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L’Afghanistan e la Corte penale internazionale

Tempo di lettura stimato: 5 min.

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Il 5 maggio 2020, la Corte d’Appello della Corte Penale Internazionale dell’Aia (CPI) ha accolto il ricorso del Procuratore Fatou Bensouda in merito alle indagini iniziate in Afghanistan. La giurista gambiana aveva infatti chiesto l’emendamento della decisione della Camera Preliminare di non autorizzare il proseguimento di un procedimento ufficiale. Dopo più di 10 anni dall’inizio delle investigazioni preliminari, sembra essersi aperto uno spiraglio di luce in una situazione tutt’ora oscura e complessa.

Un conflitto decennale

La Repubblica Islamica dell’Afghanistan è teatro di sanguinosi conflitti internazionali e interni dal 2001. Quell’anno, gli Usa decisero di iniziare una guerra attiva contro i gruppi terroristici islamici che si erano macchiati degli attentati dell’11 Settembre. Al-Qaeda e il leader Osama Bin Laden si erano infatti rifugiati in Afghanistan, accolti dai mujaheddin talebani, al potere dalla fine degli anni ’90.

Ad oggi, i civili rimasti vittime della guerriglia continua ammontano a centinaia di migliaia. Secondo l’ultimo rapporto del 2019 della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama), solo nello scorso anno è stata riportata la morte di 3.403 cittadini, causata nella maggior parte da ordigni esplosivi improvvisati.

La CPI approda in Afghanistan

La Cpi è un tribunale – indipendente dall’Onu – che si prefigge di perseguire crimini contro l’umanità, genocidio e crimini di guerra. La Corte è stata istituita nel 2002 e si basa sullo Statuto di Roma, ratificato ad oggi da 123 Paesi nel mondo.

Nel 2007, l’allora Procuratore Luis Moreno-Ocampo annunciò di aver iniziato, motu proprio, delle indagini preliminari in merito alla situazione afghana, in seguito alle richieste ricevute presso la Corte da parte di organizzazioni locali e cittadini. L’Afghanistan aveva infatti ratificato il “contratto” con l’Aia nel 2003, dando alla Cpi la capacità di investigare gli atti compiuti sul territorio. Gli inquirenti iniziarono così a raccogliere informazioni sensibili e incriminanti che riguardavano le azioni sia delle forze filo-governative che di quelle anti-governative.

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Un convoglio dell’Armata Nazionale Afghana (ANA) alle prese con il disinnescamento di un dispositivo esplosivo.

Richiesta a procedere e prima sentenza 

Nel 2017, un fascicolo di oltre ventimila pagine arrivò nelle mani della Camera Preliminare, organo che ha l’incarico di giudicare l’ammissibilità di una investigazione. Fatou Bensouda richiedeva così l’autorizzazione a iniziare una indagine ufficiale. Le prove raccolte riguardavano i Talebani, l’Armata Nazionale Afghana (Ana), l’esercito statunitense, l’intelligence americana (Cia) e anche le forze Nato partecipanti nel conflitto. Ecco di seguito i crimini apparentemente commessi da soggetti appartenenti a quegli schieramenti:

  • Crimini contro l’umanità: omicidio, prigionia e altre privazioni gravi della libertà fisica e stupro sistematico;
  • Crimini di guerra: omicidio, trattamento crudele degli ostaggi, oltraggio alla dignità umana, processi sommari, attacco intenzionale contro civili e blocco di missioni umanitarie.

L’elenco è lungo e riguarda anche potenze occidentali, in primis gli Usa. Washington non ha ratificato lo Statuto di Roma e ha sempre rigettato, più o meno esplicitamente durante gli anni, il raggio d’azione della Corte. Ciò nonostante, le azioni delle forze americane sul territorio afghano si possono indagare in quanto compiute in un territorio di giurisdizione della Cpi.

