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Ucraina nell’UE: la strada per l’adesione ha più ostacoli di quanto sembri

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Pochi avvenimenti possono compattare le posizioni dei 27 Stati membri dell’UE quanto l’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina. In una dimostrazione di solidarietà senza precedenti, gli Stati hanno deciso all’unanimità di imporre ripetute sanzioni sulla Russia, di accogliere migliaia di rifugiati ucraini – un cambio di rotta dirompente, se considerato alla luce della crisi migratoria del 2015-2016 – e di decidere, per la prima volta nella storia dell’Unione Europea, di inviare armi ad un Paese estero. Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, ha inoltre dichiarato, nei primi giorni di guerra, che “l’Ucraina appartiene all’UE”, e di volere la sua adesione al blocco dei 27. Detto fatto, il giorno dopo Volodymyr Zelensky ha firmato una richiesta formale di adesione all’Unione Europea. Tuttavia, anche se il discorso politico si sta articolando verso quella che sembra essere una imminente apertura al 28esimo Stato, alcuni fattori strutturali potrebbero rendere le cose più complicate.

La via per l’adesione all’UE, e il percorso dell’Ucraina

La prima ragione riguarda il diritto dell’Unione Europea. L’Unione è regolata da uno stringente principio di attribuzione: ciò significa, in parole povere, che tutto ciò che può – e non può – fare dev’essere previsto dai Trattati. Allo stesso tempo, il Trattato sull’Unione Europea (TUE) ed il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) – i due trattati principali su cui si regge, ad oggi, l’Unione – indicano anche le procedure e i criteri che devono essere soddisfatti nello svolgimento delle sue funzioni. L’adesione di nuovi membri, nello specifico, è regolata dall’Articolo 49 TUE. In sintesi, la disciplina prevede che l’ammissione di ogni Stato membro debba rispettare una procedura che richiede l’unanimità degli Stati sia in Consiglio, sia nelle ratifiche dei singoli trattati di adesione del nuovo Stato da parte dei 27 membri (secondo le rispettive norme costituzionali). Ciò significa che ogni singolo Stato può esercitare per due volte il potere di veto: sia nelle decisioni del Consiglio (che, nella prassi, vengono prese dal Consiglio europeo, in cui interloquiscono i capi di Stato e di Governo); sia nella ratifica del trattato di adesione del nuovo Stato. In questo modo, è sufficiente che uno Stato membro non ratifichi il trattato con cui l’Ucraina aderisce all’UE, per bloccare l’intero processo: considerando la pluralità di voci ed opinioni che compongono l’Unione, non si tratta di una possibilità remota.

Inoltre, ogni Stato, per ottenere lo status di candidato, deve rispettare i cosiddetti “Criteri di Copenaghen”. Si tratta di criteri che indicano l’adeguatezza di un aspirante membro al diritto e alle istituzioni europee, ovvero: forti istituzioni in grado di garantire la democrazia e lo Stato di diritto (criterio politico), un’economia di mercato funzionante in grado di competere sul mercato unico europeo (criterio economico), e l’abilità di soddisfare le obbligazioni derivanti dalla membership e l’implementazione del diritto europeo (criterio giuridico). Un ruolo fondamentale, nel vigilare ed accompagnare gli Stati verso il rispetto di questi criteri, è svolto dalla Commissione.

Proprio la Commissione, il 17 giugno 2022, ha presentato un parere in cui sostiene che l’Ucraina (e, con essa, anche Georgia e Moldavia) rispetti tali criteri, sottolineando però come ci siano ancora ulteriori riforme da intraprendere. Lo status di candidato, poi, è stato effettivamente attribuito ad Ucraina e Moldavia in una votazione del Consiglio europeo, il 23 giugno, superando l’ostacolo della prima unanimità degli Stati. La domanda da porsi, in questo caso, è quanto considerazioni di carattere politico abbiano pesato nel giudizio complessivo: chiedersi, cioè, se nel caso la guerra non fosse scoppiata, il giudizio sarebbe stato lo stesso, o se questo serva soprattutto a mandare un messaggio di solidarietà verso l’Ucraina, e di posizionamento internazionale, contro la Russia. La risposta, in questo caso, sembra essere affermativa. La stessa Ursula von der Leyen, in un tweet, ha ribadito che la decisione “rafforza Ucraina, Georgia e Moldavia di fronte all’imperialismo russo”; Macron ha sottolineato che la decisione avrebbe mandato “un segnale forte contro la Russia nell’odierno contesto geopolitico”. Alcuni diplomatici europei, riporta la BBC, si sono spinti oltre, sostenendo che attribuire lo status di candidato significava “dare false speranze”.

