Forse non lo sapete, ma ”quando Conte telefona a Bill Gates sulle nostre spalle prendendo 140 milioni decide di iniettarci il mercurio nelle nostre vene collegate al 5G e diventeremo dei piccoli robot”. O almeno, è questo ciò che dice una signora di mezz’età dal palco rabberciato che i gilet arancioni montano il 2 giugno in Piazza del Popolo, a Roma, da dove le voci di protesta s’alternano per svelare tutto ciò che ”i governi non ci vogliono dire”. Questa è solo una delle tante teorie del complotto che i movimenti negazionisti hanno sostenuto alla fine del lockdown, incarnando gli allarmi sull’infodemia dilagante lanciati dagli esordi della pandemia.
L’andamento della diffusione di fake news in Italia con il covid-19 è stato osservato, sin dall’inizio, dall’Agcom, che ha messo in guardia dall’aumento dell’incidenza della disinformazione sul totale delle notizie online. Quello italiano non è certo un caso isolato: sarebbero tre, infatti, le ondate infodemiche registrate in meno di 4 mesi di pandemia a livello globale, secondo lo studio della University of New South Wales in Australia. Dai risultati è possibile anche osservare i danni che le fake news hanno prodotto nel mondo reale. Specie quelle relative ai presunti rimedi preventivi o terapeutici al covid-19, come le 800 vittime causate dalla convinzione dei poteri taumaturgici dell’alcol, in grado – secondo teorie false ma popolari – di uccidere il virus se ad alta concentrazione. Già il King’s College di Londra aveva peraltro notato una correlazione tra credenti alle teorie del complotto e scarso rispetto delle norme di prevenzione: il 37% del campione intervistato tra i sostenitori del collegamento tra il 5G e covid-19 nel Regno Unito non riteneva, ad esempio, di rispettare il lockdown imposto dal governo, con gravi pericoli per la salute pubblica.
È quindi chiaro, osservando i dati dei rapporti e poi le ondate di protesta dei negazionisti, che almeno parte del caos informativo perso nei circuiti telematici ha trovato una materializzazione nel mondo reale. Ma l’analisi della fisionomia delle contestazioni consente anche di portare alla luce un altro aspetto: il ruolo giocato dai politici nella propagazione delle notizie false. E i risultati, in termini di diffusione di comportamenti conseguenti, derivanti dall’esposizione mediatica delle tesi non accreditate dalla comunità scientifica.
Se lo dico io, politico, è vero
È inizio maggio quando la BBC lancia un servizio intitolato: “Coronavirus, false claims by politicians debunked”, con cui il giornalista Chris Morris mette in fila le dichiarazioni non veritiere pronunciate dai politici durante la pandemia. Tra gli altri, compaiono il Presidente degli Usa Donald Trump, il leader della Lega Matteo Salvini e il Presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Il servizio è ripreso dall’account Twitter di Enrico Letta. “La BBC stila una classifica sui leader che hanno detto più balle durante la pandemia”, scrive l’ex Presidente del Consiglio, aggiungendo, però, falso al falso: la BBC infatti non stila una classifica. Riprende solo alcune dichiarazioni infondate con l’intento di smontarle pubblicamente. Ma ormai il dado è tratto e i giornali titolano che tra i più grandi menzogneri ci sono Salvini, Trump e Bolsonaro.
Se l’esempio può aiutare a capire come la distorsione della realtà si muova su fili sottili, è bene tornare all’effettiva rilevanza del servizio: utile, soprattutto, ad evidenziare l’effetto cassa di risonanza delle tesi pseudoscientifiche promosse dai politici e divenute poi i mantra dei movimenti di piazza.
Il 2 giugno, mentre in Piazza del Popolo va in scena la contestazione dei gilet arancioni, lungo Via del Corso c’è la protesta dei tre maggiori partiti di destra italiani. Il distanziamento fisico salta. Salvini ha la mascherina abbassata all’altezza del collo. A chi glielo fa notare, dice: «Ce l’ho, ma gli esperti dicono che il virus sta morendo». Pochi giorni dopo, ospitato da Giovanni Floris, chiederà in toni polemici se può non indossare la mascherina mentre parla con una signora. Una riluttanza per le norme di prevenzione che è stata poi esasperata da altri membri del partito. Ultimo nel tempo Claudio Borghi, che negli scorsi giorni dal suo profilo Twitter ha dato il proprio endorsement ai movimenti no mask. Già a maggio, invece, la deputata ex M5S Sara Cunal aveva pubblicato un post con cui sosteneva una correlazione tra l’uso della mascherina e l’insorgenza di infarti. Ancora, in Germania un ramo del movimento nazionalista Querfront ha portato in piazza 20mila no mask ad agosto. Il nome della protesta “La fine della pandemia – Il giorno della libertà” esemplifica il paradosso della prevenzione, ossia il cortocircuito determinato dal funzionamento delle norme anti-contagio: le cose vanno bene, dunque la pandemia non esiste.
