Mancano benzina e camionisti nella crisi post-Brexit
Vari fattori hanno contribuito a causare lo shock di settembre e ottobre nella catena di fornitura dei carburanti. Tra tutti, il panic buying (letteralmente “acquisti per panico”) dei cittadini causato dall’aumento dei prezzi (come nel resto d’Europa, in aumento costante da inizio anno) e la crescente scarsità di camionisti addetti al trasporto della benzina, dovuto a sua volta da diversi altri fattori.
Il prezzo della benzina in veloce crescita (ora 1,40£ al litro, ossia circa 1,65 euro al litro, il più alto da 10 anni) ha indotto i cittadini a fare più rifornimento del solito. Anche nel resto d’Europa il settore dell’energia sta affrontando un’inflazione del 17,4%. Secondo un’analisi del New York Times, il 24 settembre nelle stazioni di servizio sono avvenuti quasi il doppio dei rifornimenti rispetto alla settima prima, superando di gran lunga l’offerta e la capacità strutturale di ristoccaggio, già sotto pressione per i problemi dal lato delle forniture. La crescita delle consegne nei giorni seguenti non ha evitato quindi questo sbilanciamento drastico tra domanda e offerta, lasciando le stazioni di servizio agli sgoccioli.
La mancanza di camionisti si aggiunge ai guai della supply chain inglese, che ha creato problemi non solo al settore energetico e alle stazioni di rifornimento, ma anche al settore della grande distribuzione e delle consegne, producendo disservizi persino per Amazon. Anche Tesco, Waitrose e altre grosse catene inglesi di supermercati hanno avuto problemi di rifornimento, peggiorato a sua volta dalla crisi del mercato della CO2 utilizzata per la produzione del cibo.
Addirittura il 96% delle aziende logistiche e di trasporti sta avendo problemi di mancanza di personale. Già ad agosto si era iniziato ad affrontare il problema offrendo bonus e aumentando gli stipendi, mentre a luglio l’industria dei cibo aveva avvertito di iniziare a soffrire per la carenza di trasportatori e ciò aveva contribuito all’aumento dei prezzi, in linea con un generale balzo dell’inflazione nel Paese (3,2% ad agosto 2021).
Nel complesso quindi, molti fattori stanno ostacolando il lato dell’offerta nell’economia inglese, creando disservizi e ritardi. A ciò si sono unite le sfide della crisi pandemica che sta colpendo tutto il mondo, ma anche le nuove politiche Brexit per il mercato del lavoro.
Come cambiano i visti lavorativi (anche per i camionisti)
Il primo gennaio 2021 la libertà di movimento – anche per i lavoratori – tra i paesi Ue e il Regno Unito si è interrotta definitivamente. Per questo è stato esteso anche ai cittadini Ue il sistema di immigrazione a punti già in vigore per i cittadini del resto del mondo.
Per poter ottenere un visto, i lavoratori che desiderano accedere al mercato inglese devono raggiungere almeno 70 punti. Per esempio, è indispensabile avere già un’offerta di lavoro sponsorizzata da un’azienda (20 punti) in un’occupazione che richiede qualifiche medio-alte (20 punti) e possedere una conoscenza della lingua inglese almeno di livello B1 (10 punti). I restanti punti possono essere assegnati in base al livello del salario (comunque non inferiore alle 20mila sterline l’anno, ossia circa 23mila euro) e in base al settore del posto di lavoro (STEM o non STEM). Questo meccanismo a punti non avviene però senza costi: per poter richiedere un visto di 5 anni un futuro lavoratore può dover pagare fino a 6mila sterline tra costi burocratici e assicurazione sanitaria. Il mercato del lavoro inglese ha quindi rieretto delle barriere di entrata importanti rispetto a quando il Regno Unito era membro Ue.
A rimanere esclusi da questo sistema sono i lavoratori non qualificati, tra cui per esempio i camionisti. Di conseguenza, settori come quello della ristorazione o del trasporto, che si basano sul lavoro non qualificato e spesso occupato da lavoratori stranieri, ora stanno avendo carenza di personale, come la crisi dei carburanti ha dimostrato. Proprio per questo, si è intensificato il lobbying per spingere il governo ad alleggerire le sue misure sui visti. Tuttavia, l’esecutivo vuole incentivare lo sviluppo tecnologico e il passaggio all’automazione proprio nei settori che richiedono meno qualifiche: in tal modo, la richiesta di lavoratori in questi ambiti dovrebbe via via regredire.
Dalla ristorazione alla finanza, ecco i settori più a rischio
Se prima della Brexit i flussi di migranti dai Paesi Ue erano in espansione, ora l’immigrazione extra-Ue potrebbe diventare di nuovo quella principale. Nel 2015 erano entrati nel Paese per stabilizzarsi lavorativamente 177mila cittadini europei, mentre nel 2021 solo 76mila lo hanno fatto, quando l’immigrazione extra-continentale è invece aumentata.
La maggior parte dei lavoratori europei oltre manica occupa posizioni nei settori non-qualificati, come è possibile visionare nel grafico sottostante.
Proprio in questi settori si sono avuti i primi shock per il mercato del lavoro inglese. Per questo motivo, il governo ha deciso di rilasciare visti temporanei di breve durata ad autisti di camion e a impiegati negli allevamenti di pollame (dopo la Brexit si sono creati 7mila posti vacanti su un totale di circa 40 mila persone impiegate nel settore). La Presidente della Camera di Commercio inglese Mcgregor-Smith ha dichiarato però che le misure sono insufficienti e che il problema di carenza di lavoro potrebbe diventare strutturale e bloccare la crescita economica post-pandemia. Oltre a garantire nuovi visti temporanei “facilitati”, il governo aveva solo velocizzato la tempistica per i test per diventare camionisti autorizzati. Nel settore della ristorazione si hanno le medesime preoccupazioni e la carenza di personale si sta già facendo sentire.
Ma gli shock potrebbero arrivare in futuro anche in settori qualificati come quello della finanza. Le aziende stanno già infatti facendo pressione sul governo per alleggerire anche le misure del sistema a punti. TheCityUK, gruppo di lobbying inglese, ha affermato che i costi per il reclutamento e la selezione di talenti e lavoratori che permettono a Londra di essere uno dei centri finanziari più importanti e competitivi al mondo sono aumentati in modo non necessario. Non a caso, il 25% dei lavoratori del settore non sono cittadini inglesi. Gli stranieri raggiungono addirittura il 46% degli impiegati nella fintech (tecnofinanza).
Una crisi più lunga anche a causa della Brexit
La crisi di questo autunno nello UK, dovuta in parte anche a fattori pandemici, potrebbe essere solo il primo sintomo delle difficoltà che attendono il mercato del lavoro inglese post-Brexit. Mentre la crisi energetica e modale globale non sembra arrestarsi, gli effetti della Brexit potrebbero ulteriormente ostacolare una rapida ripresa economica nei territori della Regina.