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Il futuro dell’Ue e l’incognita della rule of law

Tempo di lettura stimato: 6 min.

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La rule of law (o stato di diritto) è un concetto che non può più essere dato per scontato in Europa. Come mostrato dai dati del World Justice Project , il Rule of law Index, ovvero l’indice che misura il grado di rule of law e la possibilità di accesso alla giustizia dei cittadini, è in declino in tutto il mondo. Nel 2021 lo “stato di diritto” è peggiorato  nel 74% dei Paesi, dove risiede l’85% della popolazione mondiale. I punteggi complessivi più bassi sono stati in Cambogia, Repubblica Democratica del Congo e Venezuela. In realtà, però, non bisogna nemmeno andare così lontano, poichè questa tendenza ha colpito anche l’Europa. Le continue violazioni della rule of law da parte della Polonia, infatti, potrebbero sembrare un potenziale rischio per l’integrità dell’Unione europea (Ue).

 

Che cosa è rule of law? 

La rule of law viene definita da Tom Bingham come la condizione in cui ogni persona e autorità all’interno dello Stato, che si tratti di un soggetto pubblico o privato, è vincolato dalla legge amministrata dalle Corti. In poche parole, anche il sistema politico deve rispettare le leggi. L’espressione “violazione dello stato di diritto” o “difesa della rule of law” viene più volte usata nei trattati dell’Ue ed è all’ordine del giorno sui quotidiani di tutto il mondo, ma non esiste una definizione formale e condivisa. La traduzione nella pratica di tale principio così vasto sembra sempre di più allontanarsi dai cittadini e rintanarsi solo nelle sentenze dei giudici. Infatti, è uno dei valori fondamentali su cui si basa l’Ue, ma allo stesso tempo anche uno dei più scarsamente definiti. Guardando alla storia di alcuni Stati Membri, poi, la sua applicazione rimane perfino oggetto di controversie e paradossi. 

 

L’Unione Europea e la rule of law: un paradosso

La procedura di allargamento, codificata nell’art. 49 del Trattato sull’Unione Europea (Tue), ovvero l’invio della domanda di un Paese che vuole diventare membro dell’Unione Europea, prevede il rispetto dei valori enunciati nell’art. 2 Tue, fra cui compare anche la rule of law. Se guardiamo alla realtà dei fatti, però, molte volte alcuni Paesi come la Polonia e l’Ungheria hanno violato questo principio senza che ciò pregiudicasse il proprio status di Stato Membro conferito da Bruxelles. 

Provare ad indagare, dunque, cosa sia accaduto in questi Paesi travolti dalle tendenze illiberali che si stanno diffondendo in Europa, e come sta reagendo Bruxelles, può aiutarci a capire quali saranno le prossime sfide dell’integrazione Europea. 

 

Cosa è accaduto in Polonia 

Nel 2021, la Corte Costituzionale della Polonia ha deciso di non riconoscere più la supremazia delle leggi europee su quelle nazionali, venendo meno ad uno dei principi fondanti dei trattati dell’Ue. Lo scontro fra Varsavia e Bruxelles, però, era già iniziato nel 2017 in seguito alla vittoria alle elezioni del partito Diritto e Giustizia (PiS) di estrema destra. Nel sistema giuridico polacco, il Trattato sull’Unione Europea (Tue) risulta subordinato alla Costituzione nazionale in chiara violazione della rule of law.  Uno degli aspetti più importanti di tale sentenza è che sia stata decisa da un tribunale composto prevalentemente da giudici molto vicini, per non dire “controllati”, dal partito di estrema destra, violando anche il principio di indipendenza giudiziaria. Tale fenomeno, che si sta diffondendo sempre di più in concomitanza con la diffusione dei valori illiberali, viene chiamato dagli esperti court-packing e consiste nella nomina nelle Corti Supreme nazionali affiliati al partito di governo. In questo modo, i partiti politici possono influenzare le decisioni e controllare sistema giudiziario, in contrasto al principio di divisione dei poteri dello Stato criticata da Rousseau. Inoltre, nel 2017 era stata già istituita una Sezione Disciplinare della Corte Suprema con l’obiettivo di “controllare” il comportamento dei giudici, che secondo la Corte Europea non era un organismo imparziale e contribuiva a minacciare l’indipendenza del sistema giudiziario. Nonostante ciò, la Polonia continua ad essere un Paese Membro dell’Ue pur in violazione di molteplici valori fondanti, dalla rule of law ai diritti civili e libertà di espressione, codificati nell’art.2 menzionato in precedenza. 

