La sorpresa dopo le PASO
Alle PASO, I sondaggi presumevano un sostanziale testa a testa tra le coalizioni composte dai principali partiti tradizionali. Da una parte Sergio Massa, il candidato di Unión por la Patria, la coalizione al cui interno sono presenti i partiti dell’attuale governo in carica di Alberto Fernandez. Dall’altra due candidati, Patricia Bullrich e Horacio Rodríguez Larreta, entrambi appartenenti a Juntos por el Cambio, la principale coalizione di partiti di opposizione di centro-destra. A sconvolgere il panorama politico e tutte le previsioni del momento è stato tuttavia Javier Milei, un economista dalle posizioni iperliberiste in economia (vuole eliminare la banca centrale e ridurre lo Stato al minimo) e conservatrici nel sociale (è antiabortista e contrario all’educazione sessuale nelle scuole).
Alle PASO Milei è uscito inaspettatamente vincitore, conquistando il 30% delle preferenze (i sondaggi lo davano al 20), davanti a Massa (attuale Ministro dell’Economia) al 22% e Bullrich al 17%. Milei ha subito proclamato vittoria e ha lanciato il suo messaggio contro la casta politica che governa l’Argentina, promettendo un “cambiamento vero”. L’economista è stato eletto al Congresso nel 2021, dopo aver già acquisito notorietà in Patria come personaggio radiofonico e televisivo antisistema, con uno stile particolarmente aggressivo e sopra le righe. Milei è un economista che si rifà alla Scuola di Chicago (ha cinque mastini, tutti con nomi di noti economisti, tra cui Milton e Robert) e che ha creato una piattaforma politica anti-statalista e anti-casta con posizioni fortemente pro-mercato. Nel 2021 ha fondato La Libertad Avanza (la libertà avanza), la coalizione che lo sostiene in queste elezioni. Per certi versi Milei ricalca, come hanno osservato diversi analisti politici, un fenomeno già tracciato da Trump (di cui è grande ammiratore) e Bolsonaro. Un uomo forte che promette di cambiare le cose attaccando i politici tradizionali, veicolando spesso messaggi identitari e conservatori. Anche per questo è riuscito a capitalizzare la grande frustrazione del popolo argentino per una situazione economica, in particolare dei giovani, che desiderano un cambiamento radicale e che in lui vedono l’uomo della svolta drastica. Particolarmente forte è l’appeal che esercita su una parte dei giovani maschi argentini per via della sua retorica antifemminista.
L’Argentina sta attraversando l’ennesima crisi economica. L’outlook economico della World Bank e del Fondo Monetario Internazionale prospetta una diminuzione del GDP (Prodotto Interno Lordo) del 2,5% entro la fine dell’anno, con l’inflazione che cresce a ritmi vertiginosi e che è proiettata a sorpassare il 170% (adesso si attesta al 138% circa, e la Banca Centrale ha dovuto alzare il tasso di interesse alla cifra record di 133%). Il Paese è attraversato da una siccità record che ha danneggiato l’agricoltura e l’allevamento, settori chiave dell’economia. Già provata dalla durissima prova imposta dal Covid-19, in cui l’Argentina si è distinta per una politica di lockdown severo, il Paese rischia la seconda bancarotta dopo quella disastrosa del 2001. Il Paese è alle prese con l’ennesima tranche di pagamenti da corrispondere al FMI (44 miliardi, rinegoziati dopo i 57 accordati sotto il Governo Macrì nel 2018) ed ai creditori internazionali. Una situazione non nuova, quella della dipendenza cronica dell’Argentina dai prestiti del FMI (ha ricevuti 22 prestiti dal 1956 ad oggi), che vive una crisi economica cronica che permea il Paese da decenni, con più del 40% della popolazione in povertà relativa.
Il Paese del peronismo alla svolta?
L’Argentina è stata segnata politicamente da un’ideologia che ha plasmato sia la destra che la sinistra. Questa ideologia è il peronismo, una dottrina che prende il nome da Juan Domingo Perón e dalla sua altrettanto influente moglie Evita Perón. Peron è stato un generale argentino che è salito ai vertici del potere politico sul finire della Seconda Guerra Mondiale, dopo una scalata ai ranghi più elevati del potere militare. Ha governato l’Argentina relativamente per pochi anni, con un piglio autoritario da tipico caudillo sudamericano, in opposizione alle pulsioni democratiche e liberali. La sua portata è stata tuttavia enorme, tanto che il corpo di dottrine che prende il suo nome, il peronismo, è sopravvissuto alla sua caduta e ha plasmato l’Argentina. Il peronismo è una sorta di Terza Via tra comunismo e capitalismo, per certi versi con tendenze fascisteggianti (Peron non ha mai nascosto la sua ammirazione per Mussolini ed il fascismo), ma che ha da sempre avuto un occhio di riguardo per i più poveri e per la giustizia sociale, caratterizzato da programmi di redistribuzione del reddito e di sostegno ai meno abbienti. Il suo bacino elettorale era in larga parte fatto di lavoratori a basso reddito, chiamati descamisados (“scamiciati”) a indicare simbolicamente la provenienza dagli strati popolari della società.