In Italia, tra gli esponenti politici proclamatisi contro la “dittatura sanitaria” ci sono anche gli estremisti di destra Giuliano Castellino e Roberto Fiore, presenti in una delle ultime uscite di piazza a Bocca della Verità, Roma, dove le teorie del complotto si sono unite alle proteste contro il Governo. I movimenti, infatti, sono molto eterogenei: ci sono gli sfiduciati politici, i negazionisti, i no mask, i complottisti del 5G e della dittatura sanitaria, gli antivaccinisti e altri ancora, in quella che la giornalista Anna Merlan ha definito la singolarità complottista, ossia la contaminazione a vicenda dei cospirazionisti.
Un esempio di questa convergenza è il movimento statunitense QAnon, secondo cui, a grandi linee, Trump starebbe combattendo contro un deep state formato da un’elite di pedofili satanisti che siede nella stanza dei bottoni. Anche qui si annidano ormai le più varie teorie del complotto: dagli ufo alle scie chimiche, dalle teorie alternative sull’assassinio di Kennedy sino al coronavirus nato nei laboratori di Wuhan. Ma il dato più interessante è l’utilizzo che Trump sta facendo di questo movimento, i cui adepti, a tre anni dalla nascita, si contano a milioni.
Trump e QAnon: complotto? Quale complotto
Il presidente americano non ha infatti mai negato le loro tesi, arrivando persino a sostenerle sui social. Solo il 4 luglio Trump avrebbe ritwittato 14 elementi da gruppi di QAnon, mentre dall’inizio della pandemia le condivisioni sarebbero circa 90. I tweet prodotti dal movimento sono vari: è il 2 ottobre quando Trump annuncia la sua positività al coronavirus. Passano poche ore e dal tweet di annuncio alcuni utenti di QAnon estrapolano delle lettere a formare la frase: “Hillary begin process immediately”. Trump, quindi, non sarebbe positivo al virus, ma avrebbe diffuso un messaggio criptico: sta per iniziare un processo contro Hillary Clinton; secondo QAnon, una delle principali affiliate al movimento pedofilo alla base della teoria complottista.
Anche suo figlio, Eric, ha postato su Instagram una foto con un’enorme Q, utilizzando l’hashtag: “where we go one, we go all”, molto in voga nel movimento complottista. La tendenza del presidente degli Usa a ritwittare elementi non confermati è quindi diventata una prassi consolidata, tanto che – secondo la Cornell University – dall’inizio della pandemia i riferimenti a Trump per qualche sua dichiarazione infondata sono del 38% su un campione di 38 milioni di articoli. Può accadere così che durante un’intervista della NBC l’intervistatrice Savanna Guthrie gli ricordi di essere il presidente, “non uno zio pazzo che può twittare qualsiasi cosa”. Il riferimento è ad un tweet delle ore precedenti, con cui Trump aveva rilanciato un articolo inattendibile che accusava Biden di aver messo in scena l’uccisione di Osama Bin Laden.
L’intervento dei social: no al raccordo tra politica e complotto
Per limitare l’amplificazione di contenuti falsi con la pandemia in corso, i social sono corsi ai ripari. Ne è nata una vera battaglia tra il Presidente Usa e l’accoppiata Twitter/ Facebook: quando negli scorsi giorni Trump pubblica un post con cui sostiene la maggiore pericolosità dell’influenza rispetto al Covid-19 Facebook lo rimuove, mentre Twitter lo etichetta come falso. Ad agosto, invece, entrambi i social intervengono per limitare la diffusione di un video in cui Trump sostiene l’immunità al virus dei bambini. E ancora, Youtube ha promesso di bandire i contenuti della cerchia di QAnon, mentre Facebook, Instagram e Twitter rimandano gli utenti a contenuti pubblicati dall’Oms per informazioni sulla pandemia. Tutti interventi sintomatici della volontà di arginare il dilagare di fake news sui social, ma che non esauriscono la gamma di possibilità di veicolazione di contenuti falsi. È proprio qui che la battaglia incespica: sui canali in cui intervenire, sulla modulazione dell’intensità dell’intervento, sul bilanciamento tra libertà d’opinione e corretta informazione. Tanto più se – come fa notare la ricerca della Cornell University – la disinformazione non viaggia solo attraverso i canali social, ma annovera tra i suoi diffusori personalità dotate di un’esposizione mediatica elevata. Non ultimo Trump, secondo lo studio “il principale vettore di disinformazione nei primi 6 mesi di pandemia”.
Foto di copertina di Ehimetalor Akhere Unuabona da Unsplash