 

Come ha risposto l’Unione Europea 

La Corte di giustizia l’anno scorso aveva già emesso un ordine provvisorio per bloccare l’attività della sezione Disciplinare e la Corte polacca aveva risposto negando l’autorità di Bruxelles e la validità legale di tale sentenza sul territorio polacco. La sentenza prima menzionata che ha minato l’indipendenza giudiziaria nel Paese, è stato solo il primo passo per la Polonia che nell’ultimo decennio si è spostata ulteriormente verso l’autocrazia più di qualsiasi altro Paese al mondo. Nel 2021 il Liberal Democracy Index del progetto V-dem aveva classificato la Polonia al 63esimo posto, mentre nel 2020 già secondo Freedom House Index non poteva essere più considerata una piena democrazia. 

Al momento, infatti, la Polonia è uno dei pochi Paesi a non aver ancora ricevuto i fondi del Recovery Plan. L’Europa ha tentato più volte negli anni di persuadere il governo polacco a rispettare il principio dello stato di diritto, ma non disponeva di strumenti efficaci per raggiungere l’obiettivo. La svolta, però è arrivata nel 2020 con la pandemia, anno in cui è stato approvato un nuovo meccanismo che lega l’erogazione dei fondi al rispetto della rule of law. Formalmente tale meccanismo non è direttamente legato al Recovery Fund, ma dando piena discrezionalità alla Commissione, può essere usato come leva per spingere la Polonia a smantellare alcune delle riforme che l’hanno resa un Paese semi-autoritario

 

Ci sarà una possibile disintegrazione dell’Unione? 

Secondo il post-funzionalismo, il processo di integrazione europea è conflittuale e basato sull’incompatibilità degli interessi degli attori che ne partecipano. Da questo punto di vista, il sopravvento dei partiti illiberali e il posizionamento degli elettori su una piattaforma identitaria basata sulla difesa del nazionalismo, potrebbe minare il processo di integrazione che dalla nascita dell’Ue è ancora in atto, e portare persino ad una sua dissoluzione

Guardando al caso della Polonia, infatti, potrebbe quasi sembrare che la previsione di tale teoria possa essere confermata. Lo scorso settembre, infatti, Varsavia aveva minacciato la Commissione Europea che qualora non fossero arrivati i soldi europei, sarebbero stati sostituiti con dei prestiti asiatici. In quest’ottica, tale minaccia del governo Polacco sembrerebbe quasi testimoniare una debole volontà da parte di quest’ultimo di far parte dell’Unione. Tale evidenza, però, sembra ad oggi essere smentita dalla dichiarazione del ministro dell’Economia Rzeczkowska che ha dichiarato al Financial Times di “essere sulla buona strada” per ricevere i fondi entro dicembre. La Polonia sembrerebbe nella pratica apparentemente disponibile a soddisfare i criteri Europei. Inoltre, è importante considerare anche che in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina, la Polonia è si è subito attivamente schierata a favore di quest’ultima. Di seguito, infatti, le relazioni con Bruxelles sono diventate molto più “calde” in particolare rispetto al governo di Viktor Orbán. A Budapest, invece, si continua ad incolpare pubblicamente l’Ue per le sanzioni contro la Russia che avrebbero causato le difficoltà economiche che ora sta affrontando l’Ungheria.  

 

Una possibile interpretazione 

Ciò che sta accadendo in Europa è un chiaro esempio di contrattazione a livello internazionale tra due attori, la Commissione Europea da un lato  e la Polonia dall’altro, in cui la credibilità delle azioni e delle minacce riveste un ruolo fondamentale. Dal momento che il governo Polacco non può essere considerato un attore credibile, non possiamo confermare con sicurezza che l’erosione dello stato di diritto non possa portare alla dissoluzione dell’Unione Europea. L’analisi di ciò che sta accadendo, però, ci apre le porte di un altro plausibile scenario.  

 

L’integrazione può essere vista anche come frutto di “scelte razionali”. La volontà nelle dichiarazioni del governo polacco di “venire incontro” alle richieste della Commissione sembrerebbe testimoniare ancora un interesse nel lavorare in tandem con tale istituzione. Da questo punto di vista, l’allontanamento dal rispetto della rule of law e dei diritti civili non sembrerebbe rappresentare una minaccia per l’integrazione Europea nel momento in cui ci sono interessi chiave, come quelli economici, in gioco. 

Sveva Manfredi
Nata e cresciuta a Nola, ridente cittadina in provincia di Napoli vent’anni fa. Curiosa di capire come mai la società non funzioni, ho deciso di studiare Economia e Finanza alla Bocconi. Nel tempo libero rincorro passioni, e alcune le metto anche su carta: sono quelle che, alla fine, ci rendono ogni giorno più vivi, salvando il mondo.

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