Il Patto di Stabilità pre-Covid
Per definizione, il Patto di stabilità e crescita – Psc – è un accordo stipulato nel 1997 dagli Stati membri dell’Ue, che ha il fine di conservare i requisiti di adesione all’Eurozona, rafforzando l’integrazione monetaria dei paesi. Stipulato nel 1997, è entrato in vigore contestualmente all’adozione dell’euro, il 1° gennaio 1999. La principale fonte normativa del patto è il Trattato di Roma – che ha istituito la Comunità europea. Il Psc si rifà infatti agli articoli 99 e 104 del Trattato. Quest’ultimo, in particolare afferma che ogni Stato membro dell’Ue deve attuare la politica economica necessaria per garantire l’equilibrio della sua bilancia globale dei pagamenti […].
Secondo il Patto, i Paesi membri dell’Ue devono continuare a rispettare i cosiddetti parametri di Maastricht relativi al bilancio dello Stato – che si rifanno ovvero al Trattato di Maastricht del 1992: avere un deficit pubblico inferiore al 3% del Pil e un debito pubblico inferiore al 60% del Pil – o comunque tendente al rientro. Il mancato rispetto di queste condizioni comporta l’avvio delle tre fasi previste dal Trattato: l’avvertimento, la raccomandazione e la sanzione.
Sanzioni e criticità
In caso di disavanzo o debito vicino al limite, la Commissione Ue attua un particolare procedimento di infrazione: il Pde, procedura per deficit eccessivo. Questa propone innanzitutto un avvertimento, che se seguito da un superamento del tetto diventa raccomandazione. Se dopo questa raccomandazione non vengono adottate misure correttive con riguardo ai due indicatori sopra citati, il Paese può incorrere in una sanzione, il cui ammontare minimo consta di un ammontare fisso – 0,2% del Pil – e di una parte variabile. Questa è pari al 10% dello scostamento del disavanzo pubblico dal tetto del 3%. Ovvero, è uguale al 10% della differenza tra il tetto del 3% del Pil e il deficit attuale – che è la differenza tra costi e ricavi dello Stato. Il tetto massimo della sanzione, comunque, è pari allo 0,5% del Pil.
Numerose criticità sono emerse, nel corso degli anni, con riferimento all’effettiva attuazione del patto. In particolar modo, il Patto è stato definito troppo rigido e necessariamente da riformare, come emerso da un’indagine condotta da CfN-Cepr, panel di esperti economisti e accademici inglesi. Persino la stessa Commissione ha riconosciuto la difficoltà del patto di promuovere la crescita. In passato, infatti, i grandi Paesi dell’Unione presentavano i presupposti per vedersi applicate sanzioni; tuttavia ne sono rimasti indenni, e tra questi figurano l’Italia, la Francia, la Germania. Quanto ai deficit, nel 2017 solo la Grecia non rispettava il tetto del 3% in tutta l’Ue. Osservano l’andamento dei debiti dei Paesi, invece, si scopre come nello stesso anno 7 paesi su 19 dell’Eurozona rispettavano il tetto, mentre dei paesi non appartenenti all’Eurozona Regno Unito – qui incluso perché membro Ue all’epoca -, Ungheria e Croazia non rispettavano il limite del 60% (3 Paesi su 9). La Commissione cerca, con questa riforma, di porre in essere un patto realistico, oltre che funzionale.
La sospensione del Patto di Stabilità causa Covid-19
A marzo 2020, con lo scoppio della pandemia da Covid-19, il Patto di Stabilità è stato sospeso dall’Ue per la prima volta nella storia. Nel Patto, infatti, è prevista una clausola di salvaguardia in grado di sospendere il Psc. Questa clausola, introdotta nel 2011, consente uno scostamento temporaneo dai requisiti sopra citati in una situazione di crisi. Si dà la possibilità ai Paesi, quindi, di adottare politiche di bilancio atte ad affrontare le crisi – ad esempio aumentando la spesa a favore di cittadini e imprese, magari aumentando il deficit.
L’eccezionalità della circostanza ha reso necessario dare la possibilità ai Paesi, soprattutto all’Italia, come afferma la Presidente della Commissione Ue Von der Leyen di “pompare nel sistema denaro finché serve”. La presidente aveva sottolineato come “la massima flessibilità per le regole di bilancio consentirà ai nostri governi nazionali di supportare tutti: i loro sistemi sanitari, il personale e le persone così gravemente colpite dalla crisi”.
A tal riguardo era intervenuto anche il Commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni, ritenendosi soddisfatto della scelta da parte della Commissione. Lo stesso ha dichiarato: “I Paesi possono spendere quello che serve per affrontare questa emergenza. L’attivazione della cosiddetta clausola del patto di stabilità apre la strada a una risposta forte e coordinata all’immensa sfida economica che dobbiamo affrontare tutti insieme.”
Infine, anche l’attuale Commissario europeo al Commercio Valdis Dombrovskis aveva espresso il suo favore a riguardo: “il nostro obiettivo è garantire che i Paesi possano rispondere pienamente alle sfide senza precedenti che affrontano con lo scoppio della pandemia di Coronavirus». aggiungendo che «questa flessibilità temporanea aiuterà le autorità nazionali a fare tutto il possibile per sostenere i sistemi sanitari, imprese e lavoratori. Continueremo ad agire con decisione e piena solidarietà con i nostri Stati membri in questo momento di necessità”.
