L’Opec è l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, fondata nel 1960 come risposta di vari Paesi produttori di greggio al predominio economico delle aziende petrolifere anglo-americane e con il fine di permettere a dodici Paesi dell’area mediorientale, africana e sudamericana, associati sotto un cartello economico, di accordarsi e negoziare su aspetti quali produzione e prezzi dei barili di greggio.
L’Arabia Saudita e la Russia hanno iniziato una guerra sui prezzi portando i futures sul petrolio greggio a 31,02 dollari al barile. Il petrolio, di solito, viene scambiato sul mercato finanziario attraverso diversi strumenti tra cui i futures, contratti con i quali le parti si obbligano a scambiarsi entro una data scadenza un certo quantitativo di petrolio, a un prezzo stabilito ex ante. Il costo di tali contratti è quello che di solito viene considerato come prezzo di riferimento dell’ “oro nero”.
Le borse europee non sono state risparmiate dalle conseguenze e hanno aperto la settimana in caduta libera con i titoli del settore energetico e petrolifero in profondo calo. Non ha certo aiutato l’emergenza coronavirus: la “quarantena nazionale” e la limitazione degli spostamenti hanno ulteriormente contribuito alla, diminuzione del prezzo del carburante.
Bloomberg lo descrive come il peggiore calo di tutti i tempi dopo il tonfo del gennaio 1991 durante la Guerra del Golfo. Goldman Sachs ha pubblicato un rapporto secondo il quale il prezzo scenderà a 20 dollari al barile e ciò sta deprimendo ancora di più le aspettative degli investitori.
Cosa successe nel 1990?
Il 17 luglio 1990 Saddam Hussein, leader iracheno, accusò pubblicamente gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait di aver superato i limiti di estrazione del greggio per danneggiare l’Iraq. Dieci giorni più tardi, l’Opec, su richiesta di quest’ultimo, aumentò il prezzo al barile da 18 a 21 dollari, ma ciò non bastò a fermare Saddam Hussein dall’invadere il Kuwait il 2 agosto. In seguito all’azione diplomatica dell’Onu e al termine di un ultimatum per il ritiro delle truppe irachene, il 17 gennaio 1991 cominciò l’operazione militare “Desert Storm” che vide le truppe americane penetrare in Iraq. In seguito all’invasione del Kuwait e l’illegittima annessione all’Iraq, iniziò così la Guerra del Golfo.
In coincidenza della spedizione americana, è opportuno sottolineare che si registrò il calo del 34,8% del prezzo del greggio, che è di poco superiore a quello registrato nella notte di lunedì scorso. Il prezzo del petrolio aveva già registrato un calo il 9 gennaio 1991 in seguito al fallimento dei colloqui dell’Opec: il prezzo passò da 25,75 dollari a 22,40 (-13%), il livello più basso dall’invasione del Kuwait del luglio precedente.
Ritornando al presente, nel nostro capitolo di storia la guerra ovviamente non si sta combattendo fisicamente nel deserto, ma sui mercati finanziari. Le armi non sono più pistole, quanto piuttosto gli accordi commerciali. Le finalità, però, come in ogni guerra sono sempre quelle economiche. Vediamo ora cosa è successo a inizio settimana.
All’origine del tonfo di lunedì
Gli analisti hanno identificato tre motivi principali che, già prima dell’annuncio degli Emirati Arabi Uniti e della Russia di non voler seguire le direttive dell’Opec+, avrebbero portato al drammatico crollo del prezzo del greggio lo scorso lunedì.
In primis la riduzione della domanda mondiale, dovuta alla recessione in atto come conseguenza del coronavirus: si sono ridotti i consumi delle persone, costrette a rimanere in casa, e le imprese lavorano in maniera rallentata o sono state chiuse del tutto. Va anche considerato che la crescita del valore di gas “non convenzionali”, come il gas naturale compresso, ha raggiunto un nuovo picco, con 12 milioni di barili prodotti ogni giorno. Infine, non ha aiutato il cosiddetto “effetto Greta”, ovvero il percorso intrapreso da vari Stati verso nuove politiche ambientali per ridurre l’uso dei combustibili fossili.
Nel concreto, la tempesta è stata scatenata dalla Russia e dagli Emirati Arabi Uniti che hanno iniziato una guerra dei prezzi al ribasso senza precedenti. L’arma con cui Mosca e Riad combattono è la minaccia di riversare sul mercato litri di petrolio che la popolazione non sarà in grado di comprare. La miccia è scoppiata quando i due protagonisti si sono rifiutati di sostenere il taglio di 1,5 milioni di barili richiesto dall’Opec. Tra i due Paesi però la Russia è quella che sembra trovarsi nella posizione migliore perché necessiterebbe solo di un prezzo di 42 dollari al barile affinché il suo bilancio sia in positivo, mentre agli Emirati Arabi Uniti servirebbe perfino il doppio del prezzo.
Trump con un tweet ha mostrato la sua preoccupazione, dal momento che anche gli analisti hanno dichiarato che gli agenti più a rischio sono proprio le compagnie americane e che forse l’obiettivo di tale guerra è proprio quello di portare alla capitolazione degli USA nel segmento di mercato dei combustibili.
Una sovrapproduzione di petrolio in un anno in cui molto probabilmente si registrerà la prima reale contrazione della domanda dal 2009 porterebbe soprattutto a un eccesso di offerta: uno shock per i mercati. Ma anche un beneficio per i consumatori, che potrebbero veder calmierato il prezzo del carburante. Anche la Cina, in qualità di Paese importatore, potrà godere di un piccolo vantaggio in questo particolare momento in cui la diminuzione dei contagi del Covid-19 sembra stia portando a un lento ritorno alla normalità dell’economia e della vita dei cittadini.