fbpx

INDIPENDENTI, COSTRUTTIVI, ACCESSIBILI

Home Mondo Europa Il battito d'ali di Biden causerà uno tsunami in Serbia

Il battito d’ali di Biden causerà uno tsunami in Serbia

Tempo di lettura stimato: 6 min.

-

Dalle presidenziali statunitensi derivano effetti su scala globale. Per questo – e per un numero considerevole di questioni che analizzeremo – i riverberi della vittoria del democratico Joe Biden potranno spingersi sino ai Balcani, candidandosi a modificare l’assetto strategico della nazione che tradizionalmente si pone come egemone nell’area: la Serbia. 

Termometro dell’interesse serbo rispetto alla tornata elettorale statunitense sono le dichiarazioni pre-elettorali dell’attuale presidente Aleksander Vucic, che non ha mai fatto mistero di appoggiare la ricandidatura – rivelatasi poi infruttuosa – di Donald Trump. Insieme  allo schieramento pro-repubblicano, sono altri i tratti che emergono da un identikit della Serbia di oggi: Paese che lamenta dall’interno una deriva autoritaria, alle prese con alcune ruggini del passato e con lo strano equilibrismo sugli assi americani, cinesi, russi ed europei. 

Aleksander Vucic e la Serbia schierata contro Biden

Le denunce sulla deriva autoritaria dello Stato serbo si sono più volte formalizzate in vigorose manifestazioni di protesta popolari. La più recente a inizio luglio, quando Belgrado ha vissuto due notti di guerriglia scaturita formalmente dall’introduzione di misure restrittive dovute al coronavirus, ma sostanzialmente in denuncia del cosiddetto ‘state capture’, il pernicioso sistema di corruzione e clientelismo lamentato dai serbi nei confronti di Vucic. La più violenta, invece, a marzo 2019, quando i manifestanti hanno assaltato la sede della televisione pubblica serba per denunciare il soffocamento della libertà di stampa e l’erosione democratica intervenuta negli ultimi anni. 

Foto di StockSnap da Pixabay

L’ultima volta che i protestanti avevano occupato la televisione pubblica risaliva al 2000, in occasione delle rivolte che provocarono la caduta del regime di Slobodan Milosevic, con cui la Serbia odierna condivide due elementi: Aleksander Vucic, ministro dell’informazione ai tempi del regime e oggi Capo di Stato dopo la parentesi da premier, e la questione Kosovo. Ex territorio serbo staccatosi dalla nazione con un violentissimo conflitto scoppiato dopo la disgregazione dell’ex Jugoslavia a fine anni ’90, la cui proclamazione a stato indipendente risale al 2008, nonostante il mancato riconoscimento internazionale di molti Stati, Serbia inclusa. 

È proprio la questione kosovara a costituire il prisma attraverso cui i serbi – Vucic in primis – hanno filtrato le elezioni statunitensi. Secondo il presidente del consiglio direttivo del think tank European Policy Center di Belgrado, Srdan Majtrovic, infatti, in Serbia ha dominato la percezione che Trump fosse un difensore degli interessi serbi per il suo dichiarato disinteresse verso l’annosa questione Kosovo, al centro di numerosi tentativi di rappacificamento condotti anzitutto dall’Unione europea. Per questo Vucic aveva visto in Trump un alleato, considerato il taglio assunto negli ultimi anni dalla politica estera statunitense. Si spiegano così anche le giravolte elettorali delle presidenziali Usa 2016, che lo hanno visto appoggiare Hillary Clinton sino alla proclamazione della vittoria di Trump, verso cui si è mosso repentinamente nei giorni successivi.

E si spiega, in definitiva, anche il motivo per il quale la Serbia risente della sconfitta di Trump nelle ultime elezioni Usa, come confermano le dichiarazioni posteriori del presidente serbo. Dopo la vittoria di Biden, infatti, Vucic è tornato a parlare di guerra in relazione ai Balcani, affermando che occorre prevenire un’escalation con il Kosovo verso il quale Biden sembra essere molto più indulgente rispetto al suo predecessore Donald Trump, costituendo dunque una minaccia per il presidente serbo. 

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

I quattro pilastri della politica estera della Serbia

La transizione dal governo Trump a quello di Biden rischia dunque di modificare l’assetto politico serbo per una serie di ragioni che incrociano il piano storico e quello geopolitico. Un aneddoto di storia recente spiega solo in parte perché in Serbia tra i sostenitori di Vucic la vittoria di Biden non abbia suscitato grande entusiasmo: come membro del Congresso, il neo presidente statunitense è stato infatti tra i più attivi sostenitori del bombardamento Nato del 1999, con cui si pose fine alla guerra in Kosovo e si posero le basi per il distacco effettivo della ex regione serba meridionale. 