Ogni partito da dopo Perón è stato influenzato dal peronismo, che nel Paese è diventato egemone anche dopo la svolta democratica del 1983. Nonostante la sua vicinanza al fascismo, sono nati tanti movimenti di sinistra di ispirazione peronista, tra cui lo stesso Partido Justicialista del Presidente Fernandez e del candidato Sergio Massa, che ha governato quasi ininterrottamente negli ultimi venti anni. Non sono mancati tuttavia in Argentina i tentativi di avanzare un’agenda più pro-mercato, anche tra le stesse fila dei peronisti: La presidenza di Carlos Saúl Menem dal 1989 al 1999, eletto tra le file del Partito Justicialista dopo una campagna in cui aveva promessa di perseguire una forte agenda peronista, adottò ben presto politiche più liberiste di gran parte dei suoi predecessori. L’iperinflazione, la povertà strutturale e la mancanza di prospettive avevano permesso a frange più liberali di emergere in un panorama peronista. Menem adottò in particolare una politica di ancoraggio del peso, la valuta argentina, al dollaro. Nonostante un iniziale successo, il collasso dell’economia nel 2001 relegò per molto tempo l’agenda pro-mercato ai margini del discorso politico, e con queste anche le ipotesi di dollarizzazione dell’economia, nonostante oggi moltissimi argentini detengano ingenti quantità di dollari per difendersi dalla instabilità del peso.
La situazione a pochi giorni dalle presidenziali e gli scenari economico-politici
Ciononostante, il peronismo è in affanno dopo anni di crisi cronica, che hanno alimentato nella popolazione un generale senso di sfiducia verso i politici e le istituzioni, oltre che nei confronti del peronismo. Questo contesto ha spianato la strada ad outsider come Javier Milei, che ha capitalizzato la frustrazione contro la “casta” politica (come la definisce lo stesso Milei) ed il peronismo. Gli ultimi sondaggi lo danno in testa, seguito da Massa, candidato della coalizione attualmente al potere, e da Patrizia Bullrich, candidata di Juntos por el Cambio, la coalizione da cui proviene l’ex presidente Mauricio Macrì. In un probabile ballottaggio, Milei avrebbe la meglio su Massa ma non su Bullrich, che vincerebbe anche su Massa. Le speranza per una vittoria di Massa, l’attuale ministro argentino dell’economia, sembrano lontane.
Se Milei dovesse vincere gli esiti potrebbero essere imprevedibili: i mercati sono già in fibrillazione, e la notizia della sua vittoria alle PASO non era stata accolta positivamente: il Governo fu costretto a svalutare il peso del 20% e a portare il tasso d’interesse al 118% per prevenire la fuoriuscita di capitali. Recentemente, Milei è stato contestato dai suoi oppositori per l’enorme svalutazione del peso rispetto al dollaro sul mercato “parallelo”, quello interno (il cosiddetto blue rate), avvenuta, come sostengono, per colpa della sua proposta di dollarizzazione dell’economia.
Le implicazioni avrebbero un riverbero consistente anche in politica estera e nell’equilibrio della regione. L’Argentina è uno dei Paesi che ha annunciato di voler entrare formalmente nei BRICS, l’alleanza geopolitica composta da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica che ha l’obiettivo di disegnare un nuovo ordine mondiale in contrapposizione a quello statunitense. In particolare, una delle missioni del gruppo è quella di creare una valuta alternativa al dollaro per ri-bilanciare gli assetti del potere economico nel mondo. Sia Bullrich che Milei hanno dichiarato che se diventeranno presidenti elimineranno l’adesione del Paese all’alleanza, e con questa l’idea di de-dollarizzazione, ponendo una sfida seria alle aspirazioni dei BRICS.
La vittoria di Bullrich sarebbe un passaggio di consegne tra sinistra e destra di per sé non inusuale nella politica argentina, seppur dominata dal peronismo. Se invece Milei dovesse trionfare, le sue idee dinamitarde potrebbero ridisegnare l’assetto politico ed economico dell’Argentina, oramai sempre più preda della grieta (spaccatura), la polarizzazione politica in aumento in un Paese che è sempre stato considerato una delle democrazie più stabili dell’intero Continente. Un Paese che potrebbe essere la prima crepa nella già fragile Pink Tide latinoamericana, l’insieme dei Governi progressisti della regione.