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Dopo il Covid, l’economia della Cina torna a ruggire

Tempo di lettura stimato: 6 min.

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Articolo pubblicato su Business Insider Italia

Dopo un preoccupante -6,8% registrato nel tasso di crescita durante il primo trimestre del 2020, a partire dal secondo trimestre l’economia della Cina è stata protagonista di una rapida ripresa a “V”. Nel secondo semestre il Prodotto interno lordo (Pil) cinese ha fatto segnare un +3,2%, proseguendo il trend positivo anche nel terzo semestre (+4,9%). Alla luce di questi dati, secondo le stime del Fondo monetario internazionale (Fmi) si prevede che il Paese sarà uno dei pochissimi al mondo a vantare un tasso di crescita positivo nell’arco dell’intero anno solare 2020, attestato intorno al +1,9%.                                     

Il contenimento del virus alla base della ripartenza

La Cina è stata il primo Paese in ordine cronologico a risentire degli effetti del Covid-19, nonché uno dei primi a riuscire nel contenimento dello stesso, grazie a misure drastiche e un’importante mobilitazione di massa. Di conseguenza, anche la riapertura delle industrie e la messa in moto dell’economia dopo il violento tracollo del primo trimestre (gennaio-marzo) sono avvenute con largo anticipo rispetto alle altre grandi potenze globali. In alcuni casi, la produzione industriale è addirittura ripartita a marzo, quando l’Europa aveva appena cominciato ad adottare misure di contenimento del virus.

Lo scoppio della pandemia in Cina è coinciso con l’inizio delle vacanze del Capodanno cinese (la festività più sentita nel Paese, che quest’anno cadeva il 25 gennaio), durante le quali solitamente milioni di lavoratori tornano dalle grandi città ai propri villaggi d’origine. A partire dalla fine del mese di gennaio il Pcc (Partito comunista cinese) ha dunque iniziato a imporre localmente i primi lockdown, andando di fatto a prolungare le festività e impedendo a una larga fetta di popolazione di ritrasferirsi nei centri urbani per tornare a lavorare. 

Tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, progressivamente, la città di Wuhan e l’intera provincia dell’Hubei (l’epicentro della pandemia) sono state completamente isolate, mentre il Paese veniva a mano a mano “congelato” e gli spostamenti tra città (e tra regioni) vietati. Il regime ha stabilito un sistema centralizzato di risposta alla pandemia. L’elemento decisivo nel contenimento del coronavirus è stato la mobilitazione di una moltitudine di operatori, volontari e non, incaricati di far rispettare le restrizioni stabilite dal governo. Inoltre, è stata avviata una forte campagna di responsabilizzazione sociale incentrata sulla dialettica della “guerra del Popolo contro il coronavirus” che, unita a un aumento della portata dei sistemi di tracciamento e controllo degli infetti, ha fatto sì che la popolazione cinese rispettasse le restrizioni durante tutto il periodo di lockdown.

Quest’ultimo in Cina non è mai stato uniforme, ma ha assunto diversi gradi di severità a seconda della diffusione del virus, e si è protratto per diverse settimane (a Wuhan è durato 76 giorni), durante le quali il governo centrale si è assicurato che non fossero effettuati licenziamenti da parte delle imprese inattive. 

La stabilità interna come priorità assoluta del Pcc

Effettivamente, in fase di gestione e contenimento della pandemia, priorità assoluta è stata data alla stabilità sociale e politica del Paese, assicurata grazie a dispendiose manovre  da parte del governo. Pechino ha fatto leva sullo stretto controllo statale di grandi aziende nei settori manifatturiero, bancario o energetico, per imporre loro un blocco dei licenziamenti ed evitare la formazione di grandi masse di disoccupati. E’ stato poi assicurato uno stipendio fisso, più o meno ridotto, a tutti i (numerosi) dipendenti pubblici. Allo stesso modo, anche le compagnie private sono state sussidiate affinché mantenessero i propri dipendenti sotto contratto.

Inoltre, sempre in virtù dello stretto rapporto tra settore bancario e Stato in Cina (le maggiori banche sono infatti statali), il governo centrale ha sostenuto gli istituti finanziari in modo che questi non sospendessero l’erogazione di prestiti. Tale pratica non è nuova, come scrive Raghuram Rajan nel suo libro  “Terremoti finanziari”, dove spiega come per stimolare la crescita a fronte di un rallentamento globale le autorità cinesi abbiano già in passato spinto il sistema bancario a concedere prestiti agevolati ad aziende di proprietà statali. Ciò porterebbe a una ripresa più rapida, seguendo una filosofia che l’ex capo economista del Fmi chiama “cominciamo a costruire, poi i clienti arriveranno”. 

