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Perché dopo vent’anni l’UE e l’Italia hanno ancora un problema con la gestione dell’immigrazione

Tempo di lettura stimato: 7 min.

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“Adotteremo un approccio umano e umanitario. Salvare vite in mare non è un’opzione. 
E quei paesi che assolvono i loro doveri giuridici e morali o sono più esposti di altri devono poter contare sulla solidarietà di tutta l’Unione europea… 
Tutti devono farsi avanti e assumersi la propria responsabilità.”
(Discorso della Presidente Ursula von der Leyen sullo stato dell’Unione 2020)

L’UE si è sempre prefissa di trattare le questioni legate all’immigrazione considerandole all’interno di un più ampio settore relativo a “libertà, sicurezza e giustizia”, permettendo la più ampia libertà possibile agli individui, allo stesso tempo salvaguardandone la sicurezza e il rispetto dei diritti fondamentali. Questo approccio è stato preso in considerazione per la prima volta nel 1990 con la firma della Convenzione di Dublino; tuttavia  gli squilibri tra i paesi europei, dopo la cosiddetta crisi dei rifugiati del 2014, ha reso evidente la necessità di nuove regolamentazioni ed una radicale presa di posizione a riguardo.

Il fenomeno migratorio nell’Unione Europea 

Nel tempo, si è reso fondamentale cercare di definire nuovi criteri in grado di gestire il fenomeno migratorio e preservare il principio della solidarietà, tentando parallelamente di uniformare le posizioni, ancora oggi contrastanti, dei diversi Stati Membri. Sono infatti queste estreme divergenze, in particolare per quanto riguarda i Paesi Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), a provocare il completo fallimento della riforma del regolamento di Dublino.

Perseguendo l’ideale di un futuro migliore, fuggendo da guerre, violenze e povertà, dal 2014 ad oggi hanno attraversato il Mediterraneo più di 2,5 milioni di persone. Nei primi mesi di quest’anno, gli arrivi sono stati quasi 60.000 provenienti dal Medio Oriente, Africa e Asia Centrale. A questi si aggiungono adesso anche i rifugiati ucraini. L’Italia, dopo l’accordo UE-Turchia del marzo 2016 e la chiusura delle frontiere balcaniche, è il primo paese d’arrivo dei rifugiati. Per ovviare a questo squilibrio, la Commissione ha proposto una ricollocazione dei migranti tra gli altri Stati membri (tramite criteri quali PIL e tasso di disoccupazione del paese in cui reindirizzare), incontrando la resistenza del blocco dell’est. 

Un passo indietro: divergenze tra gli Stati 

Sottolineare il ruolo dell’Europa a livello legislativo nel suo complesso non deve far dimenticare le profonde differenze strutturali nel rapporto che i diversi Stati membri intrattengono, storicamente e attualmente, con il fenomeno dell’immigrazione.

A partire dalla fine degli anni Ottanta, il fenomeno dell’immigrazione in Europa ha prodotto un processo di intensa politicizzazione, rendendo il tema un’importante questione rispetto alla quale collocarsi nello spettro dell’orientamento partitico. Storicamente, sono state le formazioni della destra populista a portare avanti la retorica denominata ‘anti-migranti’ (in particolare, il partito di Lega Nord in Italia).

Nel corso degli anni, i muri reali e politici eretti in materia di immigrazione, ulteriormente aggravati dalle incertezze per la crisi energetica e la guerra, hanno amplificato le già presenti ripercussioni sugli equilibri europei. Recentemente, i rappresentanti di Danimarca, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Grecia, Malta e Austria (otto governi prevalentemente sovranisti e di destra), hanno scritto alla Commissione sollecitando una rivisitazione delle politiche in materia di diritto d’asilo, in senso restrittivo.

In particolare, ai vertici di Vienna, Nehammer, consigliere austriaco a guida di un governo di coalizione di orientamento democristiano e conservatore, intende rendere l’Austria sempre meno desiderabile per gli immigrati. Anche in Svezia, dove il settembre scorso ha ottenuto la maggioranza il partito conservatore e sovranista dei Democratici Svedesi, il leader Akesson ha puntato su un approccio euroscettico, apertamente criticando le politiche in materia di immigrazione. Di questa stessa mentalità ritroviamo il governo di estrema destra finlandese insieme alla leader Riikka, e la Norvegia con la Listhaug, che promise allo stato una delle “politiche migratorie più restrittive d’Europa. La Danimarca, al cui governo è stavolta presente una maggioranza di sinistra con il partito socialdemocratico della Frederiksen, ha comunque adottato la politica dell’accoglienza zero’ dei rifugiati.
A questo punto quindi è evidente come anche i “Paesi modello” del nord si stiano avvicinando ad un approccio restrittivo riguardante le tematiche migratorie.  

Il governo Meloni e la gestione dell’immigrazione

Per quanto riguarda la situazione italiana, il naufragio di Cutro, avvenuto due mesi e mezzo fa, non rappresenta altro che l’ennesima tessera di un mosaico che vede il nostro Paese in seria difficoltà sul tema dell’immigrazione, malgrado i proclami della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni – soprattutto in fase di campagna elettorale – potessero far pensare ad un’inversione di rotta, nell’ambito della gestione di questa emergenza, rispetto alla strada tracciata dai due governi precedenti.