Recentemente, la Commissione Ue ha avanzato la proroga della sospensione del Patto fino alla fine del 2023. Il contesto di profonda incertezza dato dal conflitto in Russia pone le basi per porre l’accento anche sui conti nazionali dei Paesi Ue. A riguardo, l’ex ministro Gentiloni ha avvertito gli Stati membri più lontani dai parametri del Patto, chiedendo loro di “fare attenzione quando spendono perché la situazione è completamente diversa ora, considerando che l’inflazione è già alta e l’economia è in crescita. Non vogliamo dare il messaggio che ci troviamo nella stessa identica situazione di quando abbiamo reagito alla pandemia. Ora, occorre facilitare il passaggio da questo momento di sostegno universale a un momento di sostegno più mirato e prudente”.
La proposta di riforma
La Commissione Ue ha avanzato una proposta di riforma del Patto di stabilità. Le critiche sopra esposte, infatti, hanno reso necessario cambiare il sistema con cui rispettare determinati parametri finanziari. La proposta è articolata avendo, come riferimento principale, i piani strutturali di bilancio nazionali a medio termine. L’idea è di dare maggiore margine di manovra ai Paesi per definire il loro percorso di aggiustamento di bilancio. Si sottolinea, quindi la titolarità nazionale delle loro scelte contabili. Il nuovo meccanismo entrerebbe in vigore a partire dai bilanci del 2024, e si basa su un meccanismo di vigilanza europea. Questo avrebbe come riferimento principale un nuovo indicatore – come afferma la Commissione – sulla spesa netta primaria, ossia la spesa che è sotto il controllo diretto del governo. Questa infatti, è la spesa dello Stato al netto degli interessi passivi, i.e. la spesa decisa dalla Politica.
Questa nuova procedura prevede che un percorso di aggiustamento nazionale venga presentato alla Commissione per un periodo di 4 anni, valutando la sostenibilità del paese oggetto dell’analisi. L’obiettivo è di garantire che i debiti dei paesi procedano in direzione discendente, e che “i deficit restino credibilmente al di sotto della soglia del 3% del Pil fissata nel Trattato” di Maastricht. I Paesi membri presentano, quindi alla Commissione dei piani di medio termine sui conti pubblici, dove potranno anche “proporre un periodo di aggiustamento più lungo, fino a tre anni in più, se il percorso sarà sostenuto da un insieme di riforme e investimenti che supportino la sostenibilità dei debiti, e rispondano agli obiettivi e alle priorità comuni europee”. La Commissione, valutati i piani, darà un parere e continuerà a monitorare l’attuazione di questi. C’è però l’obbligo, da parte dei paesi di riportare ogni anno i progressi maturati, facilitando lo stesso monitoraggio con maggiore trasparenza.
Tra le novità principali, figura anche la permanente cancellazione dell’obbligo di ridurre il debito pubblico ogni anno per un ventesimo l’anno sulla parte eccedente il 60% del Pil. Resta invariata, invece, la procedura sanzionatoria sopra esposta riguardo deficit eccedenti il 3% del Pil. Poi, la Commissione ha proposto di rafforzare i meccanismi di controllo e sanzionatori, diminuendo l’ammontare delle sanzioni in modo da renderle più efficaci. Sono, poi previste “sanzioni reputazionali più forti”. Infine, verrà resa condizionata l’erogazione dei fondi strutturali europei e dei fondi sui Pnrr; tali erogazioni saranno sospese, se i Paesi membri non assumeranno le politiche di bilancio correttive necessarie per correggere gli eccessivi deficit.
I commenti dei principali esponenti
Alcune riflessioni a caldo sono emerse circa la proposta di riforma avanzata dalla Commissione Ue. La Presidente Von der Leyen ha asserito come “Sostenibilità del debito e crescita vanno di pari passo. Abbiamo bisogno di un quadro comune semplice e trasparente e di una più forte titolarità degli Stati membri”. Il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni, invece, sottolinea: “Questo Patto di stabilità e crescita intelligente produrrà risultati, grazie a maggiori responsabilità e meccanismi di applicazione più forti. Ciò che conta è che gli Stati membri riducano il debito pubblico in modo realistico, graduale e sostenuto”. Da questa dichiarazione si comprende la decisione della Commissione Ue di abbandonare la regola della riduzione del debito del ventesimo. Ciò che emerge, sulla proposta di riforma del Patto di stabilità, è che l’Ue ha compreso la necessità di rivedere i parametri di Maastricht. Quei vincoli risalgono a più di venti anni fa, quando lo scopo era di armonizzare i quadri economici dei paesi. Dopo le 3 crisi del 2000 e la guerra in atto in Russia, l’Ue ha voluto porre l’accento su una maggiore consapevolezza circa lo stato di salute dei singoli paesi, e circa le loro peculiarità finanziarie.
*Crediti foto: Christian Lue, via Unsplash