dovuto ai combustibili fossili utilizzati dai mezzi per la lavorazione dei terreni e per il trasporto, dai prodotti contri i parassiti, dalla combustione dei residui agricoli e da alcune tecniche agricole. Il Sudamerica risulta fortemente dipendente da attività economiche distruttive quali l’agricoltura, l’estrazione mineraria e il disboscamento. Allo stesso tempo, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), cinque dei dieci Paesi più ricchi in termini di biodiversità si trovano in Sudamerica, che ospita il 36% dei principali alimenti coltivati e di specie industriali a livello mondiale. Il Brasile è infatti il più grande produttore globale di caffè, canna da zucchero e arance, ed uno dei maggiori di soia. Inoltre, il 32,7% delle esportazioni argentine consiste in prodotti agricoli, mentre il Messico nel 2019 ha esportato principalmente birra, avocado e pomodoro.

Sempre secondo l’UNEP, la più vasta regione di foresta pluviale non frammentata si trova nel bacino amazzonico e il 28% della superficie forestale mondiale si trova proprio in Sudamerica. Tuttavia, dal 1990 ad oggi, quasi il 9,7% delle foreste della regione è andato perduto. Ciò è avvenuto a causa degli incendi e del cambiamento della destinazione d’uso del suolo per attività connesse all’industria estrattiva, all’agricoltura, all’allevamento e all’urbanizzazione. Solo nel 2021, la deforestazione dell’Amazzonia brasiliana è aumentata del 17% rispetto al 2020, e, lo scorso anno, la Colombia ha perso 1,7 chilometri quadrati di foresta. 

A livello di energia, le emissioni per consumo energetico sono aumentate del 107% rispetto al 1990, in particolare nel settore dei trasporti, del riscaldamento e dell’elettricità. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) nel 2015 il consumo energetico nella regione ammontava 1208 milioni di tonnellate di CO2. Di questi, il 36,15% proveniva dal settore dei trasporti, il 22,44% dall’industria e il 20,46% dalla produzione di elettricità e riscaldamento. Attualmente, il progresso tecnologico ha fatto sì che i prezzi delle tecnologie pulite e rinnovabili siano diminuiti, mentre l’efficienza e la produttività di queste ultime sono aumentate. La regione ha un vantaggio in termini di efficienza energetica da fonti primarie grazie alle immense risorse naturali, alla leadership dei Paesi della regione nella produzione di biocarburanti e alla cooperazione delle organizzazioni regionali. 

L’impatto del cambiamento climatico in SudAmerica e Caraibi

Stando ai dati del Statistical Review of World Energy 2021, i Paesi che emettono più tonnellate di CO2 sono Cina, USA, India, Giappone, Corea del Sud, Germania, Canada. Guardando tra i Paesi sudamericani e caraibici il Brasile è al primo posto, con 417,5 milioni di tonnellate nel 2020, pari a circa l’1,3% delle emissioni globali. A seguire ci sono il Mexico, con 373,2 milioni di tonnellate emesse – pari all’1,2% mondiale – e l’Argentina che, sempre nel 2020, ha emesso 164,1 milioni di tonnellate – pari all’0,5% mondiale. Tuttavia, nonostante contribuiscano a meno del 10% delle emissioni globali di gas serra, i Paesi della regione stanno già sperimentato fenomeni devastanti dovuti al cambiamento climatico che danneggiano la società, le attività economiche e i mezzi di sussistenza.

Sudamerica, cambiamento climatico
Foresta nazionale Iquiri dopo un incendio, Brasile [crediti foto: Erick Caldas Xavier, Wikimedia commons, Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International]
Il cambiamento climatico in Sudamerica ha infatti avuto, e ha tutt’oggi, un impatto sull’ambiente forte e tangibile, a partire dalla riduzione delle masse glaciali nei Tropici e nelle Ande, all’innalzamento del livello e della temperatura del mare, che colpisce il 27% della popolazione della regione, e agli incendi incontrollati nella zona Amazzone e del Pantanal. Secondo il World Meteorological Organization (WMO), il 2020 nell’area caraibica è stato un anno record in termini di anomalie, caratterizzato dal più alto numero di tempeste tropicali e subtropicali, dall’estrema siccità che ha colpito più di un quarto del Messico, dagli uragani ad alta intensità in America Centrale, e dalle ondata di calore che si sono sentite dall’Amazzonia peruviana fino alla Bolivia, Paraguay, nord dell’Argentina e Brasile. 

