Esattamente un mese fa, dopo diversi mesi di attesa e negoziazioni, il Consiglio dei ministri ha finalmente approvato il ddl sulla concorrenza. La riforma della politica della concorrenza era una delle più attese riforme previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Si tratta infatti di una condizione chiave di Bruxelles al fine di erogare i circa 195 miliardi previsti per la ripresa.
La portata di questa riforma è però ancora più ampia. Essa va infatti a colmare un vuoto legislativo che durava da ormai dodici anni. In effetti, risale al lontano 2009 la decisione di varare una legge annuale sulla concorrenza al fine di liberalizzare progressivamente vari settori dell’economia italiana. Ciò nonostante, solo una riforma della concorrenza è stata approvata in tutti questi anni.
Ma cos’è la politica della concorrenza e perché è così importante?
La politica della concorrenza vuole consentire a tutti gli attori del sistema economico di competere in condizioni di parità sul mercato al fine di sviluppare una competizione sana ed efficace.
Il principio della concorrenza può essere facilmente inteso pensando al momento in cui un individuo richiede un preventivo per ricevere un bene o un servizio. Il preventivo è utile al fine di comparare le diverse offerte e poter scegliere la migliore a seconda del prezzo, delle tempistiche, della qualità etc. La possibilità stessa di poter scegliere il servizio considerato migliore è l’effetto della concorrenza. Essa, in effetti, mette in competizione i diversi produttori ed erogatori di servizi che avranno forti incentivi ad abbassare i prezzi, aumentare la qualità, variare l’offerta e anche innovare il proprio processo produttivo.
Qual è il ruolo dello Stato?
La teoria economica neoclassica ha dimostrato che un sistema perfettamente concorrenziale è in grado di produrre risultati ottimali senza l’intervento dello Stato. Ciò nonostante le condizioni, molto stringenti, che definiscono un mercato come perfettamente concorrenziale sono difficilmente soddisfatte nel mondo reale. Emergono dunque inefficienze di mercato che lo Stato dovrà affrontare intervenendo indirettamente nell’economia.
Per esempio, in un sistema completamente sregolato gli attori del mercato potrebbero ricorrere a comportamente abusivi (monopolistici). Per esempio, potrebbero accordarsi tra di loro per fissare i prezzi, limitare la produzione o ripartirsi il mercato così da tenere fuori possibili concorrenti. Nel caso in cui avessero l’esclusività della produzione di un bene, avrebbero anche incentivi a fissare i prezzi al di sopra del costo della produzione. Infine, potrebbero anche abbassare i prezzi a discapito della qualità e della sicurezza senza informare il consumatore.
Queste attività, oltre che essere dannose per i cittadini, riducono l’innovazione e quindi la crescita economica. È per questo motivo che è diventata, già a partire dalla metà del secolo scorso, una priorità di tutti i Paesi industrializzati quella di intervenire indirettamente nel mercato per regolamentarlo definendo le norme che gli attori economici devono seguire per un’equa ed efficace concorrenza.
Questa tendenza è però anche stata anche accompagnata da una necessaria riduzione dell’intervento statale diretto nell’economia. Esso infatti rischierebbe di fornire vantaggi selettivi ad alcune imprese e quindi di falsare la concorrenza.
Le ragioni del ritardo italiano nella tutela della concorrenza
Come anticipato, questo è solo il secondo ddl sulla concorrenza che viene proposto dall’introduzione della legge del 2009 che imporrebbe di proporne uno all’anno. Quali sono le ragioni di questa inerzia?
Viene detto che in Italia la cultura della concorrenza è da sempre minoritaria. Questo è verosimilmente dovuto alla pervasività storica dell’intervento pubblico diretto nell’economia attraverso il sistema delle partecipazioni pubbliche e statali.
Ciò ha profondamente influenzato il dibattito sull’introduzione di una normativa sulla concorrenza, iniziato negli anni Cinquanta – sessant’anni dopo l’introduzione della prima legge antimonopolistica negli Stati Uniti.
