fbpx

INDIPENDENTI, COSTRUTTIVI, ACCESSIBILI

Home Mondo Europa Verso un'unione fiscale europea?

Verso un’unione fiscale europea?

Tempo di lettura stimato: 5 min.

-

L’Europa sta vivendo il suo momento hamiltoniano, diventando un’unione fiscale? E’ questa la domanda che si pone, nel suo ultimo numero, la rivista The International Economy, considerando la rivoluzionaria proposta del NextGenerationEU (o Recovery Fund). Il riferimento è ad Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti. Egli trasformò nel 1790 il debito accumulato dalle 13 colonie americane nella guerra d’indipendenza in debito pubblico federale dei neonati Stati Uniti d’America. Con il lancio del NextGenerationEU, ci si chiede pertanto se anche l’UE si stia avvicinando a un’unione fiscale, o persino a un’unione federale. 

Le novità del Recovery Fund

Il Recovery Fund ha introdotto un’importantissima novità. Come fa notare l’economista Mariana Mazzucato, l’Unione europea, nello specifico la Commissione, ha la possibilità di prendere a prestito soldi a nome dei suoi Stati membri. Infatti, dei 750 miliardi di euro stanziati, 390 sono finanziamenti a fondo perduto, ottenuti attraverso l’emissione comunitaria di titoli di debito, mentre la restante parte è costituita da prestiti per gli Stati membri, con interessi molto vicini allo zero. Pertanto, per la prima volta nella sua storia, l’Unione europea avrà la possibilità di indebitarsi per finanziare le proprie politiche budgetarie.

Già nel 2015, ben prima della crisi pandemica, con la Relazione dei cinque Presidenti (Five Presidents Report), anche alcuni tra i principali leader europei avevano aperto a una tale possibilità, sostenendo la necessità di costruire una politica fiscale comune per rafforzare l’Unione monetaria (l’euro).

Con l’approvazione del Recovery Fund, vari leader europei di primo piano hanno affermato la necessità di rendere tale strumento permanente. Per esempio, in una intervista al quotidiano francese Le Monde, Christine Lagarde, presidentessa della Banca centrale europea ha dichiarato che verrà discussa la possibilità che uno strumento come il Recovery Fund possa rimanere tra gli strumenti dell’Unione europea da mobilitare per crisi simili in futuro. Lagarde, tra l’altro, aveva precedentemente smentito una tale possibilità, sostenendo che il NextGenerationEU fosse una risposta eccezionale a una situazione eccezionale. Similmente, Olaf Scholz, ministro tedesco delle finanze, ha affermato che con l’approvazione del NextGenerationEU l’Ue ha fatto un passo in più verso l’unione fiscale.

Può quindi un’unione fiscale europea diventare realtà? D’altronde, eminenti economisti, come Guido Tabellini, Paul De Grauwe e Yuemei Ji, già prima della pandemia avevano sostenuto la necessità di creare uno strumento fiscale comune, almeno per l’eurozona, per garantire una minima condivisione del rischio in caso di crisi sistemiche e di eventuali shock asimmetrici. La crisi dei debiti sovrani, un unicum europeo, era stata causata, a detta di alcuni studiosi, proprio dall’incompletezza e dalla fragilità dell’architettura dell’euro, caratterizzata da una scarsa condivisione del rischio tra gli stati membri.

Recovery Fund: un passo decisivo?

Di certo il NextGenerationEU rappresenta un passo importante per quanto concerne la condivisione del rischio tra gli stati membri dell’Unione europea. Tuttavia, esso può considerarsi sufficiente per parlare di momento hamiltoniano? Su questo tema il dibattito è diviso, come ci mostra la sopracitata edizione di The International Economy. Secondo Jacob Funk Kierkegaard, del Peterson Institute for International Economics, Il Recovery Fund non sancirà di certo l’inizio di uno stato federale europeo, ma perlomeno ha posto in essere un precedente importante, abbassando la soglia di tolleranza politica per future emissioni di debito comune. Un mercato per il debito comune nell’Ue emergerà passo dopo passo, al fianco dei comunque considerevoli mercati dei debiti degli Stati membri. Di questi, una parte consistente probabilmente sarà detenuta (e in larga parte già lo è) dalla Bce, aumentando così il vero livello di integrazione fiscale.

