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Unita per davvero? Tutte le divisioni dell’Unione Europea

Tempo di lettura stimato: 7 min.

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L’Unione europea ha attraversato un periodo di grande espansione tra il 2004 e il 2007, con l’accesso di dieci Stati, tutti dell’Est Europa e dei Balcani. L’elevato numero di membri ha portato alla creazione e alla solidificazione di alleanze e coalizioni formali e informali ma anche divisioni all’interno dell’Ue. Queste possono essere contingenti a situazioni circostanziali o di emergenza, come nel caso della crisi migratoria del 2015, oppure a rapporti che si sono consolidati nel corso del tempo, come nel caso del Gruppo di Visegrad.

In generale, l’allargamento dell’Ue ha portato anche all’aumento di istanze e posizioni diverse, come conseguenza dell’aumento di attori coinvolti. Questo ha generato preoccupazione in alcuni studiosi, che si sarebbero aspettati un rallentamento del processo decisionale e una diminuzione nella qualità dello stesso, con veri e propri gridlock (‘ingorgo’ in italiano) legislativi e politici. Infatti all’interno dell’Ue si sono creati diversi rapporti di potere e divisioni di Stati che influenzano le politiche a livello sovranazionale e che ne ostacolano a volte l’approvazione.

Le crisi finanziarie e la divisione attorno alle politiche fiscali

Con la crisi finanziaria del 2008 e soprattutto in seguito quella dei debiti sovrani del 2012, si sono iniziati a solidificare dei rapporti di potere e divisioni fondati principalmente sull’affidabilità e salute delle finanze pubbliche dei vari stati.

Pur essendo un mercato unico con benefici per tutti i Paesi, e quindi con economie estremamente interdipendenti (il commercio di beni interno all’Unione è in costante aumento dal 2002), la realtà economica all’interno dell’Ue è ben differenziata. Nel grafico sottostante si può osservare il contributo di ogni Stato Membro al Pil comunitario.

Ci sono Paesi finanziariamente ed economicamente più stabili e sicuri, in primis la Germania, i Paesi Scandinavi e Paesi Bassi, e altri in difficoltà, ossia gli Stati del sud, principalmente colpiti dalle due crisi. Infatti al tempo apparse nei quotidiani inglesi l’acronimo PIGS, ‘maiali’ in inglese, per chiamare proprio il gruppo di stati più colpiti dalla crisi e con finanze pubbliche instabili, in ordine Portogallo, Italia, Grecia e Spagna (poi si aggiunse l’Irlanda, trasformando l’acronimo in PIIGS).

La crisi economica ha portato alla necessità e all’attuazione di misure di austerità in cambio di aiuti economici e finanziari, i quali hanno però ampliato il divario politico tra i Paesi coinvolti, con una forte spaccatura tra questi membri e soprattutto la Germania. Questi Paesi hanno fatto fronte comune contro le riforme fiscali ed economiche richieste da Bruxelles, accolte come misure dannose e controproducenti soprattutto per i rispettivi sistemi di welfare. Basti ricordare la crisi greca e la sfida di Alexis Tsipras contro la cosiddetta Troika, accostata per l’appunto alla Germania dai media.

Questo gruppo di Stati membri del sud non hanno una vera e propria coalizione o alleanza, ma sono un gruppo di Paesi avvicinati dalla crisi economica e dalla crisi migratoria successiva del 2015. Sia su questioni economiche, che sulla gestione dei flussi migratori, questi Paesi si sono trovati per necessità spesso uniti e sulla stessa linea politica a Bruxelles. Per esempio, durante le negoziazioni del Recovery plan, i Paesi del sud hanno dovuto trovare un compromesso con i cosiddetti Paesi frugali, come Austria e Paesi Bassi, sulle somme da stanziare e sulle modalità (aiuti sotto forma di sovvenzioni e non solo prestiti).

Il blocco di Visegrad non è così compatto

Un altro ormai noto gruppo dell’Ue è senz’altro quello di Visegrad (anche chiamato V4), che comprende Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. Nel 1991, in seguito alla dissoluzione dell’Unione sovietica, questi quattro Paesi (al tempo, in realtà, Repubblica Ceca e Slovacchia erano uno stato unico, la Cecoslovacchia) decisero di creare un’alleanza in vista di un avvicinamento verso l’Unione europea e il mondo occidentale in generale. Infatti, nel 2004, con l’allargamento verso Est, tutti e quattro gli Stati diventarono membri dell’Ue.

Sebbene all’inizio fossero un gruppo unito e legato da una storia comune, soprattutto per l’esperienza all’interno del Blocco sovietico, oggi questa coalizione sembra essersi trasformata in una relazione “2+2”. Come si evince dal sondaggio annuale condotto dallo European Council on Foreign Relations (ECFR), Polonia e Ungheria da un lato e Repubblica Ceca e Slovacchia dall’altro sono ritenute dagli esperti coppie sinergiche e affiatate, mentre tra di loro ci sarebbe meno affinità.

In particolare, la Slovacchia sarebbe lo Stato più distaccato. Per esempio, durante le negoziazioni della Recovery and Resilience Facility (anche nota come Recovery Fund), Repubblica Ceca e Slovacchia avevano criticato l’intenzione di porre il veto da parte di Polonia e Ungheria alla proposta di utilizzare lo ‘stato di diritto’ domestico come criterio per l’assegnazione dei fondi comunitari. Tuttavia, per altre materie come quella del ricollocamento dei migranti, l’intero V4 si è opposto ad ogni politica comunitaria, addirittura non rispettando gli obblighi legali decisi a Bruxelles.