 

Purtroppo, secondo gli esperti, gli effetti del cambiamento climatico in Sudamerica sono destinati ad aumentare e peggiorare rapidamente. Tutto ciò influisce negativamente sulla popolazione della regione, poiché minaccia le risorse alimentari, spinge la popolazione ad emigrare e a perseguire la violenza per sopravvivere. Solamente gli uragani Eta e Iota nel 2020 hanno colpito 4 milioni di persone in Honduras, 1,8 milioni in Nicaragua e 1,2 milioni in Guatemala, provocando danni pari a circa lo 0,8% del PIL in Honduras e danneggiando centinaia di migliaia di ettari di raccolti e allevamento in tutti i tre Paesi. Questi eventi meteorologici estremi – tra gli ultimi il terremoto di magnitudo 7.2 ad Haiti – causano migliaia di “rifugiati climatici”, spesso considerati una minaccia per stabilità e la sicurezza nella regione (leggi anche il nostro report sul cambiamento climatico e le migrazioni).

Sudamerica, Cambiamento climatico
Attivisti, indigeni e giovani di Fridays for Future durante la protesta a Belém contro gli incendi in Amazzonia, Pantalan e Cerrado. [crediti foto: 350 .org, Flickr, CC BY-NC-SA 2.0]

Le politiche dei governi e prospettive future 

Il governo brasiliano è stato spesso incolpato per le dichiarazioni negazioniste, ma a gennaio di quest’anno il Presidente ha cambiato orientamento riguardo le politiche ambientali e ha aperto un dialogo con Joe Biden per stipulare nuovi accordi sul clima. Durante l’Assemblea generale dell’Onu del 21 settembre, Jair Bolsonaro ha esordito affermando che il Brasile è diverso da quello che mostrano i giornali e la televisione e che vanta di “una legislazione ambientale così completa e che deve servire da esempio per altri Paesi”. Inoltre, ha definito il suo Paese un esempio nella produzione di energia, poiché utilizza l’83% di energia da fonti rinnovabili, e ha dichiarato che, rispetto all’agosto dello scorso anno, la deforestazione dell’Amazzonia è diminuita del 32%

Sudamerica, cambiamento climatico
(Nueva York – EUA, 24/09/2019) Presidente da República, Jair Bolsonaro durante un incontro con António Guterres, segretario generale dell’Onu. [crediti foto: Palácio do Planalto, Flickr, CC BY 2.0]
Anche il neo eletto presidente peruviano, Pedro Castillo, ha affrontato il tema ambientale all’Assemblea, annunciando che il suo governo dichiarerà Emergenza climatica nazionale e sottolineando l’impegno del Perù a diventare un Paese a emissioni zero entro il 2050. Da parte sua, Sebastián Piñera ha invece previsto che il Cile entro il 2030 avrà il 70% della sua matrice energetica composta da energia pulita e rinnovabile – principalmente eolica e solare – per evitare una “apocalisse ambientale”. Anche Alberto Fernández ha ribadito il suo impegno nei confronti degli Accordi di Parigi, collegando i concetti di debito ambientale e giustizia climatica con la “necessaria riconfigurazione della struttura finanziaria internazionale”. 

 

Il punto di partenza delle discussioni del Vertice Climatico Regionale saranno proprio le dichiarazioni e gli impegni stipulati durante l’Assemblea Onu del 21 settembre. Tali impegni, raccolti nel documento “Contribución Determinada a Nivel Nacional (CDN)” di ogni Paese, sembrano prefigurare una maggiore attenzione alla crisi climatica e agli investimenti nelle energie rinnovabili. Tuttavia, rimane comunque incerta la volontà da parte dei governi latinoamericani di tradurre gli impegni in politiche concrete e l’apertura a una maggiore cooperazione regionale.

*Cartello “there is no planet B” durante manifestazione per il clima [crediti foto: Markus Spiske via Unsplash]

 

 

 

Maddalena Fabbi
Nata a Genova nel ’98. Laureata in triennale alla statale di Milano, oggi sono studentessa double degree presso l’Università di Belgrano a Buenos Aires, Argentina. La mia ricerca di nuove esperienze mi ha portato più volte in America Latina di cui mi sono appassionata.

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