Alcune delle varie proposte di legge di quegli anni miravano a imporre maggiori controlli sul mercato e a ridurre la partecipazione statale nell’economia; altre invece proponevano, come strumento sostitutivo a quello della concorrenza, un maggior impegno diretto in settori chiave dell’economia per evitare l’insorgere di comportamenti monopolistici. Queste due visioni contrapposte ebbero come conseguenza la mancata approvazione parlamentare di qualsiasi normativa antimonopolistica.
È solo con l’accelerazione del processo di integrazione europea degli anni Ottanta che la prima via, a favore della concorrenza e del libero mercato, si è imposta. L’apertura dei mercati nazionali è infatti prerogativa stessa del corretto funzionamento del Mercato unico europeo. Questo perché presuppone che tutti i cittadini di tutti gli stati membri siano liberi di intraprendere le proprie attività economiche al di là delle frontiere nazionali e con la garanzia di competere in parità di trattamenti e condizioni. Ciò ha permesso l’adozione, nel 1990, delle prime “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato” (legge Battaglia).
Tuttavia, l’alta polarizzazione del dibattito sulla concorrenza è rimasta attuale portando alla difficile approvazione di nuovi ddl in materia. Come conseguenza, normative rigide ed antiquate sono rimaste a regolare mercati in costante evoluzione, soprattutto tecnologica, frenando e disincentivando i processi di innovazioni che gioverebbero ai consumatori.
Cosa propone il ddl concorrenza di Draghi
Fra coloro che hanno fallito dopo aver provato “a far passare misure molto ambiziose senza cercare il consenso politico” e coloro che “hanno ignorato la questione”, Draghi ha proposto una terza via, quella della trasparenza. Una via di compromessi necessari con l’obiettivo di riformare gradualmente settori soggetti ad una regolamentazione particolarmente antiquata, previa sistematica mappatura ed operazioni di trasparenza e dialogo con le parti interessate.
Alcuni dei settori sui quali si è focalizzato il ddl riguardano i trasporti, le telecomunicazioni, la sanità, i servizi pubblici e le concessioni balneari.
Laddove è stata scelta una via di trasparenza e dialogo più approfondito è nell’ambito delle concessioni ai balneari, ambulanti e bagnini. Per ora le concessioni delle spiagge per esempio sono ottenute senza gare d’appalto e con durata molto al di sopra della media europea. Il governo si propone dunque di avviare una mappatura di tutte le concessioni in essere, così che potrà essere verificato quanto paga ciascun concessionario, prima di prendere provvedimenti più concreti. Una procedura simile è stata adottata per quanto riguarda il catasto.
Per ciò che concerne il comparto dei taxi e dei servizi di noleggio con conducente (NCC), il governo ha ottenuto una delega di riforma in modo da adeguare l’offerta dei servizi alle nuove forme di mobilità esistenti che utilizzano app e piattaforme tecnologiche come Uber. Viene anche facilitato l’ingresso nel mercato dei farmaci generici rimborsabili che per ora devono attendere la scadenza del brevetto dei medicinali di riferimento. Per facilitare la digitalizzazione del Paese e l’avvento delle reti a banda ultralarga, viene anche semplificata la messa disposizione delle infrastrutture esistenti. In vista della transizione ecologica, vengono agevolate le procedure per installare per le strade le colonnine elettriche di ricarica dei veicoli ecologici.
Quale sarà l’evoluzione?
Il precedente ddl concorrenza presentato sotto il governo Renzi ha impiegato due interi anni prima di essere approvato in Parlamento che, tra l’altro, ne ha notevolmente diminuito la portata. L’allora presidente della commissione parlamentare industria, Massimo Muchetti, aveva denunciato l’introduzione di norme a favore di interessi organizzati e di monopoli.
Per quanto riguarda il ddl di draghi, bisogna ora attendere le modifiche che saranno proposte in parlamento e solo in seguito sarà chiaro se “la via della trasparenza” sarà riuscita a conciliare il bisogno di riforme concorrenziali settoriali e la rivendicazioni degli attori economici che in quei settori operano.
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