Articolo pubblicato su Factanza
I tentativi di condizionare le elezioni statunitensi non sono solo storia degli ultimi anni. Anche in vista dell’imminente tornata negli Usa, infatti, i troll russi hanno provato a canalizzare il voto dell’elettorato. È quanto hanno reso noto ad inizio settembre Facebook e Twitter, per la prima volta in grado di produrre del materiale probatorio sul tentativo della rediviva organizzazione russa – la Internet Research Agency, già artefice delle interferenze nelle presidenziali Usa del 2016 – di condizionare la tornata elettorale del prossimo 3 novembre. Secondo quanto affermato dai social networks su segnalazione dell’FBI, il gruppo, noto anche come la “fabbrica dei troll”, avrebbe creato una rete di account falsi e un sito dallo smaccato orientamento a sinistra con l’obiettivo di screditare il candidato democratico Joe Biden – dipinto come colpevole di uno spostamento a destra dell’asse democratico – e favorire, di riflesso, il candidato repubblicano Donald Trump, in corsa per il secondo mandato consecutivo.
Quando sono state intercettate, le attività di disinformazione della Internet Research Agency erano ancora in stato embrionale, ma, secondo quanto emerso dai primi rilievi, potenzialmente molto pericolose. Per soffiare sul fuoco delle polemiche attualmente al centro del dibattito statunitense, infatti, sarebbero stati pagati giornalisti freelance americani per produrre contenuti utili alla propaganda anti-Biden e connessi a “Peace Data”, il sito di disinformazione utilizzato dal gruppo russo. Già nei mesi passati inoltre si sono rincorse le notizie sulla volontà del Cremlino di interferire nelle presidenziali Usa: lo scorso febbraio l’intelligence statunitense aveva messo in guardia il Congresso incontrando il disappunto di Donald Trump, che in passato ha screditato e bollato le notizie diffuse dall’intelligence come un tentativo di delegittimare la sua vittoria elettorale. Anche il direttore della National intelligence americana, John Ratcliffe, ha suffragato l’ipotesi di nuove ingerenze russe: la Russia sarebbe infatti entrata in possesso di informazioni sensibili sull’elettorato statunitense. Ma come la Russia, anche l’Iran: è stato lo stesso direttore dell’intelligence a considerare le recenti mail di minaccia pervenute ad alcuni elettori del Partito democratico come opera di apparati iraniani, mettendo in guardia, dunque, la popolazione sui tentativi di interferenze di Paesi stranieri.
Nel frattempo, alla individuazione dei profili falsi e dei contenuti inseriti nella recente campagna di disinformazione della Internet Research Agency ha fatto seguito la chiusura dei siti e degli account incriminati. Un riscatto parziale di Facebook e Twitter, che hanno così evitato – almeno per il momento – il riprodursi delle ingerenze su larga scala registrate nel 2016.
Il precedente delle ingerenze russe negli Usa: Russiagate, anno domini 2016
Che di reali interferenze si è trattato lo ha stabilito l’ultimo rapporto redatto dalla Commissione Intelligence del Senato americano, poco meno di mille pagine in cui sono condensati tre anni di indagini. Un’inchiesta nominata Russiagate quella sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016 attuate attraverso una promozione attiva della campagna elettorale di Trump. Il report, pur non dimostrando che vi fu un coordinamento tra il comitato elettorale di Trump e i russi, evidenzia i legami tra uomini della cerchia più ristretta del presidente statunitense e il governo di Putin.
Tra tutti, Paul Manafort capo del comitato elettorale di Trump dal febbraio all’agosto 2016, definito dal documento un pericolo per la sicurezza americana poiché la sua presenza «creò varie opportunità per i servizi segreti russi di ottenere influenza e acquisire informazioni confidenziali sul comitato». Il report, che delinea anche il ruolo di Wikileaks nella diffusione delle mail di Hillary Clinton da parte di hacker russi, tira le fila dell’inchiesta condotta dal procuratore speciale Robert Mueller sulle ingerenze russe del 2016. Nelle 400 pagine del rapporto Mueller, diffuso nel 2019, il procuratore speciale ha concluso che le interferenze russe a favore di Trump e contro Hillary Clinton sono avvenute attraverso la pubblicazione di notizie false, per canalizzare l’elettorato verso i repubblicani, e mediante attacchi hacker, tesi a sottrarre documenti del comitato Clinton da pubblicare su Wikileaks, come effettivamente avvenuto.
Nonostante si dimostri come funzionari vicini al presidente abbiano intrattenuto rapporti sistematici con gli omologhi del Cremlino, d’altra parte, entrambi i rapporti – quello di Mueller e quello del Senato – non hanno dimostrato un coordinamento reale tra Trump e i russi.
Oltre la cronaca: il perché delle ingerenze russe negli Usa
La si può dire con la sintesi che il New York Times fornisce del rapporto della commissione intelligence del Senato, dal quale sono emerse le prove di un interessamento russo alle vicende statunitensi già prima del 2016 “per influenzare politici Repubblicani e leader conservatori per plasmare la politica estera americana a vantaggio di Mosca”. Oppure con Marco Rottigni della società di cyber sicurezza FireEye, che in un’intervista al Foglio ha affermato: “Lo scopo delle attività degli hacker russi è quello di destabilizzare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e delle organizzazioni internazionali come l’Unione europea o la Nato, oltre che indebolire i rapporti interni all’Europa e all’asse atlantico in favore di una coesione russa”. Comunque la si metta, si comprende che l’ingerenza nelle elezioni estere serva ai governi per tirare acqua al proprio mulino.
A tal proposito, una cartina al tornasole può essere lo studio condotto nel 2016 da Dov Levin, dell’università americana Carnegie Mellon, che ha cercato di ricostruire tutti i casi in cui Stati Uniti e Unione Sovietica – dunque, Russia negli anni più recenti – hanno interferito con elezioni straniere. Dal 1946 al 2000, la ricerca registra in tutto 117 interventi di Usa e Russia in elezioni estere, su un totale di 937 votazioni. 81 sono realizzate dagli Stati Uniti, 36 dalla Russia.
Cosa ci dice, quindi, questo rapporto? Anzitutto che le ingerenze hanno giocato un ruolo importante dal secondo dopoguerra in poi in politica estera; in secondo luogo, che sono bipartisan: sul banco degli imputati, a dire il vero, siedono più gli Usa che la Russia nel periodo considerato, con le ingerenze tese a far cadere i Sandinisti in Nicaragua e con le operazioni della Cia nelle Filippine, in Cile, in Romania tra le altre. Tornando all’attualità, è da notare che nessuno studio ha mai certificato l’importanza dei troll russi nella vittoria di Trump. Secondo le analisi dei ricercatori della Duke University, nessun effetto reale è seguito alla disinformazione a mezzo troll. Chi ha interagito con i contenuti della propaganda russa avrebbe infatti maturato le proprie convinzioni politiche autonomamente e prima di incontrare le notizie diffuse dall’agenzia russa. In grado, al limite, di fagocitare istinti già interiorizzati.
*Ingerenze russe negli Usa (crediti foto: Vicky Gharat)