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Le nuove sfide dell’industria militare italiana ed europea

Tempo di lettura stimato: 8 min.

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La guerra in Ucraina ha scosso l’Europa nel profondo e non solo. Secondo The Conversation diversi Paesi, oltre a esportare armi e aiuti all’Ucraina, stanno anche rivalutando i loro investimenti nell’industria militare, persino gli Stati storicamente più avversi a questo proposito come Germania e Giappone. In questo frangente, un’evoluzione nel settore è quanto mai inevitabile.

Ma qual è il quadro attuale dell’industria militare italiana ed europea? Per avere una prospettiva più completa sul settore e comprendere meglio le conseguenze che la guerra sta avendo sull’industria della difesa abbiamo chiesto a Giacomo Voceri, analista militare e Business Developer per un’importante industria della difesa europea, di fornirci la sua opinione.

 

Oripo: L’industria militare italiana non è di certo la prima cosa che ci viene in mente quando parliamo del nostro Paese, eppure non è da sottovalutare, soprattutto in un frangente come quello creatosi dopo lo scoppio della guerra. Ci potrebbe dare una panoramica dell’industria della difesa nel Belpaese e del suo peso nel nostro orientamento strategico e diplomatico?

G: L’Italia, ad oggi, è un player rilevante anche dal punto di vista militare in Europa, non soltanto per le capacità delle nostre armate ma anche per le industrie che sono presenti sul territorio. L’industria nazionale ha sviluppato un’expertise in tutta la triade della difesa, ossia in ambito navale, aeronautico e terrestre. A livello europeo è anche uno dei Paesi che contribuisce di più, sia nei progetti comunitari di difesa, sia a livello della NATO. 

Oripo: Tuttavia, l’Italia ha approvato solo di recente l’aumento del budget della difesa al 2% del PIL, come da accordi Nato.

G: L’Italia è il quinto in Europa per spesa militare e le autorità politiche ne sono consapevoli. Non a caso le industrie nazionali e le istituzioni italiane lavorano a braccetto proprio perché la difesa gioca un ruolo importante nella diplomazia, e le istituzioni servono da tramite con i Paesi interessati alle nostre tecnologie. L’Italia ha un know-how molto sviluppato che ci mette allo stesso livello della Francia o della Germania, e il suo potenziale in ambito europeo è molto spiccato, questo anche grazie ad anni di investimenti nel campo della difesa.

Oripo: Quali sono stati i principali cambiamenti del settore dallo scoppio della guerra in Ucraina?

G: L’Italia fa parte del mondo occidentale e il nostro “nemico di riferimento” sono state a lungo minacce prettamente asimmetriche se confrontate alla potenza militare della Nato. Combattere un nemico del genere, con capacità estremamente inferiori come dei gruppi non statali (talebani, ISIS etc), ha richiesto lo sviluppo di una dottrina militare, e relative tecnologie, che non sono impiegabili in un conflitto come quello – per fortuna ancora ipotetico – con la Russia, in quanto parliamo di una forza simmetrica alla nostra. Questa situazione ha posto l’attenzione su nuovi tipi di investimenti per un nuovo tipo di difesa. Se prima si investiva in delle soluzioni di controguerriglia, ora invece ci si concentra su veicoli pesanti come carri armati e su munizioni complesse come i missili cruise e le loitering munitions, studiate per ingaggiare bersagli di valore. Tutto questo per affrontare delle armate con capacità quasi uguali alle nostre. 

Lo possiamo vedere già nei saloni della difesa, delle vere e proprie vetrine degli ultimi ritrovati in ambito militare da mostrare ai policy-maker. Proprio qualche settimana fa c’è stata una delle più importanti esposizioni europee, l’Eurosatory 2022, in cui i protagonisti assoluti sono stati mezzi come i carri armati e diversi tipi di trasporti della fanteria, mezzi per una guerra prettamente simmetrica.

Oripo: Questo dovrebbe suggerire un minor impiego di armi a medio-lungo raggio come missili e droni? 

