Storia di un’istituzione giovane
La Corte penale internazionale (Cpi) – con sede a L’Aia, Paesi Bassi – nasce ufficialmente nel 2002, dopo la ratificazione di 60 Paesi firmatari. I negoziati e la stesura della Carta costituzionale della corte, lo Statuto di Roma, iniziarono nel 1998, proprio nella capitale del Bel Paese. Già dal principio si rivelò un compito arduo. Di fatti, mettere d’accordo una centinaia di stati sovrani sulla creazione di una corte penale internazionale permanente che fosse indipendente, è stato estremamente difficile. Non sorprende che molti Paesi come Russia, Usa e Cina non abbiano ratificato lo statuto.
L’idea dell’istituzione di una corte che trattasse di crimini di guerra e contro l’umanità aleggiava già da anni. Infatti, solo l’Onu aveva creato dei tribunali ad hoc per la Jugoslavia (ICTY) e per il Ruanda (ICTR), per perseguire i crimini – genocidio, sopra a tutti – compiuti nelle rispettive regioni.
Ad oggi, la CPI comprende 124 Stati membri. Ci sono state anche le prime ritrattazioni: il Burundi e le Filippine di Duterte (in seguito all’inizio della guerriglia contro il traffico di droga, che aveva destato preoccupazioni a L’Aia) hanno infatti cessato i rapporti con la Cpi, rispettivamente nel 2017 e nel 2019.
Struttura della Cpi
La Corte penale internazionale è formata da 4 organi principali: la Presidenza, le Camere, l’Ufficio del procuratore e la Cancelleria (Registry). Innanzitutto, però, c’e l’Assemblea degli Stati membri che ha il compito di eleggere i giudici, il presidente e il procuratore. Si tiene una volta all’anno e supervisiona i lavori della Cpi.
La Presidenza e le Camere
La Presidenza (formata dal presidente e due vice-presidenti) si occupa di gestire l’amministrazione e rappresenta l’istituzione nel mondo. Le Camere invece sono formate da diciotto giudici, inclusi i tre della Presidenza. Le Camere si dividono in Pre-Trial Chamber, Trial Chamber e Appeals Chamber. La prima si occupa di seguire i lavori preliminari dell’Ufficio del procuratore e di giudicare l’ammissibilità dei vari casi. La seconda si occupa del vero e proprio processo e di condannare o meno gli imputati. L’ultima invece è la Corte d’appello a cui le parti del processo possono rivolgersi per chiedere la revisione delle decisioni.
L’Ufficio del procuratore
Parte fondamentale della Corte è l’Ufficio del procuratore (OTP). Esso è indipendente e dirige le indagini, guidate per l’appunto dal procuratore, eletto ogni 9 anni. Ad oggi, si sono susseguiti solo due procuratori: l’argentino Luis Moreno Ocampo e la gambiana Fatou Bensouda. I possibili casi possono essere portati all’attenzione dell’OTP – e della Corte – principalmente in tre modi:
- Richiesta di uno Stato membro della CPI (per esempio Congo, Uganda);
- Richiesta da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu (per esempio i casi di Darfur e Libia), anche in territori dove la Corte non ha giurisdizione;
- Investigazione motu proprio del procuratore (per esempio Afghanistan, Kenya e Bangladesh/Myanmar) (articolo 15 bis).
La Cancelleria
La Cancelleria si occupa di tutto l’aspetto di segreteria, comunicazione e gli aspetti più burocratici della Cpi. È importante anche la relazione che hanno con le associazioni delle vittime, per cui è riservato un fondo di compensazione per i danni subiti. Nel 2019, l’Assemblea degli Stati membri ha approvato un budget di 150 milioni di euro circa per l’operato della Cpi, in continua crescita ogni anno.
Lo Statuto di Roma
Come recita lo Statuto di Roma, la missione della Cpi è mettere una fine all’impunità dei responsabili dei crimini definiti dalla Corte e di prevenire che certi atti vengano compiuti in futuro.
I quattro crimini che la Corte vuole perseguire e condannare sono: genocidio (articolo 6); crimini contro l’umanità (articolo 7); crimini di guerra (articolo 8); crimini di aggressione (articolo 8 bis). Essi vengono definiti estensivamente nello Statuto, per cercare di ampliare il raggio di ammissibilità dei vari casi.