Invece, come afferma Matteo Villa dell’ISPI, il 2023 è iniziato con un grande aumento del numero di sbarchi (da inizio 2023 sono giunti in Italia oltre il 300% dei migranti approdati nel nostro Paese lo scorso anno) e si stima che il numero dei migranti che raggiungeranno il suolo italiano entro fine anno possa attestarsi tra i 140 e i 160 mila.
La gravità e l’urgenza della situazione hanno costretto il Governo a dichiarare, in occasione del Consiglio dei Ministri dello scorso 11 aprile, lo Stato di Emergenza, una condizione che durerà sei mesi e che prevede lo sblocco di fondi e poteri straordinari per gestire in maniera più tempestiva la crisi in atto.
Lo Stato di Emergenza mira, perciò, a risolvere problemi per i quali non si è rivelato sufficiente il cd. “Decreto ONG“, approvato a fine febbraio dallo stesso governo Meloni: un testo che prevede – tra le altre cose – uno stringente codice di condotta per le navi che svolgono attività di ricerca e soccorso in mare e un inasprimento delle sanzioni in caso di violazione di tali norme.

Questo decreto non è però l’unica legge approvata dall’attuale esecutivo in materia di immigrazione: ad aprile è stata infatti la volta del molto discusso “Decreto Cutro“, che prevede delle forti restrizioni alla protezione speciale dei rifugiati, nonché la creazione del nuovo reato di “morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina“. 

Il Decreto strizza certamente l’occhio all’ala più radicale e dura del Governo (quella leghista) con riferimento ai migranti. Mentre infatti Giorgia Meloni ha progressivamente abbandonato i toni molto alti usati in campagna elettorale e nelle prime settimane di governo, con istanze più moderate verso gli alleati europei, anche a seguito dei primi dissapori con Macron dello scorso novembre, Salvini e il Ministro dell’Interno Piantedosi si sono dimostrati non troppo inclini alla mediazione. Ora, però, la Premier si trova ad un bivio: proseguire in maniera costruttiva il dialogo con i propri omologhi europei in modo da guadagnare credibilità ma perdere consensi o adeguarsi alle richieste leghiste in modo da evitare di perdere elettori?
Nonostante la complessità dell’emergenza, le questioni politiche, ossia la battaglia interna con Salvini per quella parte di elettorato che vorrebbe una difesa sempre più strenua dei confini nazionali, rischiano di avere un peso tutt’altro che trascurabile ed influenzare anche le future mosse di Giorgia Meloni. 

La gestione dell’immigrazione da parte dei precedenti governi italiani di centrodestra

Come accennato in precedenza, l’intenzione del governo Meloni è quella di eliminare la protezione speciale per i migranti. Tale regime è stato introdotto dal secondo governo Conte per “rimediare” all’abolizione di una norma simile (quella di cd. protezione umanitaria) da parte del precedente governo Conte I, nell’ambito del Decreto Sicurezza voluto dalla Lega guidata dall’allora Ministro dell’ Interno Salvini; tale pacchetto di misure, molto contestato sin dal principio, prevedeva – tra l’altro – anche la revoca della cittadinanza in caso di condanna in via definitiva per reati legati al terrorismo, lo stanziamento di fondi aggiuntivi per i rimpatri, l’esclusione dei richiedenti asilo dal registro anagrafico e diverse restrizioni al sistema di accoglienza. 
Il cosiddetto “governo gialloverde” aveva poi proseguito sulla stessa strada con il decreto “Sicurezza-bis“, testo che aveva introdotto misure come la chiusura dei porti italiani alle navi delle ONG e l’inasprimento delle sanzioni per chi non avesse rispettato il divieto di ingresso in acque italiane. 

Se il Governo Conte I è stato quello che ha adottato l’approccio più discusso degli ultimi 25 anni nei riguardi dei migranti, è utile analizzare come sono state gestite problematiche analoghe dai governi Berlusconi degli anni 2000 (il secondo, il terzo ed il quarto), esecutivi che prevedevano anch’essi la presenza della Lega nel Consiglio dei Ministri.
L’approccio di questi governi al tema dell’immigrazione, per quanto ovviamente di stampo conservatore, era stato comunque più morbido rispetto a quello del Conte I: in particolare, il secondo governo Berlusconi si era concentrato più sulla regolarizzazione degli immigrati irregolari e sul tentativo di aumentare il loro livello di integrazione che sul che loro rimpatrio.
Tuttavia, una delle iniziative simbolo di tale esecutivo era stata la promulgazione della controversa “Legge Bossi-Fini” del 2002, un pacchetto di misure che introduceva nel sistema legislativo italiano una serie di novità, quali ad esempio l’uso di navi della Marina Militare per contrastare il traffico di clandestini, il legame fra la concessione del permesso di soggiorno e un contratto di lavoro per l’immigrato, le espulsioni con accompagnamento alla frontiera e l’obbligo di rilevamento e registrazione delle impronte digitali per i richiedenti asilo.

Per quanto riguarda infine l’ultimo governo Berlusconi, alcuni passaggi chiave erano stati l’introduzione – nel 2009 – del reato di immigrazione clandestina, la cooperazione con i Paesi di provenienza e transito dei migranti (celebri, a tal proposito, gli accordi con la Libia guidata da Gheddafi) e l’introduzione di un sistema di accoglienza di emergenza con centri temporanei in seguito ai disordini della “Primavera araba” del 2010-2011.

Testo a cura di Vittorio Fiaschini e Iris Landi

Redazione
Orizzonti Politici è un think tank di studenti e giovani professionisti che condividono la passione per la politica e l’economia. Il nostro desiderio è quello di trasmettere le conoscenze apprese sui banchi universitari e in ambito professionale, per contribuire al processo di costruzione dell’opinione pubblica e di policy-making nel nostro Paese.

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