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Il muro di gomma dell’Australia respinge l’immigrazione

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La società australiana è fortemente multiculturale: come riportato da Sbs, quasi un terzo della popolazione è nata all’estero. In questa percentuale si rintraccia un trend storico e costante: l’immigrazione in Australia. Secondo uno studio del Parlamento australiano, dal 1945 si sarebbero stabiliti più di 7 milioni di persone, tra cui 800mila rifugiati. Negli ultimi vent’anni, però, il Paese sta portando avanti politiche al fine di limitarne il flusso.

I numeri dell’immigrazione in Australia

Dai dati del Dipartimento di Immigrazione, tra il 2019 e il 2020 l’Australia ha accolto 153mila immigrati in maniera permanente, di cui 13mila (8% del totale) rifugiati, in linea con gli anni precedenti. Come evidenziato dalla BBC, negli ultimi due decenni l’Australia ha accettato un numero costante di profughi, tra i 12 e 13mila annuali.

Per essere accettati in Australia i migranti devono possedere un visto. Al contrario, per coloro che raggiungono il Paese e ne sono sprovvisti viene disposto un regime di permanenza obbligatoria, nell’attesa della verifica delle condizioni per procedere eventualmente al rimpatrio. Non sarà inoltre per loro possibile richiedere un visto permanente, bensì solo un Visto di Protezione Temporanea (TPV) di tre anni o un Visto Porto Sicuro (SHEV), da rinnovare in seguito.

Al fine di ricevere lo status di rifugiato, secondo il diritto internazionale un richiedente asilo deve dimostrare di avere una fondata paura di persecuzione per motivi di “etnia, religione, nazionalità, appartenenza ad un gruppo sociale od opinione politica”. Come riportato dalla Croce Rossa Australiana, il numero di richiedenti asilo in Australia è basso rispetto ad altri Paesi, e allo stesso modo i rifugiati. Nel 2017, dei quasi 2 milioni di domande a livello globale, solo 36,200 (2% del totale) sono state fatte in Australia, di cui 23,111 accettati.

I rifugiati

I richiedenti asilo arrivano principalmente dall’Iraq, dalla Siria, l’Afghanistan, il Myanmar, Bhutan e la Repubblica Democratica del Congo. In contrasto con l’immaginario comune, la maggior parte di coloro cercano protezione in Australia raggiunge il Paese per via aerea. Il numero di persone che viaggiano su barche non autorizzate è molto più basso rispetto ad altre zone del mondo, come l’Europa. Il picco si è verificato nel periodo 2012-2013, in cui gli arrivi marittimi irregolari (IMA) hanno rappresentato il 68.4% dei totali, per poi aggirarsi di nuovo tra il 40 e 50% negli anni successivi.

Le politiche migratorie australiane

Negli ultimi due decenni la politica migratoria si è inasprita, sotto il supporto dei due maggiori partiti australiani, la coalizione Nazionale liberale e il Labor Party. Secondo la BBC, la posizione sarebbe addirittura “di stampo razzista” e danneggerebbe “la reputazione dell’Australia”.

In seguito agli attacchi dell’11 settembre e anche al moltiplicarsi di sbarchi non autorizzati, l’Australia decise di emendare il Commonwealth Migration Act con la Pacific Solution. La riforma aveva l’obiettivo di disincentivare l’arrivo dei rifugiati in Australia, in particolare escludendo l’Isola di Natale e Ashmore Reef dal territorio australiano sottoposto alla Convenzione sui rifugiati. Coloro che arrivavano nei territori dovevano quindi prima passare nel centro di detenzione dell’Isola di Natale e in seguito nei centri di smistamento della Nuova Papua Guinea e dell’Isola di Nauru, per poi seguire un lungo processo che li avrebbe autorizzati a spostarsi in Australia. In questo modo, il governo poteva contare sui centri per trattenere i profughi a tempo indeterminato finchè non fossero state analizzate le loro richieste di asilo.

Dopo una chiusura di pochi mesi, il centro dell’Isola di Natale ha riaperto nel febbraio 2019 col governo Morrison. La decisione è stata fortemente criticata. In primis, il sindaco dell’isola ha ribadito come non sia mai stato provveduto trattamento medico ai detenuti, compito del governo nazionale. Ma è anche il coordinatore internazionale di Amnesty per i profughi in Australia, Graham Thom, a schierarsi contro questa linea, secondo cui “riaprire l’Isola di Natale non è nient’altro che una crudele ed innecessaria trovata politica”.