Al contrario, Andreas Dombret, banchiere ed ex membro del consiglio di amministrazione della Deutsche Bundesbank, mette in guardia dal trarre facili conclusioni. A suo avviso, non si può parlare ancora di unione fiscale, e tantomeno di momento hamiltoniano. Infatti, all’Ue mancano ancora i meccanismi di governance e accountability tipici di un’unione fiscale. Ad esempio, Dombret sottolinea che i Paesi creditori non hanno voce in capitolo su come i fondi verranno usati nei Paesi che riceveranno i finanziamenti, rimarcando la trasparenza che dovrebbe essere alla base del piano, per evitare forme di integrazione surrettizia, che rischiano di minare la credibilità del progetto europeo.

Le sfide

Vi sono poi alcuni ostacoli da considerare. In primis, non bisogna dimenticare l’opposizione dei cosiddetti ‘Paesi frugali’ (o Frugal Four), capeggiati da Austria, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca, che fino all’ultimo hanno avversato l’approvazione di un Recovery Fund contenente finanziamenti a fondo perduto. Come sottolinea il Financial Times, i Paesi diventeranno creditori netti per il fondo di circa il 2% del loro Pil pre-pandemia. Non sorprende dunque la loro opposizione al progetto.

Inoltre, come riporta Bloomberg, gli EU Social Bonds, che finanziano il piano, pur mantenendo interessi negativi, hanno migliori rendimenti dei titoli di stato di Paesi come Germania, Paesi Bassi e  Finlandia, mentre hanno rendimenti peggiori dei titoli di nazioni come Spagna, Italia e Grecia. Tali differenze, seppure ancora minime, dimostrano che la partecipazione in questo progetto è più conveniente per gli Stati con debiti pubblici più elevati. Questo potrebbe rafforzare il malcontento nei Paesi nordici, che potrebbero considerare tale progetto una sorta di scorciatoia per i Paesi altamente indebitati.

Infine, sempre secondo Bloomberg, bisogna anche affrontare il problema del peggioramento della tenuta democratica in Paesi come l’Ungheria e la Polonia, che si sono opposte a condizionalità legate al rispetto dello stato di diritto, come richiesto invece da molti degli altri Paesi e anche dal Parlamento europeo. Nonostante i finanziamenti del futuro budget e anche del fondo (ma solo quelli successivi al 2022) saranno legati al rispetto dello stato di diritto, tale peggioramento desta comunque preoccupazione. Esso infatti mina le basi fondamentali su cui l’architettura europea è costruita, e costituisce una delle sfide cruciali per l’Ue di questi tempi e per i suoi progetti futuri. 

Pertanto, rimane comunque prematuro parlare di momento hamiltoniano o di una possibile unione fiscale. Difatti, tante sono ancora le sfide da affrontare e le incognite da risolvere per poter stabilire un meccanismo permanente di debito comune. Di certo l’esperimento del Recovery Fund rimane senza precedenti nella storia dell’integrazione europea e costituisce un precedente importantissimo per una risposta comune alle future crisi che colpiranno l’Unione europea. Cercando di capire se il celebre motto di Jean Monnet “l’Europa si farà attraverso le crisi” (L’Europe se fera dans les crises) sia in tal senso di buon auspicio.

Fonte: Foto di M. H. da Pixabay
Giovanni Carletti
Mi sono laureato in Relazioni Internazionali alla Cattolica. Al momento studio Politiche Europee a LSE... nel paese della Brexit! Mi interesso principalmente alle questioni europee e mediorientali. Timido di temperamento, amo i sentieri difficili e il rock degli anni ‘60 e‘70.

Commenta

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

3,900FansMi piace
29,200FollowerSegui
1,500FollowerSegui
1,000FollowerSegui