G: Missili e droni sono dispiegati anche nelle guerre simmetriche, ma è l’approccio a cambiare. In una guerra simmetrica il nemico ha la nostra stessa capacità di impiegare questi mezzi in risposta a eventuali attacchi. In guerre come contro l’ISIS o contro la Libia il nostro ruolo era principalmente di supporto e di intelligence, allora l’uso dell’aviazione era centrale. Oggi dobbiamo riconsiderare altri aspetti che erano stati trascurati in questi conflitti.

Tuttavia, non è qualcosa di totalmente nuovo e caratteristico solo del 2022. Già dalle tensioni in Donbass, cresciute ancora di più dall’inizio della pandemia, le industrie militari hanno posto maggiore attenzione sui prodotti necessari per affrontare un conflitto simmetrico.

Oripo: Spostando l’attenzione su un quadro politico più ampio, vorrei menzionare il ruolo della Turchia in questa guerra da quando si è rivelata un player importante nelle negoziazioni. Questa nuova funzione di ponte tra Russia e Occidente potrebbe appianare le divergenze avute in passato con la Nato?

G: La Turchia rimane un partner importante della Nato e dei paesi europei, sia dal punto di vista geopolitico, sia da quello industriale militare. Le industrie italiane hanno buoni rapporti con gli esponenti turchi del settore, collaborano e fanno ricerca insieme.

Il motivo dell’allontanamento, o meglio, delle divergenze ancora presenti tra la Turchia e altri membri dell’Alleanza Atlantica, è l’imbarazzo seguito all’acquisto degli S400 (sistemi di difesa antiaerea a lungo raggio) dalla Russia. In questo periodo, la Turchia ha iniziato a disallinearsi dagli altri membri della Nato e praticare il cosiddetto balancing, ossia collaborare e acquistare armi occidentali ma assicurandosi anche gli armamenti di altre fazioni. Questo è stato visto da molti come un tentativo di avvicinamento alla Russia quando, invece, io lo vedo più come un modo per salvaguardarsi. Ankara è consapevole che in alcuni scenari, come nel nord della Siria in cui combatteva contro i kurdi, avrebbe avuto necessità di diversificare i propri fornitori militari, in modo tale da non rimanerne sprovvista in caso di embargo da parte degli alleati Nato.

Un’altra chiave di lettura dell’acquisto degli S400 è quella di una redenzione per aver abbattuto uno dei caccia russi nel 2015. In questo periodo in cui l’attenzione, dal Medio Oriente, si è spostata verso l’Ucraina, la Turchia è emersa come un mediatore, tuttavia il suo ruolo è del tutto pragmatico e dedicato solo a massimizzare i propri interessi politici e militari. Lo si può notare dalle sue azioni contraddittorie: se da una parte fornisce grandi quantità di armi a Kiev, dall’altra parte non ha partecipato alle sanzioni contro la Russia. Questo conferma che la Turchia è un Paese in cerca di balancing e che vuole mantenere una sua indipendenza geopolitica nonostante la sua appartenenza alla Nato.

Oripo: Quindi spiegherebbe la necessità di balancing anche nel suo veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza Atlantica?

G: Il veto può essere visto da un punto di vista ideologico, in quanto Svezia e Finlandia supportano – in maniera differente –  i curdi e PKK, almeno a detta di Ankara. Tuttavia,  è sicuramente da includere anche un punto di vista più razionale perché impedire l’ingresso dei due Paesi scandinavi nell’Alleanza Atlantica fa acquisire alla Turchia molto potere di negoziazione. Al momento presente, per esempio, gli USA hanno sanzionato Ankara, ma la Svezia e la Finlandia possono essere una moneta di scambio preziosa, per essere reintrodotta in programmi internazionali come quello dello Joint Strike Fighter.

Oripo: Tuttavia rimane improbabile un’espulsione dalla Nato, sebbene il suo comportamento sia orientato a salvaguardare i suoi soli interessi.

