Una normativa per l’immigrazione in Italia
La prima legge italiana sull’immigrazione venne discussa in Parlamento nel 1986. Fino ad allora la materia era ancora regolata ex regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, senza un vero approccio organico. Fu invece la legge Foschi a recare per la prima volta una disciplina completa e basilare del fenomeno dell’immigrazione. Vennero garantiti a tutti i lavoratori extracomunitari legalmente residenti sul territorio della Repubblica parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani. Le novità più importanti riguardarono la possibilità di ricongiungimento con il coniuge e i figli a carico e il diritto alla tutela giurisdizionale. La legge rappresentò anche un primo tentativo di programmazione dei flussi, disponendo l’ingresso in Italia per i soli lavoratori muniti del visto rilasciato congiuntamente dalle autorità consolari e dagli uffici provinciali del lavoro.
Il contesto: gli anni Ottanta
L’intervento si rese necessario negli anni Ottanta, in risposta a un trend trascurato nei due decenni precedenti. Invertendo una tendenza secolare – quella di un passato di imponenti emigrazioni verso l’estero e di migrazioni interne – il saldo migratorio internazionale netto era già diventato positivo nei primi anni Settanta.
Definito “mito dell’anomalia italiana”, il fenomeno sembra apparentemente paradossale: l’Italia diveniva un Paese di immigrazione, pur continuando a far registrare un’emigrazione sostenuta. Ma in un contesto di stagnazione economica e grave disoccupazione interna, le migrazioni internazionali verso l’Italia si spiegano in conseguenza ai cambiamenti in atto nel sistema produttivo del Paese. Con la crescente terziarizzazione dei settori e il maggiore livello di istruzione della forza-lavoro italiana si erano aperte “voragini di domanda di lavoro non soddisfatta”, citando il 45° Quaderno di Storia Economica di Banca d’Italia. Si trattava degli stranieri impegnati nelle “professioni rifiutate”, all’esaurirsi del miracolo economico dei Cinquanta-Sessanta.
I primi anni Novanta
Dalla fine degli anni Ottanta iniziarono anche i flussi migratori di rifugiati e richiedenti asilo. Sul fronte intraeuropeo cadde la cortina di ferro; su quello extraeuropeo si registrarono le prime fughe da carestie, guerre, disastri ambientali verso condizioni migliori. Per il nostro Paese furono in particolare gli sbarchi dall’Albania ad avere un impatto molto forte sull’opinione pubblica. Per far fronte ai primi episodi di xenofobia e semplificare i meccanismi – troppo complessi per essere efficaci e facilmente eludibili – previsti dalla legge Foschi nel regolamentare gli ingressi, nel 1990 entrò in vigore la legge Martelli.
Fu un momento decisivo per la storia dell’approccio italiano all’immigrazione: per la prima volta il tema venne politicizzato. Sul voto della legge, infatti, si raggiunse la maggioranza, ma il Partito repubblicano italiano (Pri) si chiamò fuori dalla compagine del pentapartito. Il Pri fece dell’immigrazione una bandiera elettorale e votò insieme al Movimento sociale italiano. Si trattò del primo fronte anti-governativo che articolò il discorso sull’immigrazione come un problema di disordine sociale, criminalità e degrado, portando l’esempio dell’esperienza negativa vissuta da altri Paesi europei.
Il grande salto: gli ultimi Novanta e il nuovo millennio
Tangentopoli spazzò via la vecchia classe politica assieme ai principali partiti della Prima Repubblica. Emersero invece nuove forze politiche, quali la Lega nord (LN) guidata da Umberto Bossi e Forza Italia (FI) di Silvio Berlusconi. La tensione politica era molto forte e anche la polarizzazione nella società civile si fece sempre più marcata, dalle istanze di multiculturalismo a quelle federaliste.
Alle elezioni del 1996 la coalizione di centrosinistra dell’Ulivo uscì vincitrice e sotto il governo Prodi I, nel 1998, venne approvata un’altra legge fondamentale, la Turco-Napolitano. Vennero rilasciati permessi per “ricerca di lavoro” e carte di soggiorno; venne semplificato l’accesso alle cure mediche di base anche ai clandestini. Venne ribadita l’importanza della programmazione dei flussi di lavoratori extracomunitari in entrata, potenziando però anche le politiche di controllo e di espulsione. Novità assoluta fu la creazione dei centri di permanenza temporanea e assistenza (Cpt) per trattenere e identificare gli immigrati privi di documenti. Queste politiche furono necessarie in seguito all’adesione agli accordi di Schengen da parte dell’Italia, che dovette adeguarsi a standard più restrittivi, in armonia alle normative degli altri Paesi firmatari.
Da Schengen al “sì alle ronde”
Alle successive elezioni del 2001 vinse la coalizione di centrodestra guidata da Berlusconi, anche grazie a un programma elettorale che puntò molto sul tema immigrazione. Nel 2002 venne presentata una nuova legge, la Bossi-Fini, che operò una stretta sui controlli rispetto alla Turco-Napolitano. Vennero accorciati i permessi di soggiorno, fu prevista l’espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera e fu introdotto l’obbligo di registrazione delle impronte digitali. In questi anni il nesso tra immigrazione e sicurezza divenne sempre più automatico.
Interessante è il fatto che dal 2002 con la Bossi-Fini nessuna altra legge ordinaria sia stata promulgata in materia. La legislazione sul tema immigrazione è rimasta affidata a decreti emergenziali. Tra questi, vanno ricordati i pacchetti sicurezza Maroni tra 2008 e 2010. Con questi c’è stata un’ulteriore stretta: è stata allungata a sei mesi la permanenza massima nei Centri di identificazione ed espulsione, è stato introdotto il reato di immigrazione clandestina e l’aggravante della clandestinità nei processi penali. In materia di integrazione sono stati allungati i tempi per l’ottenimento della cittadinanza per matrimonio, è stata resa più difficile l’acquisizione della residenza.
L’immigrazione al tempo del “prima gli italiani”
Dall’ultimo governo Berlusconi (2008-2011) ai decreti Salvini (2018-2019) il tema immigrazione è diventato ancor più caldo in seguito alle migrazioni scatenate dalle primavere arabe e soprattutto dalla guerra civile libica. Come riportato da Ispi, tra 2014 e 2017 sono sbarcate in Italia più di 500.000 persone partite dalle coste libiche. Si ricorderanno le operazioni Mare Nostrum prima e Triton poi, per fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria in corso nello Stretto di Sicilia, dovuto all’eccezionale afflusso di migranti.
È stato questo lo sfondo alle promesse di campagna elettorale della Lega nel 2018, tradotte nei decreti sicurezza dal leader Matteo Salvini, nominato Ministro dell’Interno. Alla luce dei passaggi ripercorsi, sarà forse ora più chiaro il motivo per cui la modifica ai decreti Salvini sia così dibattuta. In gioco ci potrebbe essere una soluzione di continuità (più o meno forte) con la linea politica sull’immigrazione degli ultimi vent’anni. Esattamente ciò che accadde nel passaggio dalla Turco-Napolitano alla Bossi-Fini.