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Lockdown e plastica: così è cresciuto l’inquinamento

Tempo di lettura stimato: 5 min.

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Articolo pubblicato per Business Insider Italia

Right here, right now”. Greta Thunberg e i suoi Fridays for Future non lasciano spazio per i fraintendimenti: prima che sia troppo tardi, è ora di agire per l’ambiente.

A partire dagli anni cinquanta, la produzione mondiale annua di plastica ha subito un sostanziale (e preoccupante) incremento, passando dai 1,7 milioni di tonnellate nel 1954 agli oltre 310 attuali

Sebbene i metodi di smaltimento della plastica siano cambiati nel tempo, questi sforzi non sembrano sufficienti: solo il 9% dei rifiuti di plastica prodotti tra il 1950 e il 2015 è stato riciclato. A peggiorare la situazione, l’arrivo della pandemia di Covid-19 ha inevitabilmente portato ad un incremento del consumo di plastica che potrebbe avere conseguenze drammatiche. 

La situazione prima della pandemia

Secondo quanto affermato da Stefano Aliani, ricercatore in Italia per l’Ismar-Cnr, il problema maggiore non riguarda tanto la produzione ed il relativo consumo di plastica in sé, bensì lo smaltimento della stessa. A ragion di ciò, un problema rilevante è rappresentato dai rifiuti di plastica smaltiti in modo inadeguato, ossia gestiti attraverso discariche aperte e non controllate che rischiano di contaminare l’ambiente, in particolare gli oceani. L’analisi condotta da Jambeck et al mostra un confronto tra i Paesi con la maggiore quota di produzione di rifiuti plastici mal gestiti per l’anno 2010 e predispone una proiezione per l’anno 2025.

 

Il quadro futuro non si discosta molto da quello passato: il Paese in testa alla classifica resta sempre la Cina e, nel complesso, l’Asia orientale e il Pacifico mantengono circa il 60% del totale. Si può quindi dedurre che i Paesi sviluppati, pur essendo i maggiori produttori di rifiuti di plastica, riescono al contempo a gestirne meglio lo smaltimento. Pertanto le principali fonti di inquinamento globale della plastica sono i Paesi a medio e basso reddito i quali, a causa della mancanza di sistemi di gestione dei rifiuti plastici, non hanno la possibilità di smaltirli in modo efficiente.

Prima dell’avvento della pandemia di coronavirus, molti Stati avevano intrapreso un’azione concertata per ridurre il consumo di plastica e migliorarne lo smaltimento, coadiuvati in primo luogo dal report dell’Onu Single-use Plastics: A Roadmap for Sustainability, che fornisce agli Stati dei riferimenti per un’efficace elaborazione di politiche pertinenti, in particolare per quanto concerne l’utilizzo di materie plastiche monouso. Tra le misure che andrebbero adottate ci sono miglioramenti nei sistemi di gestione dei rifiuti, la promozione di alternative eco-friendly e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica

A livello europeo, il Parlamento ha approvato nel 2019 una direttiva che vieta entro il 2021 l’utilizzo di articoli di plastica monouso quali piatti, posate, cannucce e bastoncini cotonati. Si tratta di un importante passo avanti che mira a responsabilizzare i singoli Stati membri verso un problema comune. In Italia questo sforzo si è concretizzato con la Plastic Tax introdotta dalla legge di Bilancio 2020. Dopo alcune modifiche, la tassa sui materiali plastici è stata ridotta a 45 centesimi al chilogrammo, invece dell’euro al chilo previsto inizialmente. 

In una nota positiva, prima della pandemia i numeri relativi ai materiali biosostenibili indicavano una crescita sostanziale: secondo un report di Assobioplastiche, in Italia si è registrata una crescita della produzione delle bioplastiche pari all’86% nel quinquennio 2012 – 2017, mentre  secondo le stime di un altro studio pubblicato nel 2019 entro il 2026 la produzione dovrebbe aumentare di un ulteriore 26% a livello globale. 

Perché l’improvviso aumento di plastica?

Dall’inizio della pandemia, i progressi fatti verso la riduzione dell’uso della plastica hanno subito un brusco arresto. L’improvvisa necessità di mascherine e altri dispositivi igienici ha causato un’impennata della produzione di materiali plastici non biodegradabili, portando a una crescita dei valori della manifattura. Ciò è accaduto ad esempio in Germania, dove due colossi della plastica, Ineos Styrolution e Trinseo SA, hanno notevolmente incrementato il loro fatturato nell’ultimo periodo. La massiccia produzione di plastica è stata coadiuvata anche dal calo del prezzo del petrolio, parte essenziale dei polimeri che compongono le materie plastiche. Ad oggi costa molto meno produrre nuove plastiche piuttosto che riciclare quelle vecchie: ad aprile i produttori di petrolio hanno registrato un annullamento della domanda come conseguenza della pandemia globale e il prezzo di vendita ha raggiunto anche valori sotto la soglia dello zero.

Ma non sono soltanto mascherine e guanti a preoccupare gli ambientalisti. La tendenza da parte dei consumatori a preferire ortaggi e frutta confezionata piuttosto che sfusa, già in crescita negli ultimi anni, è stata ulteriormente riconfermata durante i mesi di lockdown e successivi. Le persone non si fidano di mangiare ciò che altri potrebbero aver toccato, perciò sono portate a scegliere alimenti confezionati

Inoltre, durante il lockdown, sono stati in tanti a ordinare cibo da asporto e fare acquisti online. Con la chiusura di ristoranti e negozi, i colossi del food delivery e dell’e-commerce hanno registrato una moltiplicazione dei profitti e delle vendite. Negli Stati Uniti ad esempio le vendite di UberEats sono cresciute del 54% nel primo trimestre dell’anno. In Italia, circa il 15% delle imprese di ristorazione tradizionale e gastronomica ha effettuato consegne a domicilio durante la pandemia, mentre prima dell’avvento del virus solo il 5% offriva questo servizio. Ma secondo il Thailand Environment Institute, ogni ordine di food delivery darebbe origine a 5 prodotti di scarto, tra confezioni, posate e fazzoletti, molti di questi di plastica. Per quanto riguarda gli acquisti online, basta pensare che Amazon a marzo ha registrato un aumento del 65% del numero di clienti che hanno visitato il sito rispetto a marzo 2019. 

Le associazioni ambientaliste lanciano già l’allarme per il ritorno alla plastica monouso. Oggi, a sei mesi dall’inizio della pandemia, gli oceani e i mari sono costellati di mascherine e guanti. L’associazione francese Opération Mer Propre ha scoperto nel Mediterraneo la presenza di dozzine di dispositivi igienici monouso. OceanAsia, presso le isole Soko di Hong Kong ha trovato settanta mascherine sparse su una spiaggia lunga solo cento metri. Non ci sono ancora numeri che permettano di quantificare la reale presenza di questi dispositivi nei mari, soprattutto perché crescono velocemente. Quello che bisogna tenere a mente però è il danno che ogni singolo rifiuto può causare all’ambiente: si stima che una mascherina chirurgica si conservi per 450 anni. Gli oceani già prima del 2020 erano tra i principali punti di accumulo dei rifiuti di plastica: nel 2018 si è stimato che il Pacific Trash Vortex, la più grande area di accumulo di rifiuti nell’oceano del mondo che si trova nell’Oceano Pacifico, contenesse tra le 80mila e le 100mila tonnellate di spazzatura. 

Una speranza per il futuro

Anche se oggi il ritorno a un considerevole uso di plastica spaventa, sembra ancora troppo presto per fare previsioni pessimistiche in merito al suo impatto a lungo termine sul sistema economico globale e sull’ambiente. Secondo un report di Bloomberg infatti, gli effetti del repentino aumento di produzione e dell’utilizzo della plastica non sono altro che temporanei e non influenzeranno il lungo periodo. La questione rimane aperta. Molto dipenderà dalla durata della pandemia e dai comportamenti che adotteranno i singoli governi per far fronte a questa delicata situazione.

Testo a cura di Sofia Sacco e Martina Mazzini

Redazione
Orizzonti Politici è un think tank di studenti e giovani professionisti che condividono la passione per la politica e l’economia. Il nostro desiderio è quello di trasmettere le conoscenze apprese sui banchi universitari e in ambito professionale, per contribuire al processo di costruzione dell’opinione pubblica e di policy-making nel nostro Paese.

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