In secondo luogo, va considerata la situazione in Ucraina, ed il suo reale avvicinamento ai Criteri di Copenaghen. Nonostante fossero state intraprese riforme in direzione di un’economia di mercato emergente, l’Ucraina era, ancora prima della guerra, il Paese più povero d’Europa (per PIL pro capite), e la sua economia aveva problemi significativi da prima dell’invasione, che rendevano difficile sostenere la concorrenza nel mercato unico europeo. Ancora più importante, l’Ucraina era, secondo diversi osservatori, il Paese più corrotto d’Europa. La corruzione è un enorme ostacolo alla costruzione di istituzioni funzionanti in grado di assorbire il corpus di leggi europee, ed è una barriera significativa, nel lungo periodo, all’integrazione nel complesso apparato burocratico dell’Unione.

Fattori politici interni all’UE

Questo porta alla seconda ragione, di natura politica. L’Unione Europea ha i suoi problemi interni dovuti al mancato rispetto delle norme europee e dello Stato di diritto da parte di alcuni Stati membri; l’Ungheria e la Polonia, ad esempio, hanno entrambe adottato misure per limitare l’indipendenza delle loro Corti Costituzionali, e hanno cercato di bloccare l’attuazione del meccanismo di condizionalità che vincola il pagamento dei fondi europei al rispetto dello Stato di diritto. Lo scorso ottobre, la Corte Costituzionale polacca ha addirittura affermato la supremazia delle leggi polacche su quelle europee, minando così uno dei principi fondamentali dell’acquis dell’Unione. Purtroppo, i Trattati prevedono una sola procedura per affrontare le violazioni dello Stato di diritto all’interno di uno Stato membro (all’Articolo 7 del TUE), mentre per tutte le altre è richiesta l’unanimità: poiché le violazioni provengono da due Stati, questi possono farsi scudo l’un l’altro nel voto, paralizzando l’azione dell’intero blocco. In questo clima, gli Stati UE dovrebbero schierarsi a favore dell’adesione dell’Ucraina, consapevoli della corruzione del Paese, della fragilità della sua democrazia – dovuta anche alle interferenze russe nella politica – e del rischio, quindi, che nel lungo periodo nel nuovo membro possa crearsi una situazione simile a quella dell’Ungheria e della Polonia.

Infine, c’è una terza ragione pratica. Se l’Ucraina entrasse nell’UE a guerra ancora in corso, dovrebbe entrare in vigore la “clausola di mutua difesa” (all’Articolo 42.7 TUE), in base alla quale gli Stati membri dovrebbero aiutare un membro sotto attacco “con tutti i mezzi in loro possesso”. Ciò significherebbe provocare una pericolosa escalation tra potenze nucleari, un rischio che sia la NATO che l’UE stanno cercando di prevenire (infatti, pur imponendo sanzioni e fornendo armi, i Paesi occidentali stanno evitando un sostegno militare diretto, che potrebbe espandere il conflitto oltre l’Ucraina). Questo scenario suggerisce che, anche qualora si incontrasse la decisiva volontà politica per un’effettiva adesione – che vada, quindi, oltre la mera attribuzione dello status di candidato, ed il segnale politico derivante – questa è subordinata al termine delle ostilità, e rilancia l’attenzione a quanto accade sul campo di battaglia.

Guerra e sviluppi futuri

A margine del discorso, infine, va ribadito che è sempre difficile prevedere gli esiti di una guerra. Il processo di adesione all’Unione Europea richiede tempo: l’Albania, a cui lo status venne concesso nel 2014, è ancora in attesa di passare alle fasi successive, e nulla esclude che lo stesso possa succedere all’Ucraina. Tuttavia, non deve essere sottovalutato l’impatto che hanno le narrazioni nell’influenzare opinioni pubbliche e scelte politiche. Se da un lato, infatti, i motivi elencati sopra fanno propendere verso uno scetticismo sulle reali possibilità per l’Ucraina di aderire all’Unione Europea, perlomeno in tempi brevi, dall’altro lato altre forze spingono in direzione opposta. In particolare, il racconto della resistenza del popolo ucraino, amplificato dai media giorno per giorno, ha una carica dirompente in un blocco che ha fatto di valori come pace, giustizia e democrazia, il suo elemento fondativo. Se a questo si aggiunge che l’aggressore è un regime non democratico, che aspira a schiacciare un governo democraticamente eletto, e che, per di più, è visto in molte parti d’Europa come minaccia strategica, si hanno gli ingredienti per costruire una narrazione che giustifichi scelte fuori dall’ordinario. A condizione, ovviamente, che la guerra prenda una certa direzione. Ma questo, solo il tempo potrà dirlo.

 

*crediti foto: Just Click’s With A Camera via Flickr [Public Domain]
Andrea Montanari
Classe ‘00. Nato nella città di Leopardi, cresciuto in quella di Fabri Fibra, finito a scrivere di politica internazionale su OriPo per ironia della sorte. Attualmente studio relazioni internazionali in triennale alla Cattolica di Milano, nel futuro chissà. Da grande -perché a vent’anni si può ancora dire- sogno le istituzioni internazionali, per lasciare il mondo, almeno nel mio piccolo, migliore di come l’ho trovato. Inguaribile idealista, se non si fosse capito.

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