Se i Paesi del Sud sono principalmente legati dai problemi economici, i Paesi di Visegrad sono invece noti per far fronte contro l’immigrazione e contro una più profonda integrazione politica a livello europeo (soprattutto Polonia e Ungheria), aumentando le divisioni nell’Ue attorno a questi temi. 

Ancora a Est i Paesi baltici sono in cerca di autonomia dalla Russia

I Paesi baltici – Estonia, Lettonia e Lituania – hanno una storia simile al gruppo di Visegrad, in quanto territori occupati dall’Unione Sovietica e addirittura parte dell’Urss dal 1944 al 1991, anno della loro indipendenza. I tre piccoli Paesi (gli abitanti della regione sono poco meno di 6 milioni) hanno seguito un percorso di ammodernamento e di liberalizzazione dei mercati in seguito all’indipendenza, con tassi di crescita annuali tra i più elevati in Europa, tanto da essere definite le Baltic Tigers. Invece, sul fronte della politica interna, hanno cercato di distaccarsi culturalmente ed economicamente dalla vicina Russia.

Nel 2004 anche questi tre Paesi sono diventati Stati Membri sia dell’Ue che della Nato, proprio per istituzionalizzare tale definitivo allontanamento. Nel 2009, poi, il Consiglio dell’Ue aveva approvato la prima strategia politico-economica macro regionale proprio nell’area delle repubbliche baltiche – la EU Strategy for the Baltic Sea Region -, per proseguire nell’intento di rafforzare l’integrazione dei nuovi membri in vari ambiti come il commercio via mare con i vicini Paesi scandinavi, politiche di sostenibilità ambientale e in generale per il mercato unico. In generale, il fronte delle repubbliche baltiche spinge per eliminare ogni dipendenza, anche energetica, dalla Russia e fanno fronte proprio per portare avanti questa linea politica a livello europeo.

Francia, Germania e la leadership europea

Francia e Germania sono ritenuti invece gli Stati Membri più influenti all’interno dell’Unione. Nel 2020, Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno sostenuto insieme la decisione di supportare l’idea della Recovery and Resilience Facility per aiutare l’intera Ue a superare la crisi economica. Sono stati due Stati decisivi nella mediazione tra gli Stati del Sud e i Paesi Frugali nel concordare il pacchetto di aiuti più grande mai approvato nella storia dell’Ue – 2mila miliardi di euro – incluso nel budget comunitario 2021-2027.

Secondo il report di German Marshall Fund, la Germania verrebbe considerata dal 60% degli europei come il Paese più influente e importante nel Vecchio continente, seguita dal Regno Unito (19% degli intervistati) e dalla Francia (7%). In generale, il duo franco-tedesco è considerato come determinante all’interno dell’Unione europea, mentre l’Italia, pur essendo la terza economia europea in termini di Pil, non è considerato un leader nello scacchiere europeo. Infatti, sempre secondo lo stesso report, solo il 2% degli europei considererebbe il nostro Paese il più influente del Vecchio Continente.

Francia e Germania rimangono i due attori fondamentali per il processo di integrazione politica dell’Ue del futuro e sono punti di riferimento all’interno della comunità, anche per trovare soluzioni alle divisioni nell’Ue.

Più attori, più posizioni, più divisioni nell’Ue?

L’aumento del numero di Stati partecipanti al progetto europeo fa sì che l’Unione raccolga sempre più linee politiche eterogenee. Questo però pone anche dei quesiti sui processi decisionali, soprattutto quelli che richiedono l’unanimità. Infatti, con un numero sempre maggiore di partecipanti, il rischio è che i processi decisionali a Bruxelles rallentino e che si formino più facilmente dei gridlock politici. Per esempio, nel Consiglio dell’Ue ogni rappresentante può esprimere il proprio veto e coalizioni come quella di Visegrad possono ostacolare in modo quasi definitivo varie proposte di riforma. 

Durante le discussioni sul nuovo schema di ricollocamento dei migranti durante la crisi del 2015, i V4 si sono infatti opposti categoricamente e il Consiglio dell’Ue ha dovuto utilizzare come metodo di voto la maggioranza qualificata, proprio per poter far passare il nuovo piano anche senza la loro approvazione, pur essendo un argomento politicamente controverso. Se però le discussioni vertono su materie come la tassazione o le politiche di welfare che richiedono una approvazione unanime, il gridlock diventa un ostacolo insormontabile. Le divisioni e coalizioni creatisi nell’Ue nel corso del tempo risultano quindi importanti nel capire come la politica europea procede e che difficoltà incontra, soprattutto nel cercare di armonizzare posizioni nazionali sempre più distanti, che vanno dal liberalismo economico dei Baltici al conservatorismo nazionalista di Polonia e Ungheria.

Questo articolo è il primo di una serie legata alle sfide e ai cambiamenti dell’Unione europea. Clicca qui per leggere la seconda analisi: Troppo poco democratica? A che punto è la democrazia nell’Ue. Clicca qui invece per leggere la terza e ultima analisi: Perché dopo il Covid, l’Ue sta ripensando al Patto di stabilità. 

*crediti foto: Sara Kurfeß / Unsplash

Giovanni Polli
Nato a Vicenza nel '99. Sono uno studente di scienze politiche presso l'Università Bocconi. Oltre ad essere un appassionato di politica, sono un vorace consumatore di musica; probabilmente sono l'unico a comprare ancora CD. In Veneto ho sviluppato anche un'altra delle mie più grandi passioni: lo spritz, rigorosamente a tre euro!

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