La Cina esporta per (tornare a) crescere

Una delle chiavi del “rimbalzo” del Pil è sicuramente stata la ripresa dell’export, da tempo uno dei cardini dell’economia in Cina. Nel 2020 le esportazioni sono aumentate del 10,4%, anche grazie alla vendita di materiale sanitario (mascherine e respiratori) e macchinari per gli ospedali. Anche la produzione industriale su base annua vede un +6,9%, con i settori hi-tech e della produzione di macchinari che segnano rispettivamente +5,9% e 4,7%.

Innegabilmente, la pandemia ha però isolato il Paese fisicamente con la chiusura dei confini, oltre a provocargli un danno d’immagine. Ciò ha riportato al centro del dibattito le relazioni sia politiche che commerciali con la Cina, con numerose imprese che stanno valutando se appoggiarsi ancora in futuro totalmente al sistema cinese, o se spostare il fulcro di produzione. Ad esempio, la big tech taiwanese Foxconn, la quale produce materiale Apple in Cina, ha sul tavolo la possibilità di spostare la produzione in America del Nord. Simili valutazioni sono state fatte anche da colossi come Samsung e GoPro, i quali già hanno spostato alcuni rami dalla Cina, soprattutto verso il Vietnam.

Va comunque riconosciuto che il mercato cinese non è trascurabile, e sarà ancora uno dei centri del commercio mondiale. Di recente Tesla e Bmw hanno investito nel Paese del Dragone, anche se queste sarebbero alleanze molto commerciali e poco geopolitiche.

Interessante sarà inoltre capire come il progetto principe di Xi Jinping, ovvero la Via della Seta, verrà continuato. Secondo gli ultimi dati forniti da Refinitiv, sui 2.951 progetti presenti nel piano, 666 sono stati completati, 2.207 in realizzazione, mentre 43 sospesi, 29 rinviati e 6 cancellati.

Il rilancio dei consumi interni 

Oltre a segnali positivi con l’export, un ulteriore fattore di sostegno alla ripresa dell’economia in Cina è il rialzo dei consumi interni. Nel libro citato poc’anzi, Raghuram Rajan descrive come le famiglie cinesi destinino una piccola parte del loro reddito verso i consumi, nonostante l’immenso mercato interno. 

Una delle ragioni più plausibili è il forte risparmio che caratterizza le famiglie cinesi, vista la scarsa rete di protezione del welfare, con i costi crescenti per le cure e un sistema pensionistico in difficoltà. Eppure, ad agosto si è registrato un aumento dei consumi del 0,5% su base annua, dopo essere precipitato a febbraio al -20%. Segnale che potrebbe portare a una nuova visione all’interno del Paese, cercando di rendersi meno dipendente dalle esportazioni, stimolando così l’incredibile potenziale di domanda interna. 

La politica della PBoC

Per stimolare l’economia, in Cina anche la politica monetaria si è rivelata essenziale, con la PBoC che non è rimasta a guardare, ma ha seguito le manovre simili a quelle di molte altre Banche Centrali. La liquidità iniettata nel sistema bancario è stata pari a 74 miliardi di dollari con prestiti a medio termine. Inoltre la PBoC ha dichiarato di aver fornito liquidità per altri 8 miliardi di dollari con operazioni di Reverse Repo. Manovre rivolte a mantenere ampia liquidità per le banche, cercando anche di stimolare l’inflazione che ad ottobre ha visto un +0,5 % dell’indice dei prezzi al consumo (Icp), in ribasso rispetto a settembre (+1,7%). 

La Cina esce rafforzata dalla pandemia?

In Cina l’economia ha chiaramente risentito della pandemia, che ha anche provocato al Paese un danno di immagine internazionale. Tuttavia, dopo una fase iniziale di negazione dei pericoli legati alla diffusione del coronavirus, le drastiche restrizioni imposte dal governo centrale hanno permesso il contenimento dello stesso ben in anticipo rispetto alla maggior parte degli altri paesi del mondo.

Ciò ha dunque permesso al gigante asiatico di riaprire le industrie già a inizio primavera, accumulando un notevole vantaggio rispetto alle altre grandi potenze. Per far ripartire l’economia, il Pcc ha adottato una politica fortemente espansiva, finanziando le banche e i privati, e vietando licenziamenti di massa. Rimangono tuttavia dubbi sulla sostenibilità di tali soluzioni che, comunque, hanno implicato un aumento della spesa pubblica molto elevato persino per il governo cinese.

 

*Crediti foto: Eric Prouzet, via Unsplash

Articolo a cura di Stefano Grandi e Riccardo Romano Boiani

Riccardo Romano Boiani
Nato a Lecco 22 anni fa. Ufficialmente studio Scienze Politiche alla Statale di Milano, con l'obiettivo di trovare qualche Cigno Nero negli anni a venire. Appassionato di macroeconomia, finanza, politica, sognando di lavorare nel mondo dell'informazione. Role model nella vita? Corrado- wait for it- Augias.

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