G: Assolutamente, la Turchia è un Paese essenziale. Una delle tante motivazioni è che rimane uno dei pochi stati della Nato che  può ancora fare guerre massive. Il processo di “specializzazione” – inteso come aumento di importanza di unità militari specializzate e di elite, a discapito della quantità di truppe impiegabili in un conflitto – delle forze armate non ha coinvolto la Turchia. Ad oggi rimane una potenza regionale capace di schierare un numeroso esercito convenzionale, che fa della quantità di uomini e mezzi un elemento fondante, essenziale per combattere guerre simmetriche.

Oripo: Macron ha parlato all’Eurosatory sottolineando la necessità di rafforzare l’industria militare europea affinché diventi indipendente un domani. Secondo lei, c’è la possibilità di costruire un’industria a livello europeo, oppure ognuno continuerà a essere indipendente e ad avere come unica voce comune la Nato? 

G: Non lo so. E’ plausibile pensare di unificare la difesa europea, soprattutto in una situazione come quella presente, perché sicuramente una voce, un’istituzione, che fa a capo a tutti anche in ambito militare, riesce sicuramente a essere più coerente e spingere tutti verso la stessa direzione. 

Dal punto di vista pratico nascono delle difficoltà. Uno per le differenze dottrinali delle diverse forze armate. Le guerre si combattono in vari modi e ogni Paese ha le proprie strategie, già nell’impiego delle risorse. Come si potrebbe trovare un unico piano di investimenti a livello europeo con tutte queste differenze culturali? La Polonia, tradizionalmente interessata alla superiorità terrestre – affidandosi ad esempio alle forze corazzate – ha poco a che fare con un Paese come l’Italia, i cui maggiori investimenti degli ultimi anni sono andati all’aeronautica e alla marina.

Poi sussiste il problema industriale: alcune delle industrie europee hanno tradizioni decennali, nate poco dopo la Seconda guerra mondiale e sono diventate dei veri e propri gioielli tecnologici. In Italia siamo pieni di giganti della difesa ma anche di piccole e medie imprese che hanno un’esperienza incredibile. È difficile pensare di coordinare con successo questo ecosistema industriale molto competitivo. Secondo, anche qui si rischierebbe di avvantaggiare, direttamente e indirettamente, certe industrie, creando un “corporativismo della difesa” orientato verso prodotti politicamente meglio piazzati. La competitività invece stimola queste imprese a creare i prodotti migliori e sempre più innovativi.

Siamo talmente ricchi di tecnologia, conoscenze e lavoratori specializzati, che modificare l’industria della difesa come la conosciamo oggi potrebbe creare danni.

Oripo: Con queste informazioni alla mano, secondo la sua visione, come si evolverà l’industria nei prossimi 5 anni?

G: Secondo me, a livello italiano avremo un potenziamento delle industrie a livello nazionale, perché anche l’Italia è uno dei Paesi che sta aumentando la spesa della difesa visto il nuovo conflitto simmetrico che si sta affrontando in Ucraina. Le conseguenze ricadranno sulle aziende nazionali che si potenzieranno.

Bisogna vedere come questi potenziamenti andranno a modificare il panorama europeo, dove prevedo che le multinazionali più grandi, come Rheinmetall, MBDA, Thales o Leonardo, riusciranno a prendere la fetta più grande della torta di questi nuovi investimenti. I gruppi che sono attivi in più Paesi hanno sicuramente migliore possibilità di confluire maggiori investimenti verso le proprie aziende e a diversificare i loro prodotti. Nonostante ciò, anche realtà più piccole e molto specializzate, gioveranno dell’aumento dei budget e riusciranno sicuramente a sviluppare le loro capacità.

*Soldati in mimetica, marciano in formazione [crediti foto: Filip Andrejevic via Unsplash]
Chiara Manfredi
Il mondo è troppo vario per avere un solo punto di vista e poche passioni. Laureata in International Relations tra MGIMO e LUISS Guido Carli, sono alla constante ricerca di nuove esperienze per appagare la mia curiosità, che sia dentro un libro o in un viaggio avventuroso.

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