Ma il diffuso sentimento anti-Nato spiega solo parte degli intrecci che costituiscono la rete di relazioni geopolitiche serbe: quello con la Russia, uno dei quattro pilastri della sua politica estera, completati da Unione europea, Stati Uniti e Cina. È questo strano equilibrismo il tratto peculiare della politica estera serba, basata sullo storico rifiuto di allineamento nelle relazioni internazionali in favore di un dinamismo a protezione della propria indipendenza

Con l’assegnazione dello status di Paese candidato all’ingresso nell’Ue del 2012, la Serbia ha fatto dell’Europa il principale partner commerciale, nonostante l’iter per l’ingresso effettivo vada a rilento anche per il mancato raggiungimento della pax con il Kosovo. Gli interessi europei in Serbia sono perlopiù di ordine economico e orientati alla salvaguardia dei diritti umani. Sono vari i programmi di sostegno europeo portati a termine in Serbia, per un totale di 4,08 miliardi dal 2000 al 2015. Anche allo scoppio dell’emergenza coronavirus, l’Europa non ha mancato di garantire il proprio supporto, con un finanziamento complessivo di 93,4 milioni di euro ( di cui 15 solo per la sanità) stanziati dalla Commissione. 

È proprio guardando ai sostegni della prima ondata del virus che è visibile, tuttavia, la stratificazione della politica estera serba. Già il 17 marzo, infatti, il presidente cinese Xi Jinping aveva inviato in Serbia un aereo con medici cinesi e dispositivi sanitari, accolto all’arrivo in aeroporto dallo stesso presidente Vucic. Il sostegno cinese è diretta espressione delle mire espansionistiche di Xi Jinping, che non ha fatto mistero di voler fare della Serbia un punto di snodo per i trasporti aerei, ferroviari e stradali nell’ottica del progetto della Nuova via della seta che vede i Balcani al centro di nuovi interessi energetici e infrastrutturali. 

Più che all’economia, invece, i rapporti della Serbia con la Russia e gli Usa attengono allo scacchiere geopolitico. Mentre la questione dirimente del Kosovo rappresenta un impedimento per l’ingresso nell’Ue, l’appoggio delle posizioni serbe ricevuto dalla Russia ha cementificato i rapporti tra le due nazioni. Al punto che la Serbia, allo scoppio del conflitto ucraino della primavera 2014, si è rifiutata di aderire alle sanzioni europee contro il Cremlino. Per gli Usa, infine, la Serbia rileva soprattutto per la posizione geografica che ne fa corridoio tra Est e Ovest. Negli ultimi anni lo sguardo statunitense in Serbia si è concentrato soprattutto sul potenziale scalo per l’ingresso in Occidente dei terroristi jihadisti, considerando, dunque, l’esigenza di bloccare le minacce. 

Così Biden può incidere sulla politica della Serbia

Nell’assetto composito della politica serba, le elezioni statunitensi sono tutt’altro che irrilevanti, considerando anche i trascorsi politici di Biden. Il ruolo giocato in passato dal neo presidente è stato richiamato anche nella campagna dei democratici, con lo stesso Biden che ha rimarcato la volontà di normalizzare i rapporti tra Serbia e Kosovo lavorando fianco a fianco con l’Europa. Sulla stabilizzazione dei rapporti con il Kosovo, anche Trump lo scorso settembre aveva promosso un incontro, definito storico, tra i presidenti delle due nazioni alla Casa Bianca, conclusosi però solo con auspici economici, non adottati peraltro in conformità dei protocolli internazionali. L’arrivo di Biden non promette dunque una repentina accelerata nella negoziazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, ma un orientamento meno sbilanciato a favore della Serbia come quello del suo predecessore e un maggiore supporto al lavoro di mediazione condotto dall’Europa. Tanto basta per provocare lo scontento del presidente Vucic: nelle minime scosse c’è in potenza l’alterazione del precario equilibrio serbo.

*immagine in evidenza: BarBus, via Pixabay

Pierfrancesco Albanesehttps://orizzontipolitici.it
Nato a Galatina (Le) nel 1998. Dalla prima caduta le testate fanno parte della mia vita: soprattutto quelle giornalistiche. Collaboratore di Leccenews24 e Piazzasalento, studio Giurisprudenza presso l'Unisalento.

Commenta

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

3,900FansMi piace
29,200FollowerSegui
1,500FollowerSegui
1,000FollowerSegui