 

Presa al vaglio la richiesta del Procuratore, il 12 Aprile 2019, la Camera Preliminare della Cpi annunciò di non ammettere l’inizio di investigazioni ufficiali poiché “non avrebbero servito gli interessi della giustizia”. Fatou Bensouda e i rappresentanti legali delle vittime non accolsero la decisione in modo positivo e si rivolsero alla Camera d’Appello della Cpi per una revisione. Secondo loro, le prove erano ammissibili e la Camera Preliminare non aveva giustificato in modo soddisfacente la sua scelta.

Pressioni internazionali

La Cpi è una istituzione indipendente, ma è pur sempre collocata in un contesto internazionale, fatto di Stati sovrani guidati dai propri interessi. È importante quindi prendere in considerazione anche quello che accade al di fuori degli uffici dell’Aia.

Nel marzo 2019, un mese prima della decisione della Camera Preliminare, il Segretario di Stato americano Michael Pompeo aveva minacciato la revoca dei visti per alcuni ufficiali della Cpi. In più, gli Usa sarebbero stati pronti ad attuare ulteriori misure, se la Cpi avesse continuato con le investigazioni, tra cui sanzioni economiche. Qualche settimana dopo, Washington rispettò le promesse e revocò il visto anche al Procuratore Bensouda.

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Mike Pompeo assieme a un soldato arruolato in Afghanistan

Gli Usa hanno sempre criticano l’eccessiva intromissione della Cpi in affari di Stato, che dovrebbero secondo loro rimanere di competenza domestica. Continuare le indagini in Afghanistan avrebbe comportato necessariamente la riapertura del conflitto aperto tra le due istituzioni. Bisogna sottolineare che la Cpi, per condurre le proprie indagini, ha bisogno della collaborazione degli Stati nazionali, che qui sarebbe evidentemente mancata. Per esempio, la Corte non ha una propria forza di polizia e deve quindi rivolgersi agli Stati membri per i mandati di arresto. Per questo, la decisione di aprile della Camera Preliminare non è del tutto inspiegabile.

Dietrofront della CPI

Sorprendentemente, la Camera d’Appello della Cpi ha accolto il ricorso del Procuratore, rendendo così ufficiale l’inizio del processo, poiché “ci sono basi ragionevoli per credere che siano stati commessi dei crimini sotto la giurisdizione della Corte”. Questa decisione ha rimescolato le carte in tavola e ha aperto uno spiraglio di speranza per tutte le vittime che si erano rivolte alla Corte.

Questa notizia è estremamente importante, anche per la Cpi stessa. Innanzitutto, si tratta di una presa di posizione su un conflitto estremamente insidioso. Esso è paragonabile alla situazione palestinese, dove la Corte non sembra ancora intenzionata a continuare con le indagini preliminari. La CPI prova quindi ad affrontare un caso internazionalmente rilevante con molti attori coinvolti, uscendo dalla propria comfort zone, in cui sembrava essersi rinchiusa.

In secondo luogo, la Corte indagherà per la prima volta sulle azioni di eserciti di potenze mondiali come gli Usa e i suoi alleati Nato. Mai prima d’ora, individui cittadini di tali Paesi sono stati oggetto di investigazioni ufficiali internazionali di natura penale.

Prospettive future in Afghanistan

La strada è ancora lunga e potrebbe risolversi in un nulla di fatto. Tuttavia, questa decisione è di per sé un passo enorme per una Corte che ancora deve difendersi da attacchi esterni alla propria efficienza e legittimità. Per esempio, quello di perseguire solo crimini commessi in Africa, luogo di provenienza degli unici individui dichiarati colpevoli fino ad ora.

Ora, le aspettative di tutte le vittime afghane e delle organizzazioni che si battono per loro sono alte. In più, avremo modo di osservare se un effettivo processo della Cpi riuscirà a ricucire il tessuto di una società dilaniata da anni di guerriglie e instabilità.

Giovanni Polli
Nato a Vicenza nel '99. Sono uno studente di scienze politiche presso l'Università Bocconi. Oltre ad essere un appassionato di politica, sono un vorace consumatore di musica; probabilmente sono l'unico a comprare ancora CD. In Veneto ho sviluppato anche un'altra delle mie più grandi passioni: lo spritz, rigorosamente a tre euro!

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