La singolarità della Cpi può essere riassunta in tre peculiarità. Innanzitutto, la Corte è una istituzione internazionale indipendente. Ciò comunque è vero in parte, poiché il Consiglio di sicurezza (UNSC) può impedire alla Corte di continuare il suo operato, se viene messa a rischio la stabilità e la pace internazionale. Vale anche il contrario per cui l’UNSC può riferire un caso alla Cpi, di fatto indirizzando i suoi lavori.
Secondo, è importante sottolineare che la Corte agisce in un ruolo di complementarietà: essa interviene solo se gli Stati coinvolti non sono in grado di condurre indagini e processi in modo equo e autonomamente. Quindi, la Cpi subentra per riempire il vuoto domestico.
Infine, bisogna ricordare che la Cpi svolge processi contro individui e non contro gli Stati. Questo la differenzia dalla Corte internazionale di giustizia (ICJ) dell’Onu, che si occupa di risolvere conflitti tra Stati membri e non tra individui.
La Corte penale internazionale oggi
Nel grafico sottostante, è possibile osservare il numero di indagini avviate dal 2002 nelle varie regioni del mondo. L’Africa sub-sahariana è la regione con più indagini in corso, ma anche quella con più Stati membri.
Al momento sono in corso nove indagini preliminari (Colombia, Palestina ecc.) e tredici situazioni ufficialmente sotto investigazione (la Pre-Trial Chamber ha concordato l’ammissibilità), tra cui gli eventi in Afghanistan e Bangladesh/Myanmar, di cui abbiamo già scritto.
Ad oggi, sono stati condannati otto individui, la maggior parte dei quali coinvolti nei fatti della Repubblica Democratica del Congo, mentre ne sono stati assolti quattro. Sono inoltre stati rilasciati 35 mandati di arresto, ma solo 17 di essi si trovano detenuti presso le prigioni della Cpi a L’Aia. Quattordici imputati si trovano attualmente a processo.
Gli ultimi 20 anni della Corte penale internazionale
La Cpi è stata oggetto di critiche fin dalla sua nascita. Durante i negoziati per la stesura dello Statuto di Roma, il dibattito fu tanto acceso che la definizione del crimine di aggressione è stata approvata solo nel 2010, e al momento solo trentanove degli Stati membri hanno già ratificato l’emendamento.
Una Corte anti-africana
Una delle critiche più ricorrenti è quella per cui la Cpi ha principalmente indagato e condannato individui di Stati africani. Il gruppo degli Stati africani aveva anche minacciato di recedere dalla Cpi. Come già visto nel grafico, il numero di indagini nell’Africa sub-sahariana è effettivamente il più alto. Non a caso, l’Assemblea degli Stati membri ha eletto Bensouda, una giurista africana, come nuovo procuratore.
Una Corte con due pesi
Inoltre, le situazioni che la Cpi ha affrontato sono nella maggior parte conflitti interni e domestici. Infatti, per esempio, la Cpi non è mai andata oltre delle indagini preliminari per quanto riguarda la questione palestinese, mentre in casi come il Congo si è arrivati a condanne ufficiali. D’altronde, la possibilità di ottenere un successo è più alto nel secondo caso, poiché la collaborazione tra la Cpi e lo Stato coinvolto è effettivamente presente e la capacità di raccogliere prove incriminanti determinanti più facile e non ci sono complesse dinamiche internazionali in cui inserirsi, senza il rischio di prendere determinate posizioni.
Tuttavia, le critiche riguardano anche questo ragionamento, poiché sottintende considerazioni di politica internazionale: la Cpi agirebbe solo in casi facili, mentre non affronterebbe situazioni più complesse. La Cpi ne è consapevole, tanto che il presidente Eboe-Osuji ha affrontato il problema del portare giustizia in un ambiente estremamente politicizzato durante una lezione tenuta presso l’Università de L’Aia. Il giudice nigeriano sostiene che la linea che divide politica da giustizia internazionale sia sottile, soprattutto per quanto riguarda crimini come il genocidio, che non sono prescindibili da ragionamenti politici. Ciò, pero, non dovrebbe fare da deterrente per il procuratore nel suo tentativo di portare giustizia, senza però cadere in indagini di parte, nel pieno rispetto della dottrina della separazione dei poteri.
Una corte inefficiente
Ci sono state anche critiche per quanto riguarda il rapporto tra costi e benefici. Infatti, la prima condanna ufficiale è arrivata solo dopo una spesa di quasi un miliardo di euro. I difensori della Cpi sostengono però che sia una critica superficiale, che non tiene conto della difficoltà incontrate nei primi 20 anni, a partire dalla collaborazione con gli Stati membri (per esempio, la Cpi non ha una propria forza di polizia).