Le critiche degli attivisti

Le gravi condizioni sanitarie dei centri di detenzione australiani sono state denunciate da molteplici agenzie ed attivisti. Amnesty International ha accusato il governo di “sottoporre richiedenti asilo e rifugiati a un complesso e crudele sistema di abusi, contrario al diritto internazionale”. Il campo di Nauru è stato definito una “prigione a cielo aperto”, luogo di torture accertate. Il Consiglio dei Rifugiati di Australia ha però dichiarato che attualmente Nauru continua ad ospitare 146 persone. Allo stesso modo, più volte è stato criticato il trattamento dei richiedenti asilo nel campo di Manus, formalmente chiuso nel 2017 ma che è ancora dimora di 145.

Cambogia e Papua Nuova Guinea: una vera soluzione?

Col flusso di migrazione tra il 2009 e 2012 nuove politiche sono state implementate. Nel 2013 e 2014 il governo australiano ha difatti stipulato nuovi accordi rispettivamente con la Papua Nuova Guinea e la Cambogia, secondo cui i rifugiati riconosciuti sarebbero stati reinsediati in maniera permanente nei due Stati terzi, non in Australia. L’Unhcr ha però sottolineato come i due Paesi siano sede di violazione sistematica dei diritti umani e che la situazione sanitaria dei centri di detenzione offshore sia negli anni peggiorata, invitando quindi il governo australiano ad evacuarli. 

La Cambogia è in particolare accusata di “violazioni gravi e sistematiche dei principi fondamentali del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici” dalla Commissione Europea. È inoltre, come sottolineato dall’Osservatorio Diritti, improbabile che uno Stato fortemente povero come la Cambogia possa soccorrere in maniera adeguata i rifugiati. Lo stesso vale per la Papua Nuova Guinea, in cui corre il pericolo soprattutto la comunità Lgbtq+. Nel Paese, infatti, l’omosessualità maschile è illegale, col rischio di incarcerazione fino ai 14 anni, e le coppie dello stesso sesso non godono di alcun riconoscimento giuridico.

Operazione Confini Sovrani

In parallelo, l’Australia ha nel 2013 introdotto l’operazione Confini Sovrani, con l’obiettivo di rimandare indietro chiunque cercasse di raggiungere le coste del Paese via mare. In 7 anni l’esercito ha così ricondotto in patria quasi 900 persone. L’operazione è stata criticata da Amnesty, agenzie delle Nazioni Unite e tribunali sia australiani che internazionali, sia perché frutto di opportunismo politico che per la segretezza del progetto. Al tempo ministro dell’Immigrazione, Scott Morrison ha infatti ristretto l’accesso a varie informazioni dell’operazione, tra cui il numero di barche non autorizzate che ancora provano a raggiungere l’Australia.

Per scoraggiare l’arrivo di migranti via mare, ad un anno dall’introduzione, l’operazione Confini Sovrani è stata affiancata dalla campagna mediatica governativa “Assolutamente No!”: “Se viaggi in barca senza visto l’Australia non diverrà la tua casa. Le regole si applicano a tutti, famiglie, bambini, minori non accompagnati, persone istruite e qualificate. […] Il messaggio è semplice: se vieni in Australia illegalmente in barca, non diventerai mai un cittadino australiano”.

Pandemia e immigrazione in Australia

Con la pandemia mondiale, l’Australia ha deciso di indurire ulteriormente i confini. Il Primo ministro ha stimato un calo della migrazione annuale, con 34mila ingressi previsti, rispetto ai più di 200mila del periodo pre-Covid19. Il fenomeno potrebbe avere conseguenze negative sullo sviluppo del Paese. Nonostante le politiche avverse, infatti, l’economia australiana si basa fortemente su questo flusso, soprattutto attraverso la crescita demografica. Il costante arrivo di migranti influisce in maniera positiva sulla crescita dell’occupazione, facendo da contraltare all’invecchiamento della popolazione. Il calo degli sbarchi potrebbe quindi avere un forte impatto sul futuro del Paese.

Questo articolo è parte di una raccolta su flussi migratori e sistemi di accoglienza nel mondo. Articolo precedente: “USA: la barriera con il Messico non ferma i migranti“.

Elena D'Acunto
Napoletana di nascita, milanese d’adozione, americana per 3 mesi. Dopo 5 anni di liceo scientifico, ora studio filosofia alla Statale di Milano. Ho tre passioni: la politica, la musica e le scarpette da arrampicata. Di giorno scrivo per OriPo, di notte mi trasformo in una bimba di